LÉGER, Fernand

Enciclopedia del Cinema (2003)

Léger, Fernand

Gianni Rondolino

Pittore, scenografo, costumista, cineasta francese, nato ad Argentan (Orne) il 4 febbraio 1881 e morto a Gif-sur-Yvette il 17 agosto 1955. I suoi rapporti con il cinema furono saltuari, concretizzandosi sostanzialmente in un solo film, Le ballet mécanique, realizzato fra il 1923 e il 1924 con la collaborazione di Dudley Murphy, ma non per questo meno significativi, sia riguardo allo sviluppo della sua pittura, sia in rapporto con il cinema d'avanguardia.

Stabilitosi a Parigi nel 1898, lavorò in un primo momento come disegnatore di architettura e ritoccatore di fotografie. Tra il 1910 e il 1914 in relazione con il Cubismo, L. pervenne a un'idea di dinamismo che esaltava il senso meccanico della vita moderna e che lo avrebbe avviato a riflettere anche sul cinema. Sin dal 1913, nel breve saggio Les origines de la peinture et sa valeur représentative (in "Montjoie", nr. 8 e nr. 9-10), egli scriveva: "tengo a segnalare che le realizzazioni meccaniche moderne come la fotografia, il cinematografo […] sostituiscono efficacemente e rendono ormai perfettamente inutili, nell'arte pittorica, lo sviluppo del soggetto visivo, sentimentale, rappresentativo e popolare". Di qui il suo interesse per un 'nuovo realismo' che ponesse al centro l'oggetto, di qui la frequentazione del mondo del cinema e del teatro, di qui infine la scoperta di Charlie Chaplin, nel 1916, grazie a G. Apollinaire. Un modo per allargare il suo orizzonte conoscitivo, per superare i limiti della pittura da cavalletto, per affrontare la nuova estetica della macchina. Nel 1919 illustrò il libro di B. Cendrars La fin du monde filmée par l'Ange Notre-Dame, concepito come un 'film sulla carta', e l'anno successivo il poema cinematografico Der Chaplinade di Y. Goll; nel 1922 preparò i manifesti per il film La roue (1923; La rosa sulle rotaie) di Abel Gance, sul quale scrisse un breve saggio critico, in cui metteva in luce il valore plastico di certe parti del film, "laddove l'elemento meccanico svolge un ruolo preponderante, laddove la macchina da presa diventa personaggio principale, attore principale" (ripubblicato nell'importante raccolta di testi e articoli di L. Fonctions de la peinture, 1965, p. 160); nel 1923 infine collaborò, con Robert Mallet-Stevens, Alberto Cavalcanti, Claude Autant-Lara e Pierre Chareau, alle scenografie di L'inhumaine (1924; Futurismo) di Marcel L'Herbier. Questi contatti diretti con il cinema lo portarono nei medesimi anni alla realizzazione del citato Le ballet mécanique, di cui sono conservate significative 'note preparatorie' (pubblicate in Bauquier, 1987) e sul quale lo stesso L. scrisse pagine illuminanti (poi pubblicate in Fonctions de la peinture, pp. 164-67), in cui si legge, fra l'altro: "A quell'epoca realizzavo dei quadri con degli oggetti, come elementi attivi, liberi da ogni atmosfera e in rapporti nuovi. I pittori avevano già distrutto l'oggetto. Come nei film d'avanguardia si andava distruggendo lo scenario descrittivo. Ho pensato che que-sto oggetto negletto poteva, nel cinema, prendere così il suo valore. Partendo di lì, ho lavorato a questo film. Ho preso degli oggetti molto comuni che ho trasposto sullo schermo dando loro una mobilità e un ritmo molto voluti e molto calcolati". Le ballet mécanique è dunque in primo luogo esaltazione dell'oggetto e sua personalizzazione. Le varie tecniche cinematografiche che vennero impiegate, anziché essere una sorta di collage dadaista come nei film di Man Ray (che, fra l'altro, era stato contattato da Murphy per la realizzazione del film, ma aveva rifiutato), servivano a evidenziare la plasticità e il dinamismo degli oggetti. Così non sono puro gioco formale i triangoli che inframmezzano il balletto visivo, o l'alternanza dei volti stilizzati in un contrasto figurativo e ritmico violento; e neppure è un semplice omaggio a Chaplin il balletto di Charlot ottenuto con l'animazione delle parti staccate del personaggio, che L. aveva disegnato per il testo di Goll e che avrebbe probabilmente ripreso nel film Charlot cubiste, da lui progettato e non realizzato, di cui esiste una sinopsi in tre versioni (pubblicata in P. Descargues, Fernand Léger, 1955, pp. 17-18). Sono in realtà, quei 'giochi', frammenti di cinema che si inseriscono in un discorso formale rigoroso, tanto da essere considerati elementi di una nuova teoria della visione. Da questo punto di vista ‒ in rapporto con altri film dell'avanguardia storica ‒ l'importanza di Le ballet mécanique fu notevole, tanto da colpire favorevolmente e profondamente Sergej M. Ejzenštejn, che nella sua visita a Parigi nel 1930 volle incontrare L., e del quale, in alcuni suoi film (per es. Staroe i novoe, 1929, Il vecchio e il nuovo), si avverte l'influenza. In seguito L. ebbe ancora qualche saltuario rapporto con il mondo del cinema, ma i suoi interessi si stavano spostando verso il teatro e anche verso una ripresa cospicua dell'attività pittorica. Nel 1934 Alexander Korda gli diede l'incarico di disegnare le scenografie e i costumi per il film Things to come (1936; La vita futura) di William Cameron Menzies, da lui prodotto, ma le riprese ritardarono e nacquero contrasti con la produzione. Dieci anni più tardi, negli Stati Uniti, accettò l'offerta di Hans Richter di collaborare al film collettivo Dreams that money can buy (1948), scrivendo lo scenario di The girl with the prefabricated heart, in cui dei manichini animati interpretano una strana storia d'amore.

Bibliografia

R. Garaudy, Pour un réalisme du XXe siècle. Dialogue posthume avec Fernand Léger, Paris 1968.

S.D. Lawder, The cubist cinema, New York 1975 (trad. it. Genova 1983).

G. Bauquier, Fernand Léger: vivre dans le vrai, Paris 1987.

Fernand Léger et le spectacle, Paris 1995.

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