DE NANZIO, Ferdinando

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 38 (1990)

DE NANZIO, Ferdinando

Agostino Macrì

Nacque a Pescocostanzo (L'Aquila) il 2 ag. 1802 da Protasio e da Anna Raynaldi. Compiuti nel paese natale i primi studi, di carattere letterario, si trasferì a Napoli per seguire quelli universitari. In questa città (dove poi si stabilirà in modo definitivo) conseguì, sotto la direzione di V. Laura, la laurea in medicina. In quel periodo a Napoli era nuovamente attiva la scuola di veterinaria, da non molti anni riaperta dal governo borbonico, dopo alcune interruzioni, legate alle vicende politiche che si erano verificate dal 1795, anno della sua fondazione. Il D., attratto dalla disciplina, chiese di poter frequentare i corsi e, facilitato dalla sua esperienza di medico, fu uno dei primi a conseguire il "brevetto" di veterinario. La completezza della formazione e il grande interesse per questo settore di studi gli aprirono le porte per una brillante attività scientifica, didattica e professionale.

Nel 1825 i responsabili della scuola veterinaria, a seguito di un regolare concorso, gli affidarono l'incarico di "aiutante in clinica" . Il 5 aprile dello stesso anno egli fu nominato veterinario del "Real Sito di Persano", dove divenne responsabile delle "Reali Cavallerie". In funzione di questo incarico, il 7 maggio 1827, per ordine del re, venne dichiarato "professore onorario" dello stabilimento veterinario e consulente della facoltà veterinaria tutte le volte che occorresse "per lo bene del Real Servizio". In quel periodo di lotta politica e ideologica il mondo accademico non era esente da dissidi e da polemiche, su cui pesava anche l'influenza clericale. Furono rappresentanti del clero che, appunto, riuscirono a far nominare il D. professore titolare di giurisprudenza veterinaria, in sostituzione del prof. Vincenzo Granchi, allontanato per motivi politici.

Nel 1834 il governo borbonico incaricò il D. di effettuare un viaggio nell'Europa centrale per l'acquisto di cavalle e stalloni per il miglioramento delle razze "reali" e di stalloni da immettere nelle stazioni di monta pubblica. In tale occasione egli ebbe modo di visitare le scuole di veterinaria di Vienna, Dresda, Berlino, Copenaghen, Hannover, Stoccarda e Monaco; completò le sue conoscenze sulle scuole di veterinaria europee visitando, nel 1835, la facoltà francese e quella di Londra.

Proprio sulla base della notevole esperienza acquisita, il 27 apr. 1835 fu nominato direttore della scuola di veterinaria; mantenne l'incarico fino al 10 ott. 1861, allorché venne collocato a riposo.

Il D. esercitò la direzione della scuola in un periodo - abbiamo detto - assai movimentato e così dovette superare molte difficoltà per svolgere il proprio lavoro. Egli riuscì comunque a organizzare una struttura scientifica e didattica di primaria importanza, tanto che in pratica deve essere ritenuto uno dei principali artefici della organizzazione dell'attuale facoltà di medicina veterinaria di Napoli dalla quale, come è noto, ha avuto origine una scuola che si è affermata sia in Italia sia all'estero; nemico del cieco empirismo, adottò e diffuse tra i suoi allievi il metodo clinico della pratica razionale, per cui S. Falconio, che fu uno dei più autorevoli esponenti della medicina veterinaria, lo riteneva il vero riformatore della scuola veterinaria napoletana.

Il D. non si limitò all'insegnamento, ma si dedicò con passione all'attività pratica, mantenendo i propri incarichi presso le "scuderie reali", tanto che nel 1847 fu nominato "veterinario in capo del Real Esercito". Con la caduta dei Borboni e l'avvento di Vittorio Emanuele II, mantenne le proprie posizioni: fu infatti nominato "ispettore veterinario delle provincle meridionali" e, nel 1861, confermato come "veterinario delle reali scuderie". Conservò i vari incarichi fino alla morte, avvenuta a Napoli il 19 nov. 1873.

L'attività scientifica del D. risentiva ancora dell'influenza della mascalcia, come chiaramente appare dai suoi lavori: nel 1842 pubblicò a Napoli Esippognosia, ovvero, Conoscenza esterna del cavallo, contenente la denominazione e la descrizione delle parti esterne; le proporzioni; le bellezze ed i difetti; l'età, i mantelli; le andature e la scelta del cavallo; con appendice su le qualità del bue. Nel 1843 pubblicò sempre a Napoli un trattato teorico-pratico riguardante la ferratura degli equini.

Egli, tuttavia, non mancò di affrontare i diversi problemi che interessano il veterinario: nel 1846, sempre a Napoli, pubblicò il Dizionario di medicina e chirurgia veterinaria, contenente le malattie di tutti gli animali domestici e quelle dette redibitorie, e le epizootiche del nostro Regno, con vocabolario dei nomi vernacoli delle malattie, e con ricettario. Studiò anche l'evoluzione delle più importanti malattie infettive che colpiscono gli animali sotto il profilo sia clinico sia epidemiologico, descrivendone la sintomatologia e le modalità di diffusione.

Fornì un valido contributo alla chirurgia, e a questo proposito si ricorda una sua tecnica di intervento per ridurre alcune forme di claudicazione nel cavallo, che venne presentata alla Reale Accademia di medicina di Parigi e accolta con grande interesse dai più autorevoli cattedratici della scuola di medicina veterinaria di Alfort, considerata la più importante di tutta Europa.

Seguì con interesse il fenomeno della ibridazione ed ebbe modo di osservare alcuni casi di parti di mule. Tali osservazioni furono corredate da analisi effettuate sul latte prodotto dalle mule in confronto con il latte delle asine e delle cavalle.

Il suo costante interesse per la ricerca, l'insegnamento e l'attività professionale gli consentì di restare uno dei capisaldi non solo della facoltà di medicina veterinaria napoletana, ma del mondo veterinario italiano.

Bibl.: S. Baldassarre, La Regia Scuola superiore di medicina veterinaria di Napoli dalla sua origine a oggi (1795-1910), Napoli 1911; V. Chiodi, Storia della veterinaria, Bologna 1981, p. 453.

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