Femminismo

Dizionario di Storia (2010)

femminismo


Movimento di rivendicazione dei diritti economici, civili, e politici delle donne; in senso più generale, insieme delle teorie che criticano la condizione tradizionale della donna e propongono nuove relazioni tra i generi nella sfera privata e una diversa collocazione sociale in quella pubblica. Il patrimonio ideale a cui attinge il f., nato come movimento organizzato nell’Ottocento, affonda le sue radici nella cultura illuministica, con le idee di eguaglianza, universalità della ragione e diritti inalienabili. Durante la Rivoluzione francese, per la prima volta le donne ebbero la possibilità di organizzarsi istituendo club femminili e di rivendicare quella universalità dei diritti da cui le escludeva un’interpretazione della categoria «uomo» ristretta al sesso maschile. Due opere classiche del primo f. furono I diritti delle donne (1792) dell’inglese M. Wollstonecraft, in aperta polemica con le idee di J.-J. Rousseau, secondo cui le donne dovevano essere educate all’obbedienza e al futuro ruolo di mogli; e la Dichiarazione dei diritti delle donne e delle cittadine (1792) di O. de Gouges, in cui si rivendicava il diritto delle donne all’assoluta eguaglianza politica e giuridica. Nella seconda metà dell’Ottocento, il f. passò dai discorsi sulla parità e sull’eguaglianza all’azione concreta per la conquista dei diritti politici e civili. I due grandi temi del f. ottocentesco furono la battaglia per la parità nel campo dell’istruzione e quella per il suffragio, cioè il diritto di voto. La Gran Bretagna fu il Paese pioniere nella rivendicazione del diritto di voto per le donne: il primo comitato per il suffragio femminile sorse a Manchester nel 1865. In questa prima fase il f. finì per identificarsi con il movimento per i diritti politici delle donne; femministe e «suffragette» divennero sinonimi. L’Australia fu il primo Paese in cui le donne ottennero il diritto al voto (1902); in Europa la strada fu aperta dalla Finlandia e dalla Norvegia (1906 e 1907), mentre l’Italia seguì solo nel 1945. Nel campo dell’istruzione il processo di parificazione fu ancora più lento e faticoso. In Francia un decreto del 1924 sancì la parità dell’istruzione secondaria femminile e maschile; in Inghilterra le università si aprirono alle donne verso la metà dell’Ottocento, eccetto le facoltà di Medicina e di Giurisprudenza; e anche dopo aver ottenuto l’ingresso nelle università, le donne non furono ammesse agli albi professionali. Nel 20° sec., sull’onda della contestazione giovanile del Sessantotto, il movimento femminista conobbe una nuova stagione e si impose all’attenzione con gesti clamorosi e provocatori. Il nuovo movimento femminista degli anni Settanta nacque dalla constatazione che, malgrado taluni successi, i modelli culturali maschili continuavano a essere dominanti e le donne restavano una «maggioranza oppressa». S’affermò la convinzione che occorresse passare dall’emancipazione alla «liberazione» delle donne andando alle radici della differenza di potere tra i due sessi: il f. soprattutto si mobilitò per la legalizzazione dell’aborto, in nome di una maternità consapevole e a questa richiesta si affiancò la battaglia per la diffusione della contraccezione. In questo periodo si approfondì la divergenza tra due correnti del f.: quella che poneva l’accento sulla differenza e quella che insisteva sull’eguaglianza tra i due generi. Per la prima, esisteva un’irriducibile diversità tra donne e uomini, per cui rivendicare l’eguaglianza significava costringere le donne ad adottare modi di essere e di pensare maschili, mentre la vera emancipazione consisteva nella creazione di una nuova cultura improntata ai valori e ai principi femminili. Secondo le sostenitrici dell’eguaglianza, invece, i generi maschile e femminile ‒ a differenza del sesso, che è un fatto biologico ‒ non sono realtà date dalla natura, bensì da ruoli, modelli di comportamento e di pensiero frutto della storia e della cultura.

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