FELICE da Cantalice, santo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 46 (1996)

FELICE da Cantalice, santo

Sergio Rivabene

Nacque a Cantalice, in provincia di Rieti, il 18 maggio del 1513, terzo dei cinque figli di Sante Porro e Santa Nobili.

Essendo la sua famiglia di umili condizioni, all'età di dieci anni venne mandato a servizio, nella vicina Cittaducale, presso la famiglia Pichi, prima a custodire le greggi, e in seguito a lavorare nei campi. Per vent'anni quindi la sua esistenza non fu dissimile da quella di un semplice contadino del sec. XVI, finché nell'autunno del 1543 non decise di entrare nell'Ordine dei cappuccini (e in molte delle sue biografie si sottolinea la volontà precisa di scegliere quest'Ordine, sebbene gli fosse stato offerto di entrare negli agostiniani, un Ordine più ricco e importante in quei tempi), in un momento particolarmente delicato per la vita degli "eremiti francescani" (il primo nome dei cappuccini).

Questo ramo separato dell'Ordine creato da s. Francesco infatti all'inizio dovette affrontare l'ostilità degli "osservanti" (una delle due famiglie francescane), tant'è che nel 1532 venne loro proibito di accogliere tra le proprie file persone provenienti da questo ramo: successivamente (1537) venne anche vietato loro di espandersi fuori dall'Italia. L'anno precedente l'ingresso nell'Ordine di F. la defezione del vicario generale dei cappuccini, Bernardino Ochino, passato al protestantesimo, per poco non provocava la soppressione dell'Ordine (che aveva già dovuto subire l'abbandono di Matteo da Bascio e l'espulsione di Ludovico da Fossombrone, due dei suoi esponenti di maggior spicco), che venne anche pubblicamente accusato di eresia. I cappuccini, tuttavia, riuscirono a superare tale difficile momento: nel 1563, prima della chiusura del concilio di Trento, venne ufficialmente approvata la loro forma di vita e definita la posizione giuridica tra le famiglie francescane. Sul finire del secolo cominciò l'espansione anche fuori dall'Italia, e nel 1619 avvenne anche la definitiva separazione dai "conventuali" (l'altra grossa famiglia francescana). Vestiti di una tela di sacco assai grossolana, con i piedi nudi in ogni stagione, praticando frequenti e rigorosi digiuni, e dormendo su rudi tavolati, i cappuccini fecero viva impressione sugli uomini del XVI e XVII secolo.

Fu proprio l'amore per i primitivi ideali francescani, per una vita vissuta in completa povertà, che spinse F., nell'autunno del 1543, a bussare alle porte del convento di Cittaducale.

Il solo documento riguardante F., scritto mentre egli era ancora in vita, è il testamento (non l'originale, ma una copia contemporanea) che, seguendo il costume dei frati minori, egli pronunciò il 12apr. 1545, prima di essere ammesso alla professione religiosa (il testo è conservato presso l'Archivio comunale di Monte San Giovanni Campano, e venne poi trascritto, con alcune varianti, sul muro della cella occupata dal santo nel convento cappuccino del paese). Tuttavia, anche se nulla fu scritto in vita riguardo F., si conoscono con sufficiente precisione le tappe iniziali della sua vita religiosa, in particolare grazie alle diverse biografie scritte su incarico di papa Sisto V nei giorni immediatamente successivi alla sua morte.

Dopo essere stato accolto dal padre guardiano del convento, F. restò a Cittaducale per una decina di giorni, quindi venne inviato a Roma presso il convento di S. Niccolò de Portiis (ora S. Croce e S. Bonaventura dei Lucchesi), ai piedi del Quirinale, e qui accolto da Bernardino d'Asti, procuratore dei cappuccini presso la Curia romana. Nel febbraio 1544 passò al convento di Fiuggi come novizio; di qui venne mandato, per curarsi di una lunga febbre, al convento di Monte San Giovanni Campano, dove prese i voti il 18 maggio 1545. Nei due anni successivi lo troviamo prima a Tivoli (dove ebbe come maestro Michele da Susa), poi a Viterbo, presso il convento dedicato alla S. Croce, e forse anche all'Aquila.

In questi luoghi non è rimasto alcun ricordo del soggiorno di F., anche perché non esiste più nulla dei primitivi conventi cappuccini. Testimonianze dirette di questi passaggi si trovano attestate tuttavia in documenti del 1587, risalenti al primo processo di canonizzazione, iniziato da Sisto V.

Nel 1547 giunse infine a Roma, al convento di Monte Cavallo, dove ricevette l'incarico di questuante, che espletò sempre per tutti i quaranta anni durante i quali dimorò nella città dei papi, praticamente senza allontanarsene mai (solo nel 1580 è documentata una sua breve assenza da Roma, quando si recò da Gregorio XIII a Frascati, per ottenere dal papa la revoca della scomunica contro Cittaducale).

Il convento di Monte Cavallo, costruito pochi anni prima su un lembo del giardino dei Colonna (Vittoria Colonna, insieme con Caterina Cibo, fu tra le prime sostenitrici dell'Ordine), fu, in ordine di tempo, la terza dimora romana dei cappuccini, dopo una casetta attigua a S. Maria dei Miracoli (dove erano entrati nell'estate del 1529, appena giunti nella città) e il convento di S. Eufemia sull'Esquilino, che li aveva ospitati sin dal 1536.

Oltre all'ufficio di questuante, F. spese la sua vita nell'assistenza ai poveri e ai malati, nonché nella carità verso i forestieri, che numerosi affollavano in quel tempo le strade di Roma.

Nel Cinque-Seicento la popolazione di Roma registra un sensibile incremento, anche se discontinuo, e passa dalle 55.000 anime nel 1527 alle quasi 110.000 nel 1600. Per andare incontro a questa massa di gente, per lo più povera, si assiste nel corso del secolo allo sviluppo della presenza delle confraternite, più o meno tutte impegnate nell'assistenza ai bisognosi, e al rinnovamento ospedaliero; l'assistenza ospedaliera fu un'attività nella quale si incrociarono tutti i santi e gli apostoli sociali del Cinquecento.

In quest'opera F. si affianca alle tante figure di santi, quali Filippo Neri, Giuseppe Calasanzio, Camillo de Lellis, che operarono a Roma nel corso della Controriforma. Particolare fu però il rapporto e l'amicizia che legarono F. e Filippo Neri: i due s'incontravano spesso per parlare e pregare nelle stanze di S. Girolamo della Carità, talvolta assieme a Carlo Borromeo (e si racconta che, quando il futuro s. Carlo sottopose le Regole da lui composte per i suoi preti obiati al giudizio di Filippo Neri, questi lo inviò per avere consigli da F. che stava zappando nell'orto e non sapeva neppure leggere: probabilmente per indicare che dovevano essere poche e semplici). Altre volte gli incontri avvenivano per le vie di Roma, dando luogo a quelle rappresentazioni quasi farsesche di cui parlano tutti i biografi (un misto di commedia dell'arte e sacra rappresentazione) per l'edificazione morale del popolo romano, che sembra le apprezzasse molto.

Una volta, incontrando F. per strada, Filippo Neri lo apostrofò dicendo: "Ti possa vedere abbruciato", e questi, di rimando: "Ti possa vedere squartato". La gente accorreva, e le imprecazioni aumentavano: "Ti possa vedere appiCcato". "Ti possa vedere fatto a pezzi". "Ti siano troncate le mani". "Ti sia mozzo il capo". "Possa tu essere frustato per tutta Roma. E che ti possano affogare nel Tevere con un macigno al collo". Terminato il repertorio, e quando la gente era divenuta numerosa, i due allora sciolsero l'enigma: "Possa tu subire questo per amore di Dio". Gli astanti, un po' sorpresi e divertiti, imparavano la lezione. Di tali episodi i biografi del santo ne riportano parecchi, alcuni addirittura immortalati poi da pittori e incisori, come la scena di F. che per la strada fa bere vino a s. Filippo. Tutte queste "recite" riportavano la Roma cinquecentesca quasi al clima francescano del Duecento.

F. fu così un personaggio molto popolare nella Roma del tempo: ecclesiastici, nobili, gente comune, tutti lo accoglievano come persona di famiglia e ascoltavano i suoi consigli semplici, o le ingenue canzoncine da lui composte per i fanciulli.

Simbolo di questa popolarità è il rapporto molto intenso tra l'immagine di F. e la devozione popolare, che vide in lui non il santo straordinario, irraggiungibile, ma colui che incarnava uno stile evangelico di vita, un modello semplice. Caratteristiche di questo genere di vita (secondo la migliore tradizione francescana) sono la preghiera e l'azione, l'umiltà e la povertà, unite a un atteggiamento sempre umano e disponibile nei confronti di chiunque. F. è stato, ed è tuttora, un santo molto conosciuto dal popolo romano, e per questo molti artisti disegnarono o incisero sul rame le sue sembianze, per preparare immagini devozionali: Ludovico Carracci, Simone Cantarini, Giuseppe Cesari detto il Cavalier d'Arpino, perfino il Guercino, Giambattista Pasqualini, Raffaele Sadeler e altri, senza contare i numerosi santi-ni anonimi. Inoltre, benché sia stato un santo per così dire "locale" (cioè romano), i suoi confratelli nel corso dei secoli ne propagandarono il culto in tutta Europa, tant'è che, a partire dal 1600, la sua immagine fu posta in vendita anche presso i negozi di arte sacra più quotati ad Anversa, Augusta, Monaco di Baviera.

La prima (capostipite di tutta una serie di immagini raffiguranti F. come questuante) fu quella eseguita dal Cavalier d'Arpino, durante gli ultimi anni della vita del santo. Venne richiesta da Filippo Neri e rappresenta F. a mezza figura, in primo piano, con la bisaccia dell'elemosina appena accennata, un po' curvo verso sinistra, con la barba rotonda e i baffi folti. Ma l'immagine del questuante, forse la più realistica e oggettiva, non esaurisce l'iconografia del santo: diverse scene della sua vita sono state prese come spunto per immagini devozionali, come l'incontro con l'angelo che gli riempie le anfore di vino, la questua miracolosa e l'apparizione della Madonna col Bambino. Immagini che rappresentano bene la sempre maggiore importanza del santo nel corso dei secoli.

Un ulteriore filone rappresentativo è quello che riproduce F. in compagnia di altri santi, di solito (ma non necessariamente) cappuccini, come nella medaglia commemorativa coniata nel 1712, in occasione della sua canonizzazione.

Alla fine dell'aprile 1587 F. cadde infermo e il 18 maggio mori a Roma. Il corpo, oggetto di profonda venerazione, dopo qualche mese venne esposto, dietro autorizzazione di Sisto V, nella chiesa di S. Niccolò (dentro un sarcofago che qualche tempo prima F. si era fatto regalare dall'umanista Alessandro Poggio).

Sisto V, francescano, era sempre stato molto legato a F. con il quale tante volte si era fermato a conversare e ad ascoltarne i semplici consigli. Il giorno successivo alla sua morte aveva subito iniziato le mosse per la canonizzazione, ma questo primo processo si interruppe con la morte del papa nel 1590. Il processo ordinario si riaprì (dietro domanda del procuratore di Caterina di Lorena, Giovanni Romano) il 1º apr. 1614 e si concluderà, dopo parecchie interruzioni, nel novembre del 1624. Proclamato beato nel 1625, F. verrà canonizzato da Clemente XI il 22 maggio 1712, giorno nel quale lo si festeggia. I resti del suo corpo riposano, dal 1631, nella chiesa della Immacolata Concezione in via Veneto, in Roma, nella seconda cappella a sinistra.

Fonti e Bibl.: Mariano da Alatri, Processus Sixtinus fratris Felicis a Cantalice cum selectis de eiusdem vita vetustissimis testimoniis, Romae 1964; Jean de Dieu, Les sources de la vie de saint Félix de C. capucin, in Etudes franciscaines, XXXIII (1921), pp. 97-109; Id., Saint Félix de C. aux couvents d'Anticoli et de Monte San Giovanni, ibid., XXXV (1923), pp. 532-546; Id., Les capucins et s. Félix de C., ibid., pp. 89-99; Id., Mort et glorieuse sépolture de saint Félix de C., ibid., XLVIII (1936), pp. 415-44; A. Donati, San F. da C., in Italia francescana, XX (1945), pp. 11-19; Ilarino da Milano, Fra F. da C. Il santo delle vie di Roma, ibid., XXIII (1948), pp. 126-141; Arsenio da Casorate, Un ritratto di s. F. da C., voluto da un santo, ibid., XXIV (1949), pp. 88-91; Mariano da Alatri, Fra F. da C. Il santo del popolo romano, Roma 1958; R. Branca, L'asino dei frati: fra F. da C., Milano 1963; Melchior de Pobladura, Félix de C., in Dict. d'hist. et de géogr. ecclés., XVI (1967), coll. 901 s.; Mariano da Alatri-S. Gieben, S. F. da C. nella devozione popolare, Roma 1987; S. F. da C. I suoi tempi, il culto... Convegno ... Rieti-Cantalice... 1987, a cura di G. Maceroni-A.M. Tassi, Rieti 1990; A. Venturoli, S. F. da C., Casale Monferrato 1993; Bibliotheca sanctorum, IV, coll. 538 ss.

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