FILIPPI

Enciclopedia Italiana (1932)

FILIPPI (οἱ Φίλιπποι, Philippi)

Doro LEVI
Giulio GIANNELLI

Fiorente città antica, situata su una ripida altura delle pendici settentrionali del Pangeo, sul fiumicello Gangite a est dello Strimone, e a 18 stadî a ovest del passo dei Sapei, nella parte cioè della Tracia attigua alla Macedonia, non lungi dall'insenatura del mare tracio di fronte a Taso. I Tasî fino dal sec. VI a. C. possedevano in questo punto del continente una colonia mineraria, chiamata Dato, la cui regione nell'interno si estendeva fino alle sorgenti dette Crenides; sulla ricchezza d'oro e di argento della regione ci informa già Erodoto. In seguito le tribù pangee ricacciarono i Tasî, ma nel 361 a. C. l'oratore ateniese Callistrato rifondò la colonia di Crenides con l'aiuto di un contingente tasio. Poco più di due anni più tardi però Filippo di Macedonia s'impadronì del ricco territorio minerario, e ribattezzò Crenides, dal proprio nome, in Filippi.

Il nome della città è strettamente legato alla vittoria di Ottaviano contro Bruto e Cassio (v. appresso), in seguito alla quale Filippi fu innalzata al grado di colonia romana (Col. Augusta Iulia Philippensis). A Filippi l'apostolo Paolo fondò nel 53 d. C. la prima comunità cristiana; la città fioriva ancora nel Medioevo, e le sue rovine hanno conservato fino a oggi il nome antico (Filibah, o Filibegik). Restano alcune tracce della cinta ellenica, in gran parte sostituita da una cinta di bassa epoca, forse del sec. IV d. C. rinforzata in periodo bizantino; cospicui ruderi si conservano pure nell'interno della città, dove importanti scavi della Scuola francese di Atene, iniziati fino dal 1914, hanno rimesso alla luce specialmente il teatro e un santuario di divinità egizie.

La battaglia di Filppi. - La battaglia di Filippi si combatté nella pianura omonima, nell'autunno dell'anno 42 a. C., fra gli eserciti di Antonio e Ottaviano e quelli dell'opposizione repubblicana, capitanata da Bruto e da Cassio. Per quantità di effettivi e di unità combattenti, la battaglia deve riguardarsi come una delle più notevoli dell'antichità: i due belligeranti disponevano infatti di 19 legioni ciascuno; quelle dei repubblicani, però, con effettivi assai ridotti, quelle dei triumviri con effettivi sovrabbondanti (circa 100 mila uomini): più numerosa era invece la cavalleria di Bruto e Cassio (20.000 cavalieri di fronte a 13.000 dei triumviri). Gli scontri fra i due eserciti furono in realtà due, a distanza di una ventina di giomi il primo dal secondo.

Bruto e Cassio, consci della superiorità militare dell'avversario, ma avendo per loro il vantaggio della maggior dovizia di mezzi e di vettovaglie e del dominio del mare, pensarono di fronteggiare a lungo, senza battaglia, l'esercito rivale, aspettando ch'esso soggiacesse alla penuria di vettovaglie: prescelsero per questo le colline antistanti alla città di Filippi e dominanti la pianura omonima, di forma triangolare, sbarrata, in direzione NE.-SO., da una linea di monti. Sull'altura settentrionale pose il campo Bruto; su quella meridionale, Cassio: nell'intervallo (circa 1500 m.) passava la Via Egnazia, per mezzo della quale i due campi comunicavano, a tergo, col porto di Neapolis, di fronte all'isola di Taso, dove i repubblicani avevano posto i loro magazzini generali. I due campi furono uniti l'uno all'altro da un trinceramento, dinnanzi al quale scorreva il fiume Gangite, che forniva d'acqua i due campi, poi piegava verso occidente, andando a finire nella piana acquitrinosa.

Qui, in posizione svantaggiosissima, vennero a porre il campo ì triumviri: Ottaviano più a nord, di fronte a Bruto; Antonio, a sud, dinnanzi a Cassio. Antonio pensò di aggirare con un trinceramento le fortificazioni di Cassio dalla parte del mare: si accese (nell'ottobre) una mischia generale, in seguito alla quale Cassio fu battuto e costretto a ripiegare verso est, sulle colline di Filippi, contemporaneamente, però, Bruto rompeva le linee di Ottaviano e ne espugnava il campo. Ma la giornata finì vantaggiosamente per i cesariani (nonostante le forti perdite, doppie di quelle degli avversarî: 8000 uomini) perché Cassio, il più abile dei due capi repubblicani, ignaro del successo di Bruto, si fece uccidere. In un primo momento, Bruto seppe riparare alla perdita del collega, facendo rioccupare e restaurare il campo di Cassio e rimettendo i triumviri nelle difficili condizioni di prima: questi migliorarono però, di lì a poco, le proprie posizioni, occupando alcune alture a sud del campo di Cassio e disponendosi in una nuova linea parallela alla costa, sì da minacciare le comunicazioni di Bruto col mare.

La partita non sarebbe forse stata perduta per Bruto, s'egli non si fosse indotto verso la fine dello stesso mese (in seguito alle pressioni dei suoi ufficiali e degli alleati) ad attaccare battaglia. Sviluppatasi l'azione generale, l'ala destra di Bruto rimase vittoriosa, ma l'ala sinistra cedette, permettendo all'esercito dei triumviri la manovra di avvolgimento. Bruto, con quattro legioni superstiti, si ritirò sui monti a nord; all'indomani, i suoi soldati ricusarono di continuare la lotta ed egli, insieme ad alcuni dei più cospicui capi repubblicani, si diede la morte.

Bibl.: L. Heuzey e H. Daumet, Mission Arch. de Macédoine, Parigi 1876, p. 49 segg.; F. Geyer, Makedonien bis zur Thronbesteigung Philipps II., Monaco 1930, p. 18 e passim. Sugli scavi francesi v. la cronaca degli scavi nel Bull. Corr. Hell., XLIV (1920) segg., e gli articoli sul teatro e gli altri edifici e monumenti, ibid., XLIV (1920), p. 41 segg.; XLVIII (1924), p. 287 segg.; XLIX (1925), p. 239 segg.; LII (1928), p. 74 segg.; LIII (1929), p. 70 segg. Sugli ex-voto rupestri presso al teatro, Ch. Picard, Rev. Hist. Rel., 1922, p. 117 segg. - Sulla battaglia è fondamentale per la topografia l'opera citata di Heuzey e Daumet, p. 97 segg., tav. A. Vedi poi: V. Gardthausen, Augustus und seine Zeit, Lipsia 1904, I, p. 166 segg.; Kromayer-Veith, Schtachten-Atlas, tav. 23 e col. 115 seg.; J. Kromayer, Antike Schlachtfelder, IV, Berlino 1924-31, p. 654 segg. - Per la data dei due scontri cfr. O. Marucchi, in Notizie degli scavi, 1921, p. 277 segg.

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