ANFUSO, Filippo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 34 (1988)

ANFUSO, Filippo

Sandro Setta

Nacque a Catania il 1º genn. 1901, da Alfio e Carmela Torrisi. Rivelando precoci attitudini letterarie, nel 1917 pubblicò a Catania Ortica, raccolta di racconti e di poesie. Legionario fiumano, riprese a Roma la sua attività intellettuale, affermandosi come collaboratore ed inviato speciale in Germania e Polonia della Nazione e della Stampa.

Strinse profondi rapporti di amicizia con G. Ciano, meno fortunatamente avviatosi alla carriera letterario-giornalistica, divenendone compagno inseparabile nei circoli mondani della capitale. Con lui si preparò al concorso per la carriera diplomatica (erano entrambi laureati in giurisprudenza) che vinsero nel 1925, classificandosi, su trentacinque posti, l'A. primo e Ciano ventisettesimo.

Addetto di legazione presso il ministero degli Esteri, fu destinato a Monaco di Baviera (1927), Budapest (1929), Berlino (1931). Nel 1932 fu primo segretario e incaricato d'affari in Cina e nel 1934 in Grecia. Una svolta nella sua carriera fu rappresentata dalla nomina a ministro degli Esteri di Galeazzo Ciano (giugno 1936), che lo volle, nel 1937, suo capo di gabinetto.

In questo importante ruolo svolse numerose missioni. Nel settembre del 1936 fu inviato in Germania por sondare l'effettiva consistenza delle avances tedesche in direzione dell'alleanza con l'Italia, e si incontrò con un Hitler antinglese e smanioso di un patto con Mussolini. Nel successivo ottobre accompagnò Ciano nel suo primo viaggio ufficiale in Germania e nel novembre si recò in Spagna a concludere con Franco un trattato segreto che prevedeva contropartite per l'Italia in cambio del massiccio intervento nella guerra civile, alla quale l'A. stesso prese parte come tenente di fanteria meritandosi una croce di guerra al valor militare. Fu anche testimone del viaggio di Mussolini in Germania (settembre 1937) e della conferenza di Monaco (settembre 1938).

Definito da Ciano, il 4 ott. 1940, "il piùgermanofilo dei miei collaboratori" (Diario 1937-1943, p. 469), l'A. respinse, nei suoi ricordi, tale etichetta, parlando di una sua "malintesa germanofilia" (Da Palazzo Venezia al lago di Garda, p. 101). In effetti, egli fu contrario all'entrata in guerra dell'Italia, ed apprezzò gli sforzi di Ciano tesi a impedirla. Nell'agosto 1939, appresa l'intenzione di Mussolini di entrare a tutti i costi in campo a fianco della Germania, era stato visto piangere "di rabbia" (Luciolli, p. 59).

Nella sua conversione in uno dei più convinti fautori della necessità della vittoria dell'asse Roma-Berlino ebbero un peso determinante, oltre alla fedeltà al mito di Mussolini e ai suoi progetti di espansione imperialistica italiana (sia pur resa problematica, nell'intelligente scetticismo dell'A., dalla consapevolezza del monopolio europeo, se non mondiale, che avrebbe reclamato per sé il nazismo), i canoni di un'antica tradizione nazional-patriottica, secondo i quali, quando la patria è in guerra, occorre soffocare ogni motivo di opposizione e contribuire alla vittoria.

Di qui, ad esempio, la sua avversione all'aggressione della Grecia (ottobre 1940), voluta da Mussolini e da Ciano come ritorsione alla politica tedesca di indiscriminata conquista all'insaputa dell'alleato: "Quanto alla germanofilia, essa non era affatto basata su un qualsiasi amore verso i Goti ma soltanto ispirata al principio che, imbarcati sulla loro stessa galera, il nasconderci i reciproci piani dietro un paravento o peggio ingannarci, quando non avevamo nemmeno cominciato a combattere, ci avrebbe condotto a una rovina rapida e sicura" (Da Palazzo Venezia…, p. 138).Nella primavera del 1941, l'A. effettuò importanti missioni a Zagabria, dove impegnò il capo degli ustascia, Ante Pavelić, al ribadimento dei diritti italiani sulla Dalmazia; e in Grecia, quale rappresentante della commissione italo-tedesca incaricata di decidere il futuro di quel paese. Nell'agosto, in rappresentanza di Ciano, accompagnò Mussolini a Rastenburg e sul fronte russo.

Sempre più convinto della necessità della vittoria, l'A. mal sopportava l'ambiente politico-mondano romano, dominato da crescenti critiche nei confronti degli insuccessi militari del regime. Gli pesava, soprattutto, l'atteggiamento del suo ministro ed amico Ciano che, nella sua continua polemica contro i Tedeschi, la guerra e Mussolini, considerava il "germanofilo" A. la sua "testa di turco", anche se "con grazia ed affetto, di rado con stizza" (Da Palazzo Venezia…, p. 243). Per questi motivi, nel dicembre del 1941, decise di allontanarsi da Roma ed ottenne da un Ciano dolente di doversi separare dal vecchio amico la nomina a ministro d'Italia a Budapest.

Dalla sua nuova sede, informò puntualmente dei tentativi ungheresi di contatti con gli Angloamericani in vista di una pace separata, e nel dicembre del 1942 inviò una relazione a Ciano in cui proponeva un'analoga iniziativa dell'Italia, diretta da Mussolini e concertata con i Tedeschi: la sua tesi era infatti che la Germania andava "lasciata ma non tradita" (Da Palazzo Venezia…, p. 298). Ciano gli rispose con un telegramma di congratulazioni a nome di Mussolini, ma più tardi l'A. apprese che quella relazione era stata causa non ultima del malumore del duce nei confronti del suo ministro degli Esteri. Il dittatore rifiutava infatti, come disdicevole all'onore italiano, ogni progetto di resa. Per tale motivo aveva rifiutato, nell'agosto 1942, l'offerta ungherese di cessione della corona al re d'Italia, caldeggiata da Ciano e dall'A., quale potenziale avvio ad un blocco di paesi danubiano-balcanici disponibili, sotto la guida dell'Italia, ad uno sganciamento dalla guerra. Ancora nell'aprile 1943, quando Ciano non era più ministro, l'A. invano si fece patrocinatore di un simile sganciamento, accompagnando a Roma, in un colloquio con Mussolini, il primo ministro ungherese Kallay.

Rientrato temporaneamente a Roma il 19 luglio 1943, l'A. fu messo vagamente al corrente da Ciano dei progetti di esautoramento di Mussolini. Giudicò il voto del Gran Consiglio del fascismo, il 25 luglio, "una faccenda di servi che ingiuriano il padrone mentre la casa sta per cadergli addosso" (Da Palazzo Venezia…, p. 298). Benché ormai estremamente critico nei confronti del suo amico, volle proteggere Ciano, ospitandolo nella propria abitazione e sconsigliandogli di accettare l'aiuto dei Tedeschi. Ai primi di agosto, il ministero degli Esteri lo invitò a raggiungere la sua sede a Budapest. Qui apprese la notizia dell'armistizio (8 settembre) e quella della liberazione di Mussolini (12 settembre) dopo la quale inviò il seguente telegramma: "Benito Mussolini - Berlino. Duce, con voi fino alla morte" (Da Palazzo Venezia…, p. 311). Solo capo di missione diplomatica ad aver aderito al progettato Stato fascista repubblicano, il 18 settembre si recò in volo a Monaco di Baviera, nei cui pressi risiedeva Mussolini, e con lui collaborò alla definizione dell'organigramma del nuovo governo. Richiese per sé la nomina ad ambasciatore a Berlino, che raggiunse alla fine di settembre.

L'ambasciata a Berlino rappresentò, durante i seicento giorni della Repubblica sociale italiana, il punto di riferimento essenziale per i rapporti con la Germania. L'azione dell'A., che godeva di notevole considerazione negli ambienti tedeschi, si concentrò nel tentativo di difesa dell'autonomia del risorto Stato fascista. In particolare egli svolse, su direttive di Mussolini, una continua pressione contro i propositi annessionistici della Venezia Giulia e Tridentina, affidate da Hitler all'amministrazione dei due Gauleiter Hofer e Rainer. Cercò di migliorare le condizioni degli internati militari italiani, lottando perché fosse consentito loro di tornare a combattere nelle file del nuovo esercito repubblicano (ma in questo dovette scontrarsi non soltanto con l'ostilità dei Tedeschi, ma con quella della stessa maggioranza degli internati). Protestò continuamente, inoltre, in tutte le forme diplomatiche, contro i soprusi, i rastrellamenti e le deportazioni di cittadini italiani. Il bilancio dell'azione dell'A. (a conferma dell'estrema sudditanza della Repubblica sociale italiana nei confronti della Germania nazista) fu assai scarso, come egli stesso ammise nei suoi ricordi: "Devo vergognarmi della mia impotenza e sinceramente me ne vergogno" (DaPalazzo Venezia…, p. 383). Della sua esperienza nella Repubblica sociale e nell'ambasciata a Berlino rimangono il suo citato libro di ricordi e una serie di rapporti a Mussolini. Da questi si ricava un'interessante analisi dell'inesorabile tramonto del Terzo Reich e della psicologia dei suoi capi, ora illusi dalle armi segrete ora dai contrasti tra Angloamericani e Sovietici. Anche dell'ultimo Mussolini (che aveva tra l'altro accompagnato al quartier generale di Hitler il giorno dell'attentato, il 20 luglio 1944) e del mondo fascista, l'A. ci ha lasciato suggestivi, anche se apologetici ritratti, a conferma della sua felice vena di scrittore.

Il 12 marzo 1945, a Roma, a conclusione del processo Roatta, l'Alta Corte di giustizia per la punizione dei crimini fascisti lo condannava a morte mediante fucilazione alla schiena. La più grave imputazione era l'assassinio dei fratelli Rosselli (9 giugno 1937), che i giudici ritennero voluto da Ciano con la complicità, appunto, dell'A. (il quale negò, in un memoriale, ogni responsabilità, sua e di Ciano). Come reazione alla condanna del suo ambasciatore, Mussolini lo nominò il 19 marzo sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri. Dalla fine del marzo alla metà dell'aprile 1945 fu a Gargnano. Timorosi che egli potesse venire a conoscenza delle trattative di resa avviate con gli Angloamericani, l'ambasciatore Rahn ed il generale Wolff insistettero perché tornasse a Berlino. Il 16 aprile l'A. si congedò da Mussolini, con l'intesa che si trattasse di un momentaneo allontanamento. Riceve infatti dal duce, nei giorni successivi, tre ordini telefonici di rientro. Il 26 aprile tornò in Italia da Bad Gastein, dove era raggruppato il corpo diplomatico accreditato presso l'agonizzante Terzo Reich, ma non riuscì a raggiungere Mussolini.

Rifugiatosi in Francia, venne arrestato per l'assassinio dei fratelli Rosselli. Passò tre anni (1945-47) nelle prigioni della Santé, Fresnes e Nanterre, nelle quali scrisse il suo libro di ricordi, pubblicato a Parigi nel 1949con il titolo Du Palais de Venise au lac de Garde. Assolto dall'imputazione, si trasferì in Spagna dove fu ben accolto dagli ambienti franchisti, tanto da poter riprendere un'attività giornalistica, scrivendo, a firma Argenti, commenti di politica estera su La Tarde. Anche la Corte di assise di Perugia lo assolveva con formula piena, il 14 ott. 1949, dall'omicidio Rosselli.

Rientrato in Italia, aderì al Movimento sociale italiano, nelle cui liste venne eletto deputato nelle elezioni politiche del 7 giugno 1953, e confermato in quelle del 25 maggio 1958 e del 28 apr. 1963 (sempre nella circoscrizione di Catania-Messina-Siracusa-Ragusa-Enna). Fece parte della commissione Esteri della Camera dei deputati.

Nel partito neofascista si schierò con la corrente di A. De Marsanich e successivamente di A. Michelini, favorevole all'inserimento nel sistema democratico, all'alleanza con le altre formazioni di destra come i monarchici e all'appoggio condizionante ai governi democristiani. In particolare, sebbene carico di risentimento nei confronti delle potenze occidentali (tra l'altro colpevoli, a suo avviso, di aver consentito, a Yalta, l'insediamento della Russia sovietica nel cuore dell'Europa), fu tra i sostenitori, in un partito inizialmente diviso tra atlantisti ed antiatlantisti, della necessità dell'adesione dell'Italia al Patto atlantico (apr. 1949), che giudicava l'unico mezzo per difendere l'Europa dalla minaccia sovietica (in quest'ambito si dichiarò convinto fautore del riarmo tedesco.).

L'istanza anticomunista rappresentò la componente essenziale della linea politica dell'A. anche nel secondo dopoguerra, come dimostrano i suoi scritti e discorsi, pregni di nostalgia per il fascismo e Mussolini. Egli assisté con disappunto al processo di decolonizzazione, in Africa come in Estremo Oriente, giudicandolo una sconfitta dell'Europa, e fu ostile alla svolta della politica vaticana avvenuta con il pontificato di Giovanni XXIII come alla "nuova frontiera" di J. F. Kennedy. Appoggiò, in sintonia con la politica del suo partito, i governi di centrodestra succeduti al centrismo degasperiano, come quelli Pella (agosto 1953), Segni (giugno 1955), Zoli (maggio 1957), Segni (febbraio 1959) e soprattutto Tambroni (aprile 1960).

Si oppose ai primi tentativi di coalizioni di centrosinistra avviati da Fanfani dopo le elezioni politiche del maggio 1958 e nel febbraio 1962, ed al primo organico governo in tale direzione varato da Aldo Moro il 4 dic. 1963.

Colto da malore durante i lavori parlamentari, morì a Roma il 13 dic. 1963.

Scritti: Da Palazzo Venezia al lago di Garda (1936-1945), 3ª ediz. con aggiunta di documenti, Bologna 1957 (prima ediz. italiana, Milano 1950, con il titolo Roma-Berlino-Salò); Da Yalta alla luna, Roma s.d. [1959]; Fino a quando?, Milano 1962; Discorso ai sordi, a cura di P. Romualdi, Roma s. d. [1964].

Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centr. dello Stato, Segreteria part. del Duce (cart. ris.), Repubblica Sociale Italiana, b. 76, fasc. 647; Min. degli Affari Esteri, Idocumenti diplomatici italiani, s. 7, 1922-1935, a cura di R. Moscati, ad Indicem; s. 8, 1935-1939, a cura di M. Toscano, ad Indicem; s. 9, 1939-1943, a cura di M. Toscano, ad Indicem; Atti parlamentari, Camera dei Deputati, II-IVlegislatura, ad Indices. Vedi inoltre: L. Villari, Affari Esteri 1943-1945, Roma 1948, ad Indicem; A. Mellini Ponce De Leon, Guerra diplomatica a Salò, Bologna 1950, ad Indicem; G. N. Page, L'americano di Roma, Milano 1950, pp. 489 s.; E. Cerruti, Visti da vicino, Milano 1951, p. 302; G. Salvemini, L'assassinio dei Rosselli, in No al fascismo, a cura di E. Rossi, Torino 1957, pp. 257-304 (ivi un memoriale dell'A., datato "Berlino, febbraio-marzo 1945", pp. 279-286); F. W. Deakin, Storia della Repubblica di Salò, Torino 1962, ad Indicem; M. Toscano, Storia dei trattati e politica internazionale, I, Torino 1963, ad Indicem; Z. Algardi, Processi ai fascisti, Firenze 1973, ad Indicem; P. G. Murgia, Il vento del Nord. Storia e cronaca del fascismo dopo la Resistenza (1945-1950), Milano 1975, ad Indicem; Id., Ritorneremo. Storia e cronaca… (1950-1953), Milano 1976, ad Indicem; P. Rosenbaum, Il nuovo fascismo da Salò ad Almirante. Storia del MSI, Milano 1975, passim; M. Luciolli, Palazzo Chigi: anni roventi, Milano 1976, ad Indicem; J. F. Coverdale, I fascisti italiani alla guerra di Spagna, Roma-Bari 1977, ad Indicem; G. B. Guerri, Galeazzo Ciano. Una vita 1903-1944, Milano 1979, ad Indicem; G. Ciano, Diario 1937-1943, a cura di R. De Felice, Milano 1980, ad Indicem; R. De Felice, Mussolini il duce, II, Torino 1981, ad Indicem; G. Bocca, La repubblica di Mussolini, Roma-Bari 1977, ad Indicem; L. Bolla, Perché a Salò. Diario dalla Repubblica sociale italiana, a cura di G. B. Guerri, Milano 1982, ad Indicem; G. Bottai, Diario 1935-1944, a cura di G. B. Guerri, Milano 1982, ad Indicem.

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