CENTINI, Felice

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 23 (1979)

CENTINI, Felice

Gino Benzoni

Nato a Polesio, presso Ascoli Piceno, nel 1562, di modeste condizioni, entrò nell'Ordine dei minori conventuali e, favorito da Sisto V ("fu allevato dalla santa memoria" di questo papa, dirà di lui, in una lettera del 20 ag. 1611, il rappresentante veneto presso la S. Sede Marino Cavalli; e non a caso il C. avrà, nel 1629, la protettoria del collegio Montalto istituito a Bologna da Sisto V nel 1588) e da suo nipote il card. Montalto sensibili, se non altro, al fatto che il C. era loro conterraneo, riuscì ad affermarvisi divenendo, nel 1605-1609, rettore del Collegio romano di S. Bonaventura (di cui nel 1629 sarà nominato cardinale protettore) e, nel 1609-1611, procuratore generale. Consultore inoltre, sempre nel 1609-1611, del S. Uffizio, fu pure apprezzato predicatore - un grosso successo, infatti, pare abbia soprattutto riscosso a Roma la sua predicazione quaresimale del 1603 dal pulpito della chiesa di S. Francesco - ed ebbe fama di dotto e ferrato teologo.

Se, naturalmente, va scartato l'incondizionato elogio del canonico ascolano Sebastiano Andreantonelli che lo dice "philosophorum ac theologorum omnium... facile princeps", più attendibile risulta, per quanto anch'esso viziato d'enfatica esagerazione, quello d'un suo allievo, il minorita Matteo Ferchi docente a Padova di teologia scotista, poiché l'"eximia... sapientia" e la cognizione "naturalium et supernaturalium veritatum" del C., qualificato come "de scotica doctrina optime meritus et omnigenae philosophiae ac theologiae cognitione instructissimus", si riduce, tutto sommato, alla sicura (più mnemonica, comunque, che critico-interpretativa) padronanza dei testi di Duns Scoto, dei quali sapeva opportunamente citare interi brani a memoria "in disputationibus". E la dedica al C. - da parte del minorita faentino Filippo Fabri insegnante all'ateneo patavino di metafisica "in via Scoti" e successivamente titolare della cattedra che sarà, poi, del Ferchi - dell'edizione veneziana del 1619 delle sue Disputationes theologicae... quibusdoctrina Scoti... dilucidatur et defenditur lo conferma appassionato cultore del filosofo inglese la cui conoscenza, comunque, gloria com'era del suo Ordine, costituiva, prima ancora che un vanto, un dovere.Inserito nella rosa degli undici nuovi cardinali creati il 17 ag. 1611, il conferimento della porpora - e il connesso titolo di S. Girolamo degli Schiavoni fu poi commutato con quelli di S. Lorenzo in Panisperna e S. Anastasia, cui subentrò, il 26 nov. 1633, il vescovato suburbicario di Sabina - colse il C. di sorpresa.

"Se delli promossi - racconta il Cavalli - alcuno ve n'era che fosse con il pensiero lontano d'esservi, certo ciò è avvenuto nel cardinal d'Ascoli... che, ritrovandosi in strada sopra una picciol muletta, per la novità della cosa oltre il temer d'esser burlato et la pressa della genta che li correva all'intorno, hebbe un poco di svenimento". Paolo V, a detta del Cavalli, sarebbe stato indotto alla nomina del C. dalle pressioni del Montalto, "che si tiene l'habbia aiutato assai", e dalla sua stessa "particolare inclinatione" per "questo soggetto che con molto valor s'adoperava nella congregation dell'inquisition". Nello sferzante giudizio dedicato al C. nella sua relazione del 1623 - è privo di "alcuna qualità conspicua" e nemmeno lo scontato corredo di "lettere fratesche" pare di "tutta eminenza" - il rappresentante veneto Renier Zeno la giudicherà un errore: "fu un mero aborto di Paolo V ch'esortato dalla scarsezza di theologi ad introdurne qualcuno in collegio, diede di capo in costui per un accidental buon concetto che ne prese nel sentir trattare a suo modo una causa". Certo l'elezione riempì d'esultanza Ascoli che, avendo fregiato il C., ancora nel 1593, della cittadinanza, lo considerava sua "creatura" ci furono "pubbliche allegrezze con fochi et lumi per tre sere continue"; un nobile fu prontamente spedito a baciare i piedi del papa per ringraziarlo "di così segnalato favore"; venne commissionata allo scultore Antonio Giosafatti l'arma di travertino del neocardinale da porre nel palazzo degli Anziani; il C. ebbe un donativo di 700 scudi ed altri 300 furono consegnati alla sorella Angela; calorosissime, le felicitazioni non si trattennero dall'ipotizzare per lui persino il papato, laddove incredule "sì gran principio non sia per haver fra poco fine corrispondente", scorgevano "nella nova dignità le faville di maggior esaltazione", quasi "grado" preludente "ad altro maggiore".

Facile enfasi congratulatoria, ma anche diffusa speranza tenace sino all'autoconvincimento, non privo, del tutto, di qualche reale aggancio ché, se nel conclave in cui venne eletto, il 6 ag. 1623, Urbano VIII "non vi è stato pur anco chi si sia ricordato di lui" (così, acido, lo Zeno ed è da credergli: l'assenza del nome del C. nella fitta corrispondenza degli inviati veneti tra la morte di Gregorio XV e l'ascesa al soglio del Barberini fa ritenere errata l'asserzione del Cardella secondo la quale egli, in questa occasione, "non andò guari lontano dal supremo pontificato"), la sua posizione pare, col tempo, consolidarsi. Persino il grigiore della sua personalità - non così scialba, comunque, quale appare dal corrosivo profilo dello Zeno, tant'è vero che il C. è ricordato, assieme al card. Desiderio Scaglia, nella relazione, del 1635, d'un altro ambasciatore veneziano, Alvise Contarini, tra "li migliori teologhi" d'un peraltro mediocrissimo Collegio cardinalizio -, più che conseguenza di carenze oggettive, appare frutto della sapiente oculata regia d'un uomo impegnato a non urtare altrui suscettibilità per guadagnarsi, al momento buono, allargati, anche se non entusiasti, consensi.

Filospagnolo ("con gli spagnuoli s'aiuta grandemente" osserva lo Zeno, "è appoggiato ai spagnuoli" confermerà, nella relazione del 1640, l'ambasciatore veneto Giovanni Nani), prodigo tuttavia di profferte d'amicizia e stima per Venezia ("dice mirabilia di Vostra Serenità", assicura lo Zeno, "nei termini... di complimenti e d'espressioni d'honore eccede l'uso della corte" ribadirà il Nani), collocato dal rappresentante veneziano Angelo Contarini, nella sua relazione del 1629, tra le 24 "creature" porporate facenti capo alla "fatione" del card. Scipione Borghese è degli otto "soggetti papabili di questa". "Uomo - precisa Angelo Contarini - che attende a fare i fatti suoi, a tempo mio", cioè tra il maggio del 1627 e l'agosto del 1629, "non è mai capitato in corte; di lui non si sente mai né mal né bene, cosa che molto giova ai pretendenti. Egli è grato al collegio, tenuto per uomo verdadiero; li spagnuoli lo vogliono, i Fiorentini lo ricusano, Borghesi lo desidera, di maniera che, con un poco d'aiuto di altra fazione, egli potrà far gran colpo, consistendo tutta questa pratica in non aver inimici, potendo far maggior male un suo inimico che ben dieci amici".

Più che comprensibile quindi la particolare riverenza e il devoto affetto di Ascoli per lui, ricambiati dal C. - non a caso noto come "cardinale d'Ascoli" e solito così firmare le proprie lettere - nel duraturo e cordiale rapporto cogli Anziani della città. Sensibilissimi questi ai suoi suggerimenti, richieste e non poche raccomandazioni (a favore di aspiranti pretori, medici, maestri di scuola pubblica), a lui ricorrevano di frequente ora per interessarlo all'approvvigionamento in periodo di carestia ora (e, questa volta, per quanto il C. s'adoperasse, senza esito positivo) perché ottenesse dalla Camera apostolica i proventi dei malefici e la licenza d'appalto delle "pizzicarie", ora perché inducesse i canonici a desistere dall'ostinato diniego d'incensarli. Ed il C. sapeva anche dar prova d'una certa momentanea generosità - che andò pure a beneficio della natia Polesio per la quale istituì un Monte frumentario (chiamato, in suo onore, Centino) perché, dotato di circa 60 quintali di grano, fosse di "agiuto di poveri" favoriti con prestiti di scorte granarie a Natale, Pasqua e nel periodo della semina - offrendo, nel 1615, 500 scudi per riparare i mulini danneggiati da una piena e costituendo, nel 1625, un censo di 3.000 scudi pel Monte di pietà.

Parallela alla figura di cardinale, nel C., quella di vescovo. Affidatogli, il 31 ag. 1611, l'episcopato di Mileto, vanno ridimensionate le molte benemerenze - visita accurata di tutta la diocesi, riforma del clero, ampliamento dei privilegi canonicali, arricchimento della dotazione della cattedrale col dono di candelieri d'argento e d'altri preziosi arredi - a lui attribuite dal Ciacconio e dall'Ughelli, se non altro perché risiedette nella sede solo dal novembre 1612 all'aprile 1613. Il merito va piuttosto ascritto all'operosità del suo vicario generale, l'ascolano Virgilio Capponi, successo al C. quando questi, il 23 sett. 1613, venne traslato alla diocesi di Macerata e Tolentino, ove, invece, preferì - per scrupolo episcopale e, anche, come s'è visto, per calcolo desiderando non essere coinvolto nelle tensioni e nelle rivalità del Collegio cardinalizio - essere costantemente presente riducendo al minimo i suoi soggiorni romani connessi cogli obblighi derivantigli dal ruolo di cardinale dell'Inquisizione e con occasioni quali la canonizzazione di Ignazio di Loyola.

Interessato al decoro della cattedrale di Macerata, la dotò d'un nuovo organo, d'una croce d'argento e d'altri arredi sacri; ne fece rafforzare la torre e sostenne le spese d'ampi restauri disponendo inoltre che l'anconitano G. B. Foschi dipingesse nell'abside sei episodi della vita di S. Giuliano, patrono della città; ottenne per essa le indulgenze fruite da visitatori dei sette altari di S. Pietro e appagò i canonici ottenendo l'uso della cappa d'ermellino bianco. Sempre a Macerata promosse la ricostruzione integrale della chiesa di S. Liberato, pose la prima pietra di quella di S. Paolo, inaugurò quelle di S. Filippo e di S. Maria della Concezione; favorì la presenza dei filippini e dei barnabiti; istituì, per diffondere tra il popolo l'istruzione religiosa, la Confraternita della dottrina cristiana; indisse, nel 1615 e nel 1625, due sinodi. Suo intervento di maggior rilievo la creazione, invano tentata dal predecessore, del seminario decretata il 6 febbr. 1615 coll'obbligo per tutti i luoghi pii a contribuire alle spese; aperto l'8 settembre colla vestizione d'otto giovani, il C. si premurò di garantirne la durata e lo sviluppo incamerando a suo favore vari benefici a tal fine soppressi nel 1622.

La fondazione di un'accademia che da lui si disse Centina - su questa comunque le notizie sono incerte, nel dubbio se identificarla o no con quella degli Accinti - lo fanno supporre non estraneo alla sollecitazione della cultura locale.

Certo in questa, accanto ai prevalenti interessi letterari, affiorano, anche curiosità scientifiche specie in Lodovico Lodovici, gentiluomo della sua minuscola "corte", il quale ebbe l'"honore di ragionar e conferir" con Galilei a Roma, al quale poi scrisse, il 22 nov. 1622, il 29 nov. 1631 e il 2 genn. 1633, chiedendo informazioni sulle "dui stelle collaterali a Saturno", sui "nuovi pianeti da lei ritrovati" e le "ragioni" adducibili per "difendere l'opinione di Copernico" senza compromissioni con "quello che dice... Tycone". E l'attesa, "con sommo desiderio", sua e di altri "accademici di questa nostra città" dell'uscita del Dialogo sopra i due massimi sistemi ... "per chiarirci come si possa difendere il Copernico dalle opposizioni di Ticone" è espressione d'accentuate propensioni eliocentriche.

Eppure il C. fu presente nei due processi, del 1615-1616 e del 1633, contro Galilei, anzi il giudizio di condanna che concluse il secondo reca - in quanto era il più anziano dei porporati inquisitori - per prima la sua firma. Il suo ruolo, tuttavia, fu tutt'altro che attivo; forse non è esagerato definirlo passivamente burocratico, specie nel 1633 quando manca alla comparsa, del 12 marzo, di Galileo e ad altri successivi interrogatori, anche a quello del 16 giugno nel quale allo scienziato venne fatta esplicita minaccia di tortura.

Indice solo di scarso interesse e d'atonia spirituale e, nel contempo, colla sottoscrizione della "sententia", di supina acquiescenza al prevalere perentorio dell'esigenza d'una condanna esemplare? oppure, anche, d'un minimo di riluttanza incapace, peraltro, di tradursi in opposizione? Gli umori più o meno larvatamente filogalileiani d'un gruppo d'intellettuali maceratesi, il fatto stesso che il Lodovici, il più esplicito tra quelli, sia stato al servizio del C. legittimano l'ipotesi che il C., scarsamente conscio dell'importanza della questione sino a rasentare l'indifferenza, abbia limitato la propria partecipazione alla messa al bando della dottrina galileiana all'avallo della decisione altrui; altrimenti, se fosse stato convinto che il Dialogo era, come sostenevano i suoi oppositori, "più pernitioso per la Chiesa" dei testi di Lutero e Calvino, non avrebbe tollerato il serpeggiare a Macerata di simpatie copernicane né avrebbe ammesso il Lodovici alle proprie dipendenze o, quanto meno, se ne sarebbe vivamente preoccupato.

Lungi, comunque, dal lasciar traccia nel suo animo la vicenda galileiana, non altrettanto può dirsi della tragedia del nipote Giacinto che il 23 apr. 1635, fu "decapitato - dirà il Nani nella sua relazione - per sortilegi che usava per esaltar al pontificato il zio".

Anche se il C. era ignaro delle sue rozze pratiche magico-demoniache - tant'è vero che il nipote, prima dell'esecuzione, gli scrive supplicando il suo perdono -, queste scaturivano dalla convinzione che, una volta accelerata la fine di Urbano VIII, egli sarebbe stato il successore; ingenua speranza popolare di Ascoli e, forse, anche di Macerata, ma anche ipotesi non esclusa, come s'è visto nella relazione di Angelo Contarini, dagli ambienti diplomatici, i quali non l'avrebbero certo formulata senza la supposizione di ambiziose mire del C. al soglio. Se queste c'erano, la punizione teatralmente atroce inflitta al nipote suonava anche severa ammonizione per lui; e tale dovette essere l'intento dell'ombroso e suscettibile Urbano VIII il quale, superstiziosissimo, era rimasto fortemente scosso e spaventato alla notizia che s'era ricorso al demonio per farlo in breve morire.

A detta d'alcuni l'esecuzione riempì il C. d'odio in Barberinos, secondo altri, invece, si sarebbe alquanto rasserenato una volta appreso che a Giacinto era stata evitata l'infamia dell'impiccagione. Formalmente i suoi rapporti con Urbano VIII non subirono alcuna incrinatura e proseguirono improntati agli usuali termini di cortesia con un di più, ovviamente, di riverenza da parte del C.: nello stesso anno della decapitazione il C. invia gli abituali auguri natalizi accolti di buon grado dal pontefice che, rispondendo sollecito a tale espressione di "fraternitas", li intende anche come manifestazione "observantiae". Sconvolto nell'intimo e logorato anche fisicamente, il C. s'apparta ancor più nella sua diocesi senza che peraltro vengano meno le sue più segrete e tenaci ambizioni.

Bene lo coglie il Nani in quest'ultima fase della sua esistenza: "sta come confinato a Macerata nella sua residenza ... né ha perduto la speranza di cose maggiori perché" gli Spagnoli "non mancheranno di favorirlo in un conclave e lo porteranno tra i primi per intimorire Barberino e condurlo per tal strada ad adherire ad altro soggetto di loro sodisfattione".

Morì a Macerata il 24 genn. 1641 (e la "nova della morte improvisa" - annota Ottaviano Valier, segretario dell'ambasciata veneta a Roma - è stata "aviso che molto ha consolato l'animo del pontefice") e vi fu sepolto nella chiesa, "ora diroccata" dirà in seguito il Benoffi, di S. Francesco.

Lasciò i suoi libri al Collegio romano di S. Bonaventura, i paramenti della cappella cardinalizia al tempio ascolano di S. Francesco, suppellettili e cavalli all'abate Marcello Centini, suo nipote nonché autore della tragedia Il san Giuliano (Macerata 1627) e procuratore, una volta giustiziato il fratello Giacinto, dei suoi possessi ascolani. Il grosso dell'eredità, suddiviso a metà, andò ai figli di Giacinto (prima di morire aveva implorato la protezione del C. sui suoi) Giuseppe e Giovan Battista da un lato, e dall'altro al nipote Bonifacio (anche questo figlio della sorella Angela e fratello di Giacinto), la cui figlia Camilla fu favorita con una dote di 4 mila ducati. Non era quello del C. un patrimonio da poco: solo a Spinetoli e nei suoi pressi aveva trentasette case! Per costituirlo il C. non era andato molto pel sottile, offrendo una sorta di concomitante versione provinciale e agreste di quell'ingorda accumulazione a vantaggio proprio e della famiglia che caratterizzava, allora, il nepotismo papale. Le donazioni e le elargizioni ricordate dagli encomi restano episodi di poco conto rispetto all'avidità colla quale - valendosi dell'accortezza del suo agente, il francescano Ludovico Gagliardi, e del fiuto d'attenta massaia della sorella Angela e grazie alla disinvolta utilizzazione delle migliaia di scudi resi disponibili dal reddito, cospicuo, della mensa vescovile - il C. si diede ad una sistematica campagna d'acquisti in tutto l'Ascolano, all'incessante compera di case e terreni a Polesio e soprattutto nella fertile vallata del Tronto tra Spinetoli e Monteprandone. Incamerò e talvolta arraffò i beni della nobiltà locale - i Malaspina, i Lenti, i Bastoni - allora in gravi difficoltà economiche; specialmente vistoso l'accaparramento del 1622, per 18.000 ducati, degli immobili a Castagneto e Spinetoli, oberati da passività dei Guiderocchi, che gli eredi del defunto Alfonso, impossibilitati a riscattarli, dovettero svendergli per estinguere i debiti.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Senato. Dispacci Roma, filze 65(lett. del 17 e 20 ag. 1611), 111 (lett. del 28 apr. 1635), 116 (lett. del 26 genn. 1641); Relazioni... lette al Senato dagli ambasc. veneti ...,a cura di N. Barozzi-G. Berchet, s. 3, Roma, I, Venezia 1877, pp. 266, 272 ss., 374; II, ibid. 1878, pp. 29s.; Rélations des ambassadeurs vénitiens, a cura di F. Gaeta, Paris 1969, p. 274; Calendar of State papers ... relating to English affairs ... in the archives ... of Venice, XII, a cura di H. F. Brown, London 1905, pp. 390, 393; Ed. naz. delle Opere di G. Galilei, XIII, p. 101; XIX, pp. 277-285 passim, 295, 338, 402, 406, 413; XX, p. 416; M. Ferchi, Apologiae pro Ioanne Duns Scoto …,I,Bononiae 1620, p. 24; Id., Vita Ioannis Dunsii Scoti ..., Bononiae 1623, p. 103; M. Giovanetti, Poesie, Roma 1626, pp. 161, 188; dedic. al C. il Panegirico di N. Severoli nella promottione dell'ill. A. A. Avveduti ... al rettorato del collegio di Montalto, Bologna 1633; tra i "Testimoni d'alcuni cardinali" attestanti la "dottrina, virtù e santità" del cardinal Bellarmino figura quello del C. in G. Fuligatti, Vita di ... Bellarmino …,Roma 1644, pp. 394ss.; G. Gigli, Diario romano …, a cura di G. Ricciotti, Roma 1958, pp. 152 ss., 197; M. Gavazzi, Opuscula theologica, Romae 1650, pp. 358-416 passim; Concl. de' pontefici..., s. l. 1667, pp. 375,406; Antologia galileiana ..., a cura di C. Maccagni, Firenze 1964, pp. 34-38, 244; S. Andreantonelli, Historiae Asculanae libri IV, Patavii 1673,p. 115; A. Ciacconio, Vita ... pontificum ... et cardinaliwn …,IV,Romae 1677, coll. 431 s.; F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, Venetiis 1717, I, coll. 187, 959; II, coll. 745s.; G. M. Crescimbeni, Dell'ist. della volgarpoesia …, V, Venezia 1730, p. 182; F. S. Quadrio, Della storia e ... ragione d'ogni poesia …, I, Bologna 1739, p. 75; [F. A. Marcucci], Saggiodelle cose ascolane ...,Teramo 1766, pp. CLXV, CCCCXVII-CCCCXXII passim; [F. Vecchietti-T. Moro], Biblioteca picena, I,Osimo 1790, p. 283; III, ibid. 1793, p. 337; L. Cardella, Memorie ... de' cardinali ..., VI, Roma 1793, pp. 172 s.; F. A. Benoffi, Compendio di storia minoritica …, Pesaro 1829, p. 285; G. Cantalamessa Carboni, Memorie intorno i letterati e gli artisti ... di Ascoli ...,Ascoli 1830, pp. 123 ss.; Sigismondo da Venezia, Biografia serafica …, Venezia 1846, p. 563; D. Berti, Il processo ... di Galileo, Roma 1876, pp. 143, 149; I. Carini, Attentato di G. Centini contro Urbano VIII, estratto da Il Muratori, I (1892), pp. 1-3; M. Rosi, La congiura di G. Centini …, in Archivio della R. Società romana di storia patria, XXII (1899), pp. 349-357 passim, 370; G. B. Sbaraglia, Supplementum et castigatio ad scriptores ... Ordinum S. Francisci ...,II,Romae 1921, p. 240; R. Quazza, L'elez. d'Urbano VIII …, in Arch. d. R. Soc. rom. di st. patria, XLVI (1923), p. 23 n. 2; M. Maylender, St. delle accademie d'Italia, I, Bologna 1926, pp. 47, 536; L. von Pastor, Storia dei papi ..., IX, Roma 1929, p. 919; XII, ibid. 1930, pp. 164, 243; XIII, ibid. 1931, pp. 29, 82 n. 5, 230, 622; Series episcoporum ex Ordine ... minorum conventualium,in Miscell. francescana, XXXI(1931), pp. 113 s.; F. Balsinelli, Memorie del convento e ... chiesa di S. Francesco ... a Macerata, ibid., XXXII (1932), p. 43; L. Cardella, Memorie minoritiche, in Miscell. franc., XXXIII(1933), pp. 95, 98 s.; C. Mariotti, Il palazzo del comune diAscoli…, Ascoli Piceno 1941, pp. 71 ss.; L. Callari, Volti ... della Roma papale …, Roma 1942, pp. 119-123; G. Fabiani, Il card. F. C. ... e i nipoti ..., in Miscell. franc., LVII (1957), pp. 558-595; Id., Ascoli nel Cinquecento, I,Ascoli Piceno 1957, pp. 30, 108; II, ibid. 1959, pp. 56, 141 n. 49, 168 n. 23, 252 n. 54, 307-327, 330-340, 363-366; P. Leporini, Ascoli Piceno, L'archit. dai maestrivaganti ai Giosafatti, Ascoli Piceno 1973, pp. 126, 128 s.; L. Firpo, Esecuz. capitali in Roma …, in Eresia e riforma nell'Italiadel Cinquecento, Misc. I, Firenze-Chicago 1974, p. 337 n.; G. Moroni, Dizion. di erudiz. storico-ecclesiastica…, XI, pp. 82 s.; P. Gauchat, Hierarchia catholica, IV, Monasterii 1935, pp. 227,242.

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