GREGOROVIUS, Ferdinand

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 59 (2002)

GREGOROVIUS, Ferdinand

Alberto Forni

Nacque a Neidenburg, in Prussia orientale, il 19 genn. 1821 da Ferdinand Timotheus e da Wilhelmine Charlotte Dorothea Kausch. A partire dal 1838 studiò a Königsberg teologia, poi filosofia alla scuola di Karl Rosenkranz. Sempre a Königsberg pubblicò nel 1843 gli Höllenbriefe an seine lieben Freunde in Deutschland, satira antigesuita; nel 1845 il romanzo Werdomar und Wladislav, storia di due amici, un prussiano e un polacco, perseguitati per le idee liberali; nel 1848 (anno in cui seguì i moti liberali come giornalista), Die Idee des Polentums, "due libri di storia delle sofferenze della Polonia", dedicati a J. Lelewel, l'amico di G. Mazzini; nel 1849 Göthe's Wilhelm Meister in seinen socialistischen Elementen, ricerca del "sociale" nella seconda parte del romanzo di Goethe.

Deluso dalle promesse del '48 - l'anno dei professori in Parlamento, come lo avrebbe molti anni dopo definito in una lettera all'amico Franz Rühl -, si recò in Italia ed entrò in Roma il 2 ott. 1852. L'emozione provata - "Worte habe ich nicht zu sagen, was da alles auf mich einstürmte" -, comune a molti viaggiatori stranieri che varcavano la soglia della città eterna, si sarebbe trasformata, una volta superato il momento poetico, in una ricerca storica della grandezza di Roma non nell'appariscente antichità, ma nel meno visibile Medioevo. La ricerca negli archivi e nelle biblioteche venne sempre accompagnata da un'attenzione particolare agli eventi dell'Italia contemporanea, e ciò ha fatto del G. lo storico tedesco che più di ogni altro ha lasciato, nei Römische Tagebücher, nei Wanderjahre in Italien, nei numerosi articoli scritti per l'Allgemeine Zeitung di Augusta e nella copiosa corrispondenza, impressioni e giudizi sulla fase del Risorgimento da lui vissuta nei ventidue anni di soggiorno a Roma (1852-74).

I Römische Tagebücher, pubblicati per la prima volta da F. Althaus nel 1892, si estendono, nell'edizione di H.W. Kruft e M. Völkel (München 1991), anche al periodo successivo al soggiorno romano (1875-89). Le raccolte dei Wanderjahre, con cui il G. fotografò il "paesaggio storico" italiano, vennero pubblicate progressivamente tra il 1856 e il 1877.

Nei primi anni del suo soggiorno romano, il G. cercò di trovare il carattere intimo, "das innere Wesen", della città, gli elementi di riscatto nazionale in mezzo al silenzio e al letargo del presente. Frequentò i circoli dei poeti romani che, nell'articolo Poeti romani contemporanei uscito sull'Allgemeine Zeitung il 2 dic. 1858, giudicò negativamente perché troppo tradizionalisti, provocando il risentimento di G. Cugnoni (Vita di d. Giovanni Torlonia, Velletri 1859). Nel 1857 pubblicò sul Morgenblatt für gebildete Leser di Stoccarda un saggio sulla festa che ogni anno, il 25 aprile, ricordava l'anniversario della morte del Tasso e nel corso della quale i Romani di ogni ceto sociale salivano a S. Onofrio sul Gianicolo. Nel frattempo, nel 1854, era uscita Corsica, una storia dell'"isola degli esiliati" fondata sui documenti archivistici. Nel 1856 furono pubblicati i Wanderjahre, un'analisi, tratta dalla natura e dalla vita stessa, delle memorie storiche e insieme del carattere e della psicologia del popolo.

La sola introduzione storica venne tradotta dal dantista P. Perez, amico del G. fattosi poi rosminiano, e pubblicata nel 1857 col titolo Storia dei Corsi, nella "Piccola biblioteca" di F. Le Monnier. Si dovrà attendere il 1912 per veder completata da A. Marchi la versione dell'opera, che nel 1927 Gioacchino Volpe avrebbe considerato precorritrice nello studio del grande archivio vivente di costumi rappresentato dall'isola di Pasquale Paoli e di Napoleone.

Poeta egli stesso (una raccolta di Gedichte uscì postuma a Lipsia nel 1892), il G. mostrò vivo interesse per la poesia popolare. Già nel 1849 erano usciti sulla Neue Königsberger Zeitung i Polen- und Magyarenlieder; nel 1856 fu la volta dei Lieder des Giovanni Meli von Palermo (trad. ital. a cura di E. Alfano, Palermo 1915), studio su un "poeta nazionale" siciliano. Nel 1858 G. Strafforello dedicava al G., presentato quasi come un anti-Lamartine, una serie di articoli sulla Gazzetta piemontese che lo segnalavano come poeta e storico sensibile al fatto che "la terra dei morti sta per trasmutarsi in terra dei viventi".

Nel 1854 il protestante G. ebbe l'ispirazione di scrivere una storia di Roma nel Medioevo mentre si trovava sul ponte ai Quattro Capi, confrontando la vista del palazzo dei Cesari da una parte con il pittoresco delle casupole trasteverine dall'altra. La visione che ispira a scrivere la storia aveva i suoi precedenti in E. Gibbon, che aveva ascoltato i monaci salmodianti sul Campidoglio, e in G. Villani, che rimase ammirato della grandezza di Roma. Il G. dovette aver presente anche la questione della durata del Papato che Th.B. Macaulay aveva posto scrivendo di L. von Ranke e risolto affermando che il Papato sarebbe durato ancora il giorno in cui un neozelandese avesse contemplato dal ponte di Londra le rovine della chiesa di S. Paolo. E al mondo anglosassone guardava il G. pubblicando, nel 1857, Die Grabdenkmäler der Päpste, un opuscolo da lui ritenuto il vestibolo della grande basilica che stava erigendo alla Roma medievale, una sorta di passeggiata per la "Via Appia del Papato" che, nella seconda edizione del 1881, si sarebbe conclusa invece con la convinzione di una prossima fine della Chiesa romana.

Propostosi di scrivere la Geschichteder Stadt Rom im Mittelalter, il G. si trovò di fronte al problema della chiusura degli Archivi vaticani, presso i quali solo lo storico norvegese P.A. Munch aveva avuto la fortuna di accedere in quegli anni. Come il Ranke per scrivere i suoi Päpste tra il 1834 e il 1836 aveva cercato i documenti negli archivi romani delle famiglie nobili che avevano governato lo Stato pontificio, così il G. peregrinò, lontano da Roma, per gli archivi del Lazio e dell'Italia centrale e meridionale. Andò instaurando rapporti con uomini di cultura come il benedettino L. Tosti, che nel 1843 aveva pensato di stampare a Montecassino il Primato di Gioberti e che nel '48 vi aveva pubblicato la Storia della Lega lombarda; il trentino T. Gar, bibliotecario dell'Università di Napoli e archivista ai Frari, traduttore del Cola di Rienzo di F. Papencordt; lo storico del Vespro M. Amari, ministro dell'Istruzione pubblica che nel 1864 propose il G. per la nomina (rifiutata) a cavaliere dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro.

Il G. non era il primo a occuparsi della storia della Roma medievale. Lo avevano preceduto F. von Savigny con la Geschichte des römischen Rechts im Mittelalter, pubblicata a partire dal 1815, e H. Leo con la Storia degli Stati italiani (1842), che aveva sottolineato l'interesse universale di Roma determinato dalla fede e dalle credenze religiose. Sulla vita cittadina si era fermato soprattutto il cattolico F. Papencordt, con la Geschichte der Stadt Rom im Mittelalter (Paderborn 1857, completata da C. Höfler) e con il Cola di Rienzo und seine Zeit (Hamburg 1841): in entrambe le opere, ma soprattutto nella seconda, il Medioevo romano veniva presentato in modo drammatico e contraddittorio, oscillante tra mito del glorioso passato e un municipalismo che, per la concorrenza dei due altri fattori, l'Impero e il Papato, non riusciva mai a svilupparsi perfettamente, finendo così col dare ragione a C. Balbo, che nella Vita di Dante aveva deplorato le stolte e puerili speranze di restaurare la potenza di Roma antica.

Il mito di Roma operante ancora nei tempi moderni e nel processo unitario italiano era invece sentito come un valore positivo dal G., il quale desiderò intensamente l'unità nazionale italiana, che vedeva procedere parallelamente a quella tedesca. Tre grandi correnti confluivano nella Roma medievale: la Germania, l'Italia e il Papato. "L'unico premio che ne bramerei - scriveva a M. Amari nel 1864 - sarebbe l'assenso dell'Italia e della mia patria nel giudicare, ch'io abbia scritte quelle storie con imperturbata giustizia verso ambedue i grandi popoli, non che verso la grandezza del papato nel Medioevo". Grazie all'eccezionale ricchezza di documenti ritrovati negli archivi di tutta Italia, lo storico prussiano dimostrò che era possibile scrivere una storia cittadina della Roma medievale. Egli avvertì la grandezza di Roma come una titanica lotta tra trascendenza e temporale. Il porre sullo sfondo le grandi forze universali del Medioevo considerandole in vita fino ai propri tempi spinse la sua opera ben al di là degli interessi topografici o dell'erudizione d'archivio che si riscontreranno una generazione dopo nella Geschichte von Florenz del suo connazionale R. Davidsohn o nella Geschichte der Päpste del cattolicissimo L. von Pastor, due storie che, per opposti motivi, del G. furono emule, entrambe - come scrisse E. Sestan - opere di grandi eruditi, non di grandi storici.

Più di una volta lo storico protestante espresse ammirazione per la "sinistra grandezza" del Papato medievale, tanto da definire "barbaro" Napoleone rispetto a Gregorio VII. Ma il Papato e, in generale, la Chiesa romana sembravano aver esaurito la propria forza una volta compiuta l'unità della penisola. Non era pensabile, come sostenuto da Marco Minghetti, che la Chiesa fosse ancora capace di riformarsi al proprio interno magari legandosi col socialismo: "Potrà durare ancora per secoli come una caparbia rovina, un Colosseo morale, ma ormai ogni energia vitale e ogni pensiero volto al futuro si trovano lontano da essa. Non può accogliere in sé la libertà senza disgregarsi" (Römische Tagebücher, 10 febbr. 1878). Nessuna conciliazione era dunque possibile tra le due grandi tendenze nemiche, la Chiesa papale e lo Stato nazionale.

Nel tentativo di isolare, nella Roma medievale, una coscienza cittadina autonoma rispetto all'Impero e al Papato, il G. si imbatté tuttavia in una difficoltà quasi costante attraverso i secoli: essa, nel momento in cui cercava di brillare di luce propria, stentava ad apparire; allorché si mostrava sfolgorante dei raggi emanati dalle grandi forze storiche (il Papato, l'Impero e poi anche l'Italia del Rinascimento), spariva del tutto, quasi inghiottita dalla marea, condannando i discendenti degli antichi Romani a una morte civile. I vari tentativi dei Romani di reggersi da soli, senza il papa, da Alberico alla renovatio Senatus del 1143, a Brancaleone, erano sempre finiti in una diminuzione della grandezza dell'idea di Roma.

Contemporanea alla Geschichte der Stadt Rom im Mittelalter (pubblicata tra il 1859 e il 1872), la Geschichte der Stadt Rom del cattolico renano A. von Reumont, scritta tra il 1867 e il 1870 su commissione di Massimiliano II di Baviera, assunse, rispetto al tentativo del G. di ritrovare un'autonoma storia cittadina, una posizione diametralmente opposta risolvendosi in sostanza in una storia del Papato. Se per il G. la Roma medievale appartenne, in un senso ideale, all'umanità, per Reumont il Medioevo fu per la città più distruttore che creatore, come dimostra l'essere stato il Municipio romano ben poca cosa e agitato da un perenne disordine istituzionale. Le due opere vennero spesso contrapposte dai contemporanei, che nelle recensioni diedero vita a una polemica storiografica. Un contrasto reso più acuto dal fatto che il Reumont, a differenza del G., non considerava affatto l'andata a Roma nel 1870 come il compimento di diritto della storia della città eterna, ma come un'usurpazione rivoluzionaria. Se il confronto tra le due storie di Roma si è poi risolto con l'assoluta prevalenza di quella del G., sia per l'oggettiva messe di nuovi documenti arrecati, sia per il fascino dello stile che ha contribuito alla sua fortuna, l'opera del Reumont (che, a differenza dell'altra, comprendeva anche l'Antichità) registrò comunque i giudizi positivi di A. Potthast per l'equilibrio raggiunto tra la fantasia dilatata oltre misura dal G. e il bel frammento lasciato incompiuto di Papencordt, di Pastor e successivamente di H. Jedin.

Nonostante il G. lamentasse la scarsa considerazione in cui gli Italiani tenevano la sua opera, la Geschichte der Stadt Rom im Mittelalter venne recensita positivamente sull'Archivio storico italiano, tra il 1862 e il 1869, dal sopravvissuto allo Spielberg Gabriele Rosa. Il suo autore, nel 1863, veniva qualificato di passaggio su Civiltà cattolica come "degno alunno" dei Centuriatori di Magdeburgo (s. 5, XIV [1863], 5, p. 398). Per tutto il periodo della stesura, tuttavia, il G. mantenne un atteggiamento assai prudente e alieno dalla polemica, affinché la ricerca storica, che toccava tasti assai delicati, non ne risultasse turbata. Se non poté accedere agli Archivi vaticani, frequentò però - grazie a una lettera di presentazione del Reumont al cardinale G. Antonelli del 24 maggio 1859 - la Biblioteca Vaticana. Presentatosi, per non destare sospetti, come archeologo "dei tempi antichi e del medio evo", si avvicinava ai vari codici sotto la maschera di "antiquarius innocuus" dedito a questioni di topografia. Il suo lavoro registrò una svolta allorché gli fu concesso di esaminare le trascrizioni che P.L. Galletti aveva fatto dei documenti relativi alle più antiche chiese romane, un vero tesoro di materiale archivistico altomedievale.

La Geschichte, dopo il fallimento dei contatti intercorsi con G. Barbera, venne pubblicata dall'editore veneziano Antonelli nella traduzione di Renato Manzato. Il primo volume, corrispondente ai primi due tedeschi, uscì nell'agosto 1866, quasi al termine delle ostilità con l'Austria. Il G., insoddisfatto della traduzione, oppose un rifiuto al suo proseguimento, che R. Fulin, il futuro direttore dell'Archivio veneto, avrebbe voluto intraprendere a proprie spese.

Il 25 luglio 1871 l'Allgemeine Zeitung pubblicò un articolo anonimo sulla caduta del papato a Roma (Der Sturz des Papstthums in Rom). Il G. lo aveva scritto con toni forti per stimolare la scarsa attenzione dei Tedeschi verso i fatti italiani. D'altronde lo stesso storico prussiano il 23 sett. 1870, appresa la notizia dell'entrata degli Italiani in Roma mentre si trovava a Stoccarda, annotava nei Römische Tagebücher che essa era piccola cosa di fronte al dramma universale che poneva la Germania in primo piano. Il 5 ag. 1871 lo stesso articolo compariva con il nome del G., in prima pagina, su La Libertà. Gli Italiani vi potevano leggere i giudizi sul Papato di Machiavelli e di Guicciardini, accanto a durissime accuse verso i gesuiti, il cui fanatismo veniva considerato uno dei più potenti fattori della dissoluzione del Papato politico. Il G. profetizzava inoltre una rivoluzione religiosa guidata dalla Germania, che avrebbe condotto a una federazione delle Chiese, limitando il Papato alla Chiesa romana. Il G., che nell'ottobre 1869 aveva declinato, a motivo della discrezione cui lo obbligava la propria posizione scientifica in Roma, la sollecitazione di I. von Döllinger a inviargli notizie su fatti e persone del concilio Vaticano I, comprese che la pubblicazione del nome gli avrebbe attirato gli strali della gerarchia cattolica, con la conseguente perdita dell'accesso alla Biblioteca vaticana. Né si poteva pensare che il governo italiano attuasse nei confronti degli archivi vaticani quel "sacco di Roma nell'interesse della scienza storica" che lo storico aveva auspicato dopo la presa della città. Nel frattempo La Civiltà cattolica, recensendo con elogi nel 1871 la Geschichte del Reumont, coglieva l'occasione per giudicare la Geschichte del G., il protestante che a differenza di altri studiosi tedeschi aveva avuto la presunzione di scrivere non di un solo papa ma dell'intera storia del Papato, quale opera di un romanziere gradito alla numerosa classe dei semidotti piuttosto che di uno storico ferrato.

Il mondo liberale ne faceva un cavallo di battaglia. F. De Sanctis lo additava nel 1872 ai suoi studenti napoletani come uno storico che si era saputo sollevare dal momento poetico a quello della ricerca per pervenire infine nella regione ideale della filosofia della storia ove si possono determinare le leggi stesse delle vicende umane. Ma, aggiungeva, "quel seppellirsi negli archivii, la tenacità in un lavoro che diventa scopo nella vita, non son cose che si trovano fra noi" (La letteratura italiana nel secolo XIX. Scuola liberale - scuola democratica, Napoli 1944, pp. 56 s.). Citando De Sanctis, B. Croce avrebbe recato il G. come esempio della laboriosità e scrupolosità tedesche (Storia della storiografia italiana nel secolo decimonono [1921], II, Bari 1964, p. 44). Nel 1873 T. Mamiani pregava il G. di portare a termine "l'opera pietosa di aiutare il nostro risorgimento" e di non farsi sedurre da Berlino, divenuta "la Roma de' nostri tempi". Intanto nel 1872 erano usciti i primi due volumi della nuova traduzione italiana della Geschichte (l'editore e il traduttore erano i medesimi della prima edizione interrotta), e nello stesso anno, il 13 luglio, il Consiglio comunale di Roma votava un finanziamento per proseguire la stampa.

Rappresentante della dotta Germania, il G. era pubblicamente lodato alla Sapienza da I. Ciampi che lo citava anche nelle sue conferenze alla Scuola superiore femminile. La lettura della traduzione della Geschichte era pure diffusa tra i docenti dei ginnasi e dei licei, come dimostra l'elevata percentuale di esponenti del mondo scolastico, soprattutto del liceo E.Q. Visconti di Roma, tra i firmatari della petizione che nel 1876 propose al sindaco la concessione al G. della cittadinanza romana.

Anche il mondo politico e la burocrazia lo leggevano avidamente. Con la sovvenzione accordata, il Comune di Roma poteva disporre di un certo numero di copie da distribuire; tra coloro che ne fecero richiesta, c'erano P.S. Mancini, i prefetti di Palermo e di Ancona, il segretario generale del ministero delle Finanze F. Seismit Doda, il capo di gabinetto del ministero di Grazia e Giustizia, funzionari dell'ufficio di statistica. Un almanacco romano del 1875 ospitava, accanto a pensieri tratti dalle Storie di Tacito, pensieri su Roma cavati dalla Storia del Gregorovius. Nel 1878, in un'udienza privata, la regina Margherita avrebbe chiesto invano allo storico tedesco di scrivere una storia di casa Savoia.

Nonostante il successo, il G. si ritrovò straniero in Roma, come il goto Teodorico, cui amava paragonarsi. Alle celebrazioni modenesi del centenario di L.A. Muratori nel 1872 contro di lui si levò la voce di G. Carducci, il quale, accanto agli indirizzi di adesione di A. Manzoni, G. Capponi e F. Guizot, lesse quello del "signor Gregorovius, storico tedesco di terz'ordine e poeterellino di quarto, il quale si dà l'aria di protegger l'Italia, per gratitudine forse a quegl'italiani che gli gettan del grande storico in faccia" (Ed. naz. delle opere, XXIII, Bozzetti e scherme, Bologna 1944, p. 52). "Tedesco piacente all'Italia" lo avrebbe definito in altra occasione il Carducci con la mente rivolta, una volta crollato il bonapartismo, alla Francia del 1789, la rigeneratrice del genere umano, alla letteratura francese, "bella, umana, geniale, espansiva", alla fantasia storica di Michelet.

Nel 1874 arrivò la condanna della Geschichte da parte della congregazione dell'Indice. Il G. stesso comprese di essere stato utilizzato come scudo intellettuale contro le persecuzioni che O. von Bismarck, novello Diocleziano, infliggeva alla Chiesa cattolica. Il decreto di condanna portava la data del 25 febbraio e venne pubblicato il 1° marzo sull'Osservatore romano. Nel gennaio era stato arrestato il cardinale M. Ledóchowski, nel febbraio furono varate le leggi prussiane sul matrimonio civile. Il 4 marzo l'Unità cattolica scriveva: "Bismarck c'insegna a fare le leggi e ci detta gli articoli del codice penale […], Moltke ci mostra come dobbiamo ordinare l'esercito e preparare le nostre fortificazioni, Gregorovius viene a raccontarci la storia dei nostri padri. Sotto l'Impero napoleonico era Edmondo About che ci dava lezioni di storia romana, ed ora sotto l'Impero tedesco è Ferdinando Gregorovius!".

La stessa petizione di simpatizzanti che, due anni dopo, chiese per il G. la cittadinanza romana scopriva le proprie tendenze proponendo di cancellare con la concessione del sommo onore l'onta di averne insignito nel 1849 il violento restauratore del potere pontificio, il generale francese N.-C.-V. Oudinot. Il G. si trovò così esposto, suo malgrado, all'accusa di eccesso di germanismo. Nel gioco delle fazioni filofrancese e filogermanica prevalse quest'ultima e il Consiglio comunale votò la concessione della cittadinanza romana l'8 marzo 1876, due giorni prima che l'ambasciatore di Germania, R. von Keudell, fedelissimo del Bismarck, presentasse le proprie credenziali al Quirinale.

Il G. si sentiva impegnato per un rinnovamento morale d'Italia. Lo dimostra il legame con Raffaele Mariano, suo principale riferimento italiano dopo la partenza da Roma nel 1874. Indirizzato al G. da Rosenkranz, Mariano, unico seguace del hegeliano napoletano Augusto Vera, riteneva necessario accompagnare il risorgimento politico con uno religioso, idea che gli fruttò l'appellativo di precursore del modernismo con il quale venne accomunato nel duro giudizio crociano. Insieme con Mariano il G. fece un viaggio in Puglia nel 1874; il frutto fu il quinto e ultimo volume dei Wanderjahre, tradotto dallo stesso Mariano e pubblicato nel 1882. Nel 1872 il senatore Augusto di Cossilla aveva curato, con il titolo Ricordi storici e pittorici d'Italia (Milano), la prima antologia italiana dei Wanderjahre, presentandola come una sorta di passatempo cui l'autore si era dedicato per distrarsi da studi più seri e per dare sfogo al suo senso per le bellezze naturali: Mariano osservò che, lungi dal limitarsi a questo aspetto, il G. aveva rivelato pure la fiacchezza e la miseria del presente delle Puglie. Il G. veniva così inserito nel filone delle Lettere meridionali inaugurato negli anni 1875-78 da P. Villari.

Nel 1874, nella traduzione di Mariano, uscì a Firenze con Le Monnier la Lucrezia Borgia, opera di successo, con la quale il G. aveva inteso demolire la leggenda romantica che presentava Lucrezia come una furia dai lineamenti di una grazia, con l'ampolla del veleno in una mano e il pugnale nell'altra. Il vero argomento del libro era la vita del Rinascimento italiano descritta in quadri smaglianti, quasi pronti per la scena, tanto che P. Cossa vi si ispirò per il dramma I Borgia. Recensita da Emma Ferretti Viola sulla Nuova Antologia, cui il Mariano rispose dalle colonne del Diritto, la Lucrezia fu pure occasione di polemica sulle qualità della donna in Italia e in Germania. La censura ecclesiastica, che in quell'anno si pronunciava sull'opera maggiore, mantenne un singolare silenzio.

A spingere il G. a lasciare Roma, il 14 luglio 1874, furono i mutamenti subiti dalla città dopo il 20 settembre. L'Urbe gli sembrava sparire come gli incantesimi di Prospero nella Tempesta di Shakespeare, Vittorio Emanuele e la sua corte gli pareva facessero nella nuova capitale la figura dei prigionieri scolpiti sugli antichi archi di trionfo. Già nel 1864 aveva pensato che si dovesse fare di Roma una repubblica, lasciando al papa la città e il territorio circostante e dando ai Romani la cittadinanza italiana, non molto diversamente da come il suo amico benedettino Tosti avrebbe voluto nel 1849 il papa presidente della Repubblica romana. Il venir meno del carattere cosmopolita avrebbe creato per il G., non meno che per F. Dostoevskij, un vuoto nella società europea. Così il prussiano si augurò che Roma divenisse un giorno, invece che del Papato, sede del presidente degli Stati Uniti d'Europa. Tra gli scritti contro i deturpamenti urbanistici sono da ricordare Sulla storia delle inondazioni del Tevere (trad. di R. Ambrosi, Roma 1877, contro il progetto di Garibaldi di deviare il fiume) e Der Umbau Rom's (1886, in Kleine Schriften für Geschichte und Kultur, II, Leipzig 1892, pp. 281-315).

Il giudizio ecclesiastico sulla Geschichte venne confermato in una lunga recensione apparsa ne La Civiltà cattolica nel 1877. Se allo storico protestante veniva riconosciuto che la sua opera era "insigne omaggio reso alla maestà di Roma, e di Roma papale", gli veniva però contrapposto Ranke, che pure era stato posto all'Indice nel 1841, il quale era stato capace di elevarsi a quelle regioni serene della verità "dove tutti gl'intelletti sono o divengono naturalmente cattolici". Nel 1879 uscì a Roma la versione italiana dei Grabdenkmäler der Päpste (Le tombe dei papi) che si concludeva con la profezia della fine del Papato, non solo temporale. Anche quest'opera venne messa all'Indice, insieme con il saggio, tradotto e uscito nel medesimo anno, su Urbano VIII e la sua opposizione alla Spagna e all'imperatore, episodio della guerra dei Trent'anni fondato sul contrasto tra la modestia del potere papale e i grandi movimenti europei. Sempre nel 1879 P. Balan scrisse Le tombe dei papi profanate da F. G. vendicate colla storia, accomunando lo storico protestante ai catari, agli albigesi, a fra Dolcino, ai fraticelli. Quando nel 1890 lo storico austriaco Th. von Sickel venne ricevuto in udienza da Leone XIII, il papa gli disse che lo annoverava tra i buoni protestanti, non tra i malintenzionati come il G. (Th. von Sickel, Römische Erinnerungen, Wien 1947, p. 191).

Minore successo ebbero altre opere scritte lontano da Roma, come la Geschichte der Stadt Athen im Mittelalter (Stuttgart 1889) e Atenaide (Torino 1882, tradotta da R. Mariano), che non eguagliò la Lucrezia Borgia. L'ultimo lavoro, Die grossen Monarchien, oder die Weltreiche in der Geschichte (un discorso tenuto all'Accademia delle scienze di Monaco il 15 nov. 1890), apparso tradotto l'anno dopo nella Nuova Antologia, conteneva un appello affinché la Germania non inseguisse i sogni di una signoria intellettuale del mondo cadendo in una pedantesca mania di grandezza e non ripudiasse la letteratura classica nazionale, sostegno della nazione nei momenti di debolezza.

Il G. morì a Monaco di Baviera il 1° maggio 1891.

L'uscita, nel 1877, del primo numero dell'Archivio della Società romana di storia patria aveva segnato il distacco dagli storici romani. Esso si apriva con un articolo di O. Tommasini sulle più recenti storie di Roma che il G. considerò offensivo; a di là della polemica personale, l'articolo era il manifesto delle nuove tendenze, in cui alla storia ad narrandum subentrava la storia ad probandum. Si aprivano gli archivi, si pubblicavano le fonti, la storia di Roma nel Medioevo non era più storia universale, descrizione dei fatti cittadini sullo sfondo di eventi più grandi, ma storia locale separata dalle vicende del Papato e dell'Impero. Il modello di storia creato dal G. sarebbe rimasto però presente a molti, da A. D'Ancona a P. Fedele, da G. Falco a R. Manselli. Come affermò C. Cipolla nella commemorazione torinese del G., egli "diede carne e sangue alle ossa dei morti, e loro infuse nuovamente la vita". A lui, storico dei destini di una città rimasti sempre uguali attraverso i secoli, può essere a buon diritto appropriato il detto di Paolo Giovio: Non omnis moriar in Roma.

Tra le edizioni recenti di opere del G. si segnalano: Geschichte der Stadt Rom im Mittelalter vom V. bis zum XVI. Jahrhundert, a cura di W. Kampf, Darmstadt 1963 (trad. it. a cura di A. Casalegno, Torino 1973); Wanderjahre in Italien, a cura di H.-W. Kruft, München 1978 (3a ed.); Geschichte der Stadt Athen im Mittelalter. Von der Zeit Justinians bis zur türkischen Eroberung, ibid. 1980; Römische Tagebücher,1852-1889, a cura di H.-W. Kruft - M. Völkel, ibid. 1991.

Fonti e Bibl.: Tra i principali fondi archivistici relativi a corrispondenze epistolari del G. con italiani si sono tenuti presenti: M. Amari (Roma, Arch. centr. dello Stato, Min. della Pubblica Istruzione, Personale 1860-1880, Gregorovius; Palermo, Bibl. centr. della Regione siciliana, Carte Amari); T. Gar (Trento, Bibl. comunale, Mss., 2257); G. Gozzadini (Bologna, Bibl. comunale dell'Archiginnasio, Mss. Gozzadini, 442); T. Mamiani (Pesaro, Bibl. Oliveriana, Carte Mamiani, 6986-6987); P. Villari (Bibl. apostolica Vaticana, Carte Villari, 24).

Tra le fonti edite: H. von Petersdorff, Briefe von F. G. an den Staatssekretär H. von Thile, Berlin 1894; S. Münz, F. G. und seine Briefe an Gräfin Ersilia Caetani Lovatelli, Berlin 1896; Briefe von F. G. an Theodor Heyse, in Mitteilungen aus dem Litteraturarchive in Berlin, Berlin 1899, pp. 175-200; H. Houben, Freundesbriefe von F. G., in Deutsche Rundschau, aprile-giugno 1916, n. 167, pp. 42-58; Id., F. G. als Journalist, ibid., aprile-giugno 1917, n. 171, pp. 223-242; H. Granier, Neue Briefe von F. G., in Neue Preussische Zeitung, 29 e 31 ott. 1922; O. Dammann, F. G. und G.G. Gervinus, in Zeitschrift für die Geschichte des Oberrheins, n.s., LVI (1943), pp. 621-636; F. Seebass, Ignaz von Döllinger und F. G.: unbekannte Dokumente ihrer Freundschaft, in Deutsche Rundschau, LXXX (1954), pp. 150-155; T. Leccisotti, Alcune lettere di F. G. a monaci cassinesi, in Benedictina, XIV (1967), pp. 135-149.

Tra gli studi: C. Cipolla, Commemorazione di F. G., in Atti della R. Accademia delle scienze di Torino, XXVI (1890-91), pp. 660-669; F.X. Kraus, Essays, II, Berlin 1901, pp. 137-147; J. Hönig, F. G. der Geschichtschreiber der Stadt Rom. Mit Briefen an Cotta, Franz Rühl und Andere, Stuttgart-Berlin 1921 (nuova ed., senza le lettere, Stuttgart 1940); P. Kehr, F. G. und Italien, in Deutsche Rundschau, 1921, n. 187, pp. 194-200; A. Muñoz, F. G. e le sue opere, Città di Castello 1938; G. Falco, Storia e storici di Roma medievale (1937), in Id., Albori d'Europa. Pagine di storia medievale, Roma 1947, pp. 357-364; R. Manselli, La storiografia romantica e Roma medievale, in Arch. della Società romana di storia patria, C (1977), pp. 49-66; F.C. Scheibe, Mittelalterbild und liberaler Fortschrittsglaube in der Geschichtschreibung von F. G., in Archiv für Kulturgeschichte, LXI (1979), pp. 191-230; A. Forni, La questione di Roma medievale. Una polemica tra G. e Reumont, Roma 1985; F. G. und Italien. Eine kritische Würdigung, a cura di A. Esch - J. Petersen, Tübingen 1993; A. Forni, La fortuna di G. in Italia, in La Cultura, XXXI (1993), pp. 479-504.

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