BUONACCORSI, Filippo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 15 (1972)

BUONACCORSI, Filippo (Callimachus Experiens)

Domenico Caccamo

Nacque a San Gimignano il 2 maggio 1437 da una famiglia di mercanti, piuttosto facoltosa, che aveva stabilito da lungo tempo relazioni d'interessi con l'ambiente veneziano: il bisavolo Cristoforo di Neri era in possesso della cittadinanza veneta; per parte di madre, invece, il B. era probabilmente imparentato con i Tedaldi di Firenze. Già nella prima gioventù venne a contatto con i centri umanistici di Firenze e Venezia; qui, vivendo come precettore in casa d'un mercante di Pesaro, iniziò la sua attività di poeta latino. Al principio del 1462 si trasferì a Roma, insieme con l'amico Lucio Condulmer e con il fratello minore Francesco, che più tardi fu coinvolto nella celebre congiura contro il papa. Si accostò prima a Pomponio Leto, poi al Platina, che gli procurò un posto di segretario presso il cardinale di Ravenna Bartolomeo Roverella; fu protetto anche dal vescovo di Teramo Antonio Campano, poeta ed epistolografo. Inseritosi facilmente nell'ambiente dei letterati romani e dei loro mecenati entrò a far parte dell'Accademia del Leto. A quegli anni risale la composizione dei suoi epigrammi, ispirati a Marziale nel metro, nel tono e negli atteggiamenti, diffusi nel circolo ristretto degli amici umanisti; ma non mancano componimenti d'intonazione cortigianesca, dedicati a dignitari ecclesiastici e laici della corte papale. In sostanza, a Roma, il B. non si distinse tra la folla dei letterati di mestiere, dei quali condivise la vita e i costumi.

Nel febbraio del 1468 fu scoperta una congiura diretta contro la vita di Paolo II; sembra che ci fossero intese con cittadini già banditi da Roma, e il pontefice dubitò che agissero interessi concreti di potenze straniere: si pensò addirittura all'eretico re di Boemia e al Turco. Il B., che, avvertito a tempo, aveva riparato a Napoli, fu il principale accusato al processo del '68-69: Pomponio Leto, infatti, aveva abbandonato Roma fin dall'estate 1467, e dal canto suo il Platina tentava disperatamente di salvarsi, riconoscendosi colpevole solo per non aver denunciato la "stultitia" del B. e per non aver preso sul serio le sue intenzioni delittuose. Il B., dunque, figurò come l'unico responsabile della macchinazione e venne diffamato come uomo dissoluto, egocentrico, in dissidio con gli stessi membri dell'Accademia.

Le testimonianze contemporanee pongono in rilievo l'empietà dei congiurati: negazione dell'immortalità dell'anima e dell'esistenza di Dio, della vita ascetica e della religione: si trattava di un circolo di raffinati umanisti che, tutti presi dalle storie dei Romani, avevano inteso riportare l'Urbe allo splendore pagano dei tempi antichi. Di attendibile, fra accuse generiche ed eccessive, v'era sicuramente l'acceso anticlericalismo e l'atteggiamento critico verso la morale e la religione cristiane: era certo nel vero l'ambasciatore milanese De Rossi, secondo il quale i congiurati andavano dicendo "che santo Francesco era stato uno ypocrita" (Pastor, II, p. 742); e quel confidente di Galeazzo Maria secondo il quale essi "havevano deliberato levare questa città de la subiectione de' preti" (Motta, p. 555); e infine il vescovo di Pienza Agostino Patrizi, che scriveva: "eis non satis ipso erat de summo pontifice ac de omnibus hortodoxae fidei praesulibus et omni clero obloqui, sed, adversus religionem nostram cornua erigentes..., non aliter de ea inter notas loquebantur quam de re comenticia et fabulosa" (Cinquini, p. 458). D'altra parte, già nei precedenti scritti del Platina v'era il rifiuto della vita monastica, in quanto innaturale e asociale, e l'esaltazione della vita attiva, la sola santa, la sola socialmente utile: in essi era ripreso il concetto romano del rapporto cittadino-Stato, contrapposto persino alla individualistica affermazione della libertà politica. Da parte sua, il Leto, nel momento in cui aveva deciso di abbandonare Roma, dopo che gli era stato sospeso il pagamento dello stipendio di professore alla Sapienza, s'era espresso in termini assai duri contro il clero romano.

Giunto in Puglia col proposito di passare il mare, il B. fu aiutato da re Ferdinando, che non tenne conto delle proteste del nunzio. Raggiunse Creta, poi Cipro; nell'estate del 1469, a Chio, entrò in rapporti assai stretti con elementi veneti e fiorentini e si trovò coinvolto in una seconda congiura, cui probabilmente non era estranea la diplomazia di Firenze, e che mirava a consegnare l'isola agli Ottomani. I cristiani, posti in sospetto dalla flotta imponente allestita dai Turchi, si prepararono alla difesa, intensificando la sorveglianza: furono, così, intercettate alcune lettere da Pera, che risultarono essere del B., dirette a un Marc'Antonio Perusin, già discepolo di Pomponio Leto e membro dell'Accademia. A questo punto gli Ottomani richiamarono la flotta e rinunciarono all'impresa. Il B. scampò alla strage dei congiurati perché in quel momento si trovava a Costantinopoli, dove si trattenne alcuni mesi.

Nell'inverno dello stesso anno raggiunse la Polonia e si stabilì a Dunajów, dove risiedeva l'umanista Gregorio di Sanok, arcivescovo di Leopoli. Qui egli trovò la protezione d'un personaggio influente come l'arcivescovo, l'amicizia di alcuni mercanti fiorentini di Leopoli, primo fra i quali Ainolfo Tedaldi, e infine l'amore di Fannia Świętocka, che gli ispirò numerosi componimenti poetici di evidente imitazione catulliana, sostenuti tuttavia da sincerità e vigore di sentimento. Il nunzio Alessandro da Forlì reclamò la persona del B., ma Casimiro Jagellone, senza dubbio grazie all'intervento di Gregorio di Sanok e del Tedaldi, non volle consentire alla consegna dell'esule. Nel 1471 il B. ritenne utile inviare un memoriale di difesa, in risposta alle accuse del nunzio, al voivoda di Sandomierz, membro influente del Consiglio reale; ma la morte di Paolo II e l'amnistia concessa ai congiurati da Sisto IV gli consentirono da allora in avanti di svolgere liberamente la sua attività. Nella primavera del '72 si trasferì nel centro della vita politica e culturale del regno: iscrittosi all'università di Cracovia, destò ben presto l'interesse della corte, che, sollecitata dall'arcivescovo di Leopoli, gli affidò l'incarico di "consiliarius et praeceptor" dei principi reali. Connessa atali nuove funzioni è la compilazione della Rhetorica, ispirata alle teorie di Giorgio di Trebisonda e destinata evidentemente a fini didattici. A partire da questo momento, si avverte nell'ambiente colto di Cracovia la presenza del B., la cui personalità diviene un fattore decisivo per la diffusione dell'umanesimo in Polonia.

Intorno al 1474, guadagnatasi la protezione del cancelliere Zbigniew Oleśnicki, fu nominato segretario reale, iniziando la sua carriera di diplomatico: era il momento in cui gli Jagelloni, regnanti inPolonia ed in Boemia, entravano inconflitto con Mattia Corvino, forte della protezione papale; e subivano d'altra parte la pressione dello Stato ottomano, in seguito all'espansione turca in Moldavia. Negli anni 1476-77 il B. si recò in qualità di legato a Venezia e a Roma, per discutere il progetto della Serenissima di spingere i Tartari contro i Turchi e, ancor più, per sollevare le questioni connesse con la guerra polacco-ungherese. Egli aveva incarico di sollecitare la mediazione di Venezia per far revocare la sovvenzione concessa dal papa a Mattia Corvino. Nel gennaio '77 tenne un discorso dinanzi al Senato, proponendo un'alleanza tra la Repubblica gli Jagelloni e gli Asburgo contro il Corvino; dopo la pace con l'Ungheria, se Ladislao fosse stato riconosciuto sul trono di Boemia, la Polonia s'impegnava a partecipare alla crociata antiturca. Il B. si spinse persino a minacciare, in caso contrario, un'alleanza fra la Polonia e i Turchi in funzione antiungherese. Tornato a Cracovia, sostenne la necessità di un'azione decisacontro il Papato e di un accordo con l'Impero ottomano. Nel 1479 fu inviato come legato a Costantinopoli, dove concluse una tregua di due anni. Nel 1486 rappresentò la Polonia a Venezia, mirando a realizzare il vecchio progetto di alleanza contro il Corvino; era all'ordine del giorno anche il problema ottomano, e il B. intendeva sollecitare la mediazione della Repubblica presso il sultano, che aveva occupato da poco Kilia ed Ackerman. Riferito a Cracovia il risultato, decisamente modesto, della sua missione italiana, si recò subito in Turchia, dove prolungò la pace ancora per due anni. Fu poi costretto a un periodo di inattività da aspre critiche mosse al suo operato. A Venezia non aveva tralasciato di stringere rapporti con l'ambiente umanistico, testimoniati dal Trialogus recentemente scoperto dallo Zathey; ora riprese la sua attività di studio, svolgendola in campi diversi, storiografico, politico, filosofico.

In una polemica con Marsilio Ficino e in altri scritti che ad essa si riallacciano, svolse una tesi che in ultima analisi colpiva tomismo e platonismo; assumeva una posizione affine a quella dell'aristotelismo padovano, sostenendo la necessità di usare, a proposito del rapporto tra la sostanza, o le sostanze spirituali, e la materia animata, argomenti filosofici e non teologici. Il problema proposto era l'influenza dei demoni nella vita dell'uomo, e risultava abbastanza evidente come Callimaco tendesse a negare l'esistenza di queste forze sovrannaturali. Sebbene la discussione non riguardasse esplicitamente il nesso anima-corpo, tuttavia l'interesse filosofico del B. si aggirava comunque intorno al problema dell'anima separata. In un'altra occasione egli criticava l'interpretazione del sogno fornita dal Ficino, respingendo la dottrina della "vacatio animae" e sostenendo, invece, l'unità dell'anima razionale nelle sue varie funzioni. L'individuo, per lui, è un tutto unitario, le cui parti non hanno realtà e attività autonoma fuori del loro nesso. In una Quaestio de peccato indirizzata al Pico, il B. si chiedeva scetticamente come possa ritenersi infinito il peccato, e come il corpo possa contaminare l'anima, quando invece dovrebbe dirsi il contrario. In armonia con la concezione umanistica, affermava che il sogno è parte esso stesso della vita, un riposo in vista dell'azione futura; esso non deriva da forze o da realtà esterne, ma dalla natura di colui che sogna. Costante era, dunque, nel B. il rifiuto di accettare un intervento di forze soprannaturali nel mondo della natura, una presenza di realtà che, pur legate ad esso, non dipendano dalle sue leggi.

Negli anni 1490-92 fu impegnato nella preparazione diplomatica della spedizione di Jan Olbracht, suo pupillo, in Ungheria. Agì in tutte le direzioni possibili: cercò fondi a Danzica, a Toruń e presso le città slovacche; cercò di assicurarsi un atteggiamento benevolo da parte di Zoe, granduchessa di Moscovia; promise a Stefano di Moldavia, in cambio del suo appoggio, l'unificazione della Valacchia sotto il suo scettro; infine si assicurò, o credette di assicurarsi, l'aiuto attivo di Stefano fano Báthory di Transilvania. Ma la defezione degli alleati e l'insuccesso della spedizione scossero duramente il suo prestigio.

L'attività politica di quegli anni non lo distolse dal partecipare alla vita dei circoli umanistici di Cracovia: proprio quello infatti, fu il momento della sua maggior consuetudine col tedesco Konrad Celtis, che, stabilitosi a Cracovia, vi fondava la "sodalitas Vistulana", sul modello delle accademie del tempo.

Nel giugno 1492 venne a mancare Casimiro Jagellone, e il B., esposto agli attacchi dell'aristocrazia, fu costretto ad abbandonare la Polonia: trascorse a Vienna il periodo dell'interregno, finché fu eletto proprio Jan Olbracht, col quale, più ancora che con gli altri eredi di Casimiro, manteneva rapporti di vera intimità. Tornato, così, a dominare la politica della corte, nel '95 cercò di inserire gli Jagelloni nella politica italiana: e a tale scopo fece inviare a Venezia Jan Pot, già suo segretario ed ora segretario reale, perché proponesse l'assunzione del principe Sigismondo quale condottiero al servizio della Serenissima.

Morì a Cracovia il 1º nov. 1496, mentre stava preparando una spedizione contro gli Ottomani per la riconquista di Kilia e di Ackerman. Ai funerali intervennero il re con i più alti dignitari, la nobiltà, la folla degli studenti e infine, in gran numero, la cittadinanza di Cracovia. Il corpo del B. fu conservato nella chiesa dei domenicani, accanto a quello del compatriota Ainoldo Tedaldi. Aveva testato a favore del re e dei principi, di alcuni membri del consiglio cittadino di Cracovia, di vari amici e servitori; all'università aveva provveduto con un legato di 100 fiorini e con oggetti d'argento per eguale valore. Jan Pot aveva incarico di far pervenire alla famiglia del B., in Italia, tutte le sue opere rimaste manoscritte.

Dopo la sua morte si formò presto una tradizione a lui ostile, basata soprattutto su un testo noto col titolo di Consilium Callimachi, pervenuto in redazioni del XVI e XVII secolo: il B. venne considerato responsabile degli insuccessi della dinastia, e soprattutto l'ispiratore dei tentativi autoritari degli Jagelloni, nemico per eccellenza della libertà nobiliare. D'altra parte, il suo programma di centralizzazione statale fece scuola nella prima metà del '500: il cancelliere Jan Łaski riprese alcuni suoi concetti e si dichiarò suo seguace. Nel Consilium sulla cui attribuzione si è dubitato, ma che gli studi polacchi più recenti, almeno nelle sue parti fondamentali, attribuiscono senz'altro al B., l'umanista italiano sosteneva la necessità di rafforzare l'autorità regia, pericolosamente limitata dall'aristocrazia, creando basi finanziarie indipendenti dal voto del Parlamento; particolare attenzione dedicava al problema delle città, delle quali il sovrano avrebbe dovuto incrementare l'autonomia rispetto all'elemento nobiliare. Concetti analoghi sulla politica e lo Stato, il B. esprimeva nella sua Vita di Attila, in realtà ispirata alla figura storica di Mattia Corvino, che egli aveva conosciuto da vicino durante un suo soggiorno, di durata imprecisabile, alla corte di Buda. Nella biografia del suo primo amico e protettore polacco, Gregorio di Sanok, il B. aveva sviluppato abbastanza esplicitamente la concezione della religione come "instrumentum regni", insieme con alcuni spunti di epicureismo che sembrano confermare le accuse rivoltegli al tempo della congiura contro Paolo II. Ma il suo realismo politico risulta evidente anche dagli scritti sul problema turco. È impossibile, egli sosteneva, stabilire una pace generale fra gli Stati cristiani: la Polonia, grazie ad una lunga esperienza di guerre contro i Tartari e alla sua posizione geografica, che la pone a contatto diretto con l'Impero ottomano, è la sola potenza che possa tentare l'impresa di ricacciare il Turco, o di fermarne l'espansione.

Opere. Si citano le edizioni più recenti: Acta Tomiciana, I, Posnaniae 1852, App., pp. 1-18 (contiene fra l'altro il memoriale al voivoda di Sandomierz del 1471); H. Zeissberg, Kleinere Geschichtsquellen Polens im Mittelalter, in Archiv für österreichische Geschichte, LV (1877), 1, pp. 41-98 (lettere a Lattanzio Tedaldi, Marsilio Ficino, Pico della Mirandola); R. Wšetečka, Rady Kallimachowe (Iconsigli di Callimaco), in Pamiętnik Słuchaczy Uniwersitetu Jagiellonskiego (Memoria degli studenti dell'Università Jagellonica), Kraków 1887; Libellus de daemonibus, in P. O. Kristeller, Supplementum ficinianum, II, Florentiae 1937, pp. 224-230; Rhetorica, a cura di F. K. Kumaniecki, Warszawa 1950; Ad Fanniam Swentocham Carmen, a cura di J. Domański, in Eos, XLVI (1952-53), 1; Historia de rege Vladislao seu clade Varnensi, a cura di T. Kowalewski e I. Lichońska, Warszawa 1961; Attila, a cura di T. Kowalewski, Warszawa 1962; Historia de his,quae a Venetis tentata sunt,Persis ac Tartaris contra Turcos movendis, a cura di A. Kempfi e T. Kowalewski, Warszawa 1962; Vita et mores Gregorii Sanocei, a cura di I. Lichońska, Wrocław 1963; Epigrammatum libri duo, a cura di K. F. Kumaniecki, Wrocław 1963; Praefatio in somniarium Leonis Tusci, a cura di A. Kempfi, Warszawa 1963; G. Zathey, Recherches sur le milieu de Callimaque Experiens et de Jean Pico:"Trialogus in rebus futuris annorum XX proximorum", in L'opera e il pensiero di Giovanni Pico della Mirandola nella storia dell'Umanesimo, Firenze 1965, II, pp. 119-148;Id., Jak patrzeć na Kallimacha? Uwagi wzwia̢zku z wierszem do Bessariona (Come considerare Callimaco? Osservazioni a proposito di un carme al Bessarione), in Kwartalnik Historyczny (Trimestrale di storia), LXXIII (1966), pp. 111-113; Epistulae selectae, a cura di I. Lichońska e G. Pianko, Warszawa 1967.

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