CALVI, Felice

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 17 (1974)

CALVI, Felice

Marino Berego

Di antica famiglia patrizia genovese, stabilitasi a Milano sin dall'inizio del Settecento, nacque in questa città il 16 dic. 1822. Suo padre Girolamo, biografo di artisti lombardi con qualche concreta apertura alla ricerca documentaria, gli trasmise il senso di appartenere a un patriziato colto, fornito di belle biblioteche, partecipe alle cariche municipali, vigile alla rivendicazione delle glorie cittadine. Contemporaneamente agli studi - seguiti prima in un istituto privato sotto la guida di due letterati liberali (Achille Mauri e Ignazio Cantù), poi al liceo di S. Alessandro, e infine alla facoltà giuridica dell'università di Pavia -, effettuò viaggi in tutta la penisola e partecipò ai congressi degli scienziati a Firenze (1841) e a Milano (1844). La sua vocazione, manifestatasi con brevi contributi alla Rivistaeuropea di Milano e al Caffè Pedrocchi di Padova, si rivelava più letteraria che storica: e dopo un breve tirocinio nel Magistrato camerale di Milano, iniziato nel 1847 e presto interrotto dalle Cinque giornate, sembrò aver scelto il filone della narrativa di costume. Dopo un primo, infelice esordio nel romanzo storico (Un castellonella campagna romana, Milano 1852) pubblicò un trittico di "romanzi contemporanei": Una regina della moda (Milano 1857), Leonilda (ibid. 1860), Claudia (ibid. 1862); e il più interessante è certo il primo che, pur impostato con intenti satirici verso le mode e gli sprechi dell'aristocrazia lombarda, costituisce un'indicativa testimonianza d'ambiente.

Dopo l'unificazione, il C. si impegnò nelle cariche civiche e soprattutto nell'amministrazione del Monte di pietà, di cui divenne presidente nel 1870. Nel 1871 pubblicava a Milano la sua prima opera storica, Vicende del Monte di pietà, che, nel ricostruire le origini e l'attività dell'istituto affidatogli, sosteneva una tesi ben precisa: era stato il patriziato che, organizzando ed esercitando la beneficenza, aveva realmente rappresentato la tradizione civile del popolo lombardo durante i lunghi secoli del dominio, straniero. E a Il patriziatomilanese èdedicato un ampio saggio comparso nel primo volume (pp. 101 ss., 413 ss.) dell'Archivio storico lombardo nel 1874.

Il "giornale della Società storica lombarda", allora costituitasi, si apriva sì con un abbastanza generico articolo proemiale del suo presidente Cesare Cantù, ma trovava il suo vero testo programmatico in quel lungo discorso del Calvi. Nella prefazione al volume che, comparso l'anno seguente (1875; seconda edizione riveduta, 1876), amplia l'articolo dell'Archivio, l'autore spiega con forza il suo pensiero: "la storia del patriziato della nostra città, per chi non si accontenti delle apparenze, si risolve nella storia del suo popolo; quando per popolo non si intenda la moltitudine pecorina... ma intendasi bensì la parte eletta della cittadinanza, quella che seppe rendersi utile alla patria".

Nel consiglio della Società storica lombarda, costituitasi nel 1874, sedeva un solo "plebeo", il presidente Cesare Cantù, e nobili erano sia i due vicepresidenti sia i quattro consiglieri, uno dei quali era il C. che esercitò grande influenza nel definire il volto del nuovo sodalizio e del suo periodico. Quando, alla morte del Cantù (1895), gli succederà nella presidenza, il C. lo commemorerà non omettendo di sottolineare cosa lo abbia costantemente diviso dal celebre scrittore brianzolo: il rifiuto del guelfismo e l'aver scritto "intemperantemente su giornali di tutte le dimensioni, di tutte le tinte", esser cioè stato un letterato di mestiere più che di vocazione, un uomo appartenente ad un mondo lontanissimo dal suo. Ma soprattutto, sul piano del lavoro storico, aver disegnato una Lombardia spagnola ove nessuno spazio era concesso alla "quasi sovranità" del comune di Milano, e alle "famiglie decurionali" che tanto degnamente l'avevano rappresentato (Rend. del R. Istitutolombardo, s. 2, XXIX [1896], p. 43).

Così, se altre società e deputazioni storiche italiane costituitesi in quegli anni amavano richiamarsi o alle glorie dei Comuni, o allo splendore dei principi, la tematica nobiliare formulata dal C. dominò per un quarto di secolo l'Archivio storico lombardo. Scrittopolemico, Ilpatriziato milanese e povero di documentazione, quasi esclusivamente attinta ad archivi patrizi, ed evita di agganciare lo studio della classe dirigente a quello dell'amministrazione e dello Stato. Incapace di condurre compiutamente un discorso storico, il C. dava migliori prove di sé nella ricerca genealogica, dirigendo e in gran parte (per trentotto su cinquantadue monografie) compilando egli stesso le Famiglie notabili milanesi, comparse a dispense in quattro volumi dal 1875 al 1885: il modello (anche tipografico) era quello del Litta ma alla ispirazione nazionale-liberale di lui si era sostituita quella aristocratica conservatrice.

L'opera più nota del C., Ilcastello visconteo sforzesco nella storia di Milano (Milano 1894), non è uno studio di storia dell'architettura militare, ma piuttosto l'accorata rievocazione di chi ha governato la città da quell'edificio; ed è un interessante profilo della storia milanese condotta sull'unico filo interpretativo in cui il C. continuava a credere, la preminenza e rappresentatività del patriziato.

Nel 1899 si aveva una crisi alla Società storica lombarda, di cui il C. e i suoi fautori nobili perdevano il controllo. A lui restava sino alla morte la presidenza onoraria, mentre quella effettiva passava nelle ben più esperte mani di Francesco Novati, che infondeva alla Società un nuovo vigore.

Il C. morì a Milano il 24 apr. 1901.

Fonti e Bibl.: L'opuscolo In memoriam Felicis Calvi XXIV apr.1901, s. l. néd., contiene l'importante commemoraz. fatta da E.Greppi, con una buona bibliografia degli scritti del C., e quella, assai più formale, di F. Novati. L'articolo del Greppi si trova anche in Archivio storico lombardo, s. 3, XV (1901), pp. 429-452. Qualche spunto anche nella commemorazione fatta da L. Beltrami in Rendic. del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, s.2, 2, XXXV (1902), pp. 74-81. Velate allusioni alle vicende della Società storica lombarda e alla crisi del '99, in G. Seregni, Il primo cinquantennio di vita della Società storica lombarda, Milano 1923, pp. 11 s.

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