BUONARROTI, Filippo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 15 (1972)

BUONARROTI, Filippo

Nicola Parise

Nato a Firenze il 18 nov. 1661 da Leonardo e da Ginevra Martellini, fu avviato dalla famiglia allo studio delle leggi. Per acquistar pratica in questo campo venne mandato poco più che ventenne a Roma: qui si poneva al servizio di G. Carpegna, il cardinal vicario, presso cui ricoprì, sin dal 1684, le funzioni di segretario e di conservatore del museo e della biblioteca.

Accanto agli studi giuridici il B. aveva coltivato per l'influenza dello zio Iacopo Martellini anche quelli scientifici, e fu certo sulla base di quest'interesse che dovette inizialmente sorgere la relazione strettissima con monsignor G. G. Ciampini, fondatore nel 1677 dell'Accademia fisico-matematica. Accolto quindi in Arcadia con il nome di Lico Mantineo (1690), il B. si distingueva per la partecipazione attiva ai lavori dell'accademia e forniva a G. M. Crescimbeni rime inedite di Michelangelo il Vecchio e burchiellate di Michelangelo il Giovane. Ma l'attività di custode delle raccolte del cardinal Carpegna, che lo poneva naturalmente in contatto con i maggiori antiquari del tempo (da R. Fabretti a S. Maffei, a F. Bianchini), doveva fare del B. un archeologo. Ed è proprio il Fabretti, con il quale il B. si era intanto legato di amicizia, a dar buona testimonianza delle ricognizioni compiute con il giovane fiorentino, "domestico Michaelis Angeli praeconio, propriaque virtute conspicuum", nel territorio di Roma e dell'Agro romano alla ricerca soprattutto di nuove iscrizioni (Inscriptioonum antiquarum... explicatio et additamentum, Romae 1699, prefazione, pp. n.n.).

Dal 29 aprile al 3 maggio 1691 il B. compì insieme con monsignor Ciampini, che stava trasformando la sua casa in un museo di antichità e aveva da poco (1690) fatto stampare a Roma la prima parte dei Vetera monimenta, un'esplorazione archeologica lungo la via Flaminia spingendosi, oltre Prima Porta, sino a Civita Castellana e a Sant'Oreste.

Di quest'escursione resta nel Vat. lat. 12075 la Relazione (variamente rielaborata) dello stesso Ciampini: vennero trascritte iscrizioni latine di Civita Castellana, di Sant'Oreste e della chiesa di S. Silvestro in cima al Soratte (CorpusInscriptionum Latinarum, XI, 1, a cura di E. Bormann, Berolini 1888, nn. 31023 3174, 3180, 3186, 3883, 3935); un'iscrizione falisca di Civita Castellana (Corpus Inscriptionum Etruscar, II, 1, a cura di G. Herbig, Lipsiae 1912, n. 8205); e le prime due linee (in latino) dell'altra iscrizione già nota da alcuni anni a F. Suarez, anche nelle seguenti cinque linee, probabilmente in falisco (ibid., n. 8333).

Nel 1694 un'altra esplorazione archeologica nel Viterbese diede occasione al B. di copiare nuove epigrafi etrusche di Cipollara e di Tarquinia (A. Fabretti, Corpus Inscript. Italicarum, I, Augustae Taurinorum 1867, nn. 2072-2073. 2077-2079, 2090); mentre è del 1698 la lettura di tre iscrizioni dipinte sulle pareti della tomba scoperta a Monteriggioni nei pressi della Badia all'Isola (Corpus Inscriptionum Etruscarum, I, n. 176).

Nel 1698 Domenico Antonio Ercole stampava a Roma le Osservazioni istoriche sopra alcuni medaglioni antichi, un testo che doveva procurare al B. larghissima fama, ma che mostrava evidenti i segni di una pubblicazione affrettata. Di questo il B. sentiva il bisogno di giustificarsi nella prefazione; e l'editore riteneva opportuno darne ragione al lettore. Da qualche tempo il B. aveva approntato per lo zio Iacopo un indice della raccolta numismatica del Carpegna, e l'aveva progressivamente corredato di un ampio commento: steso però "alla rinfusa" e senz'alcun ordine (p. II). Si trattava, comunque, di un difetto di origine, che non si sarebbe dovuto avvertire nel testo definitivo dei Medaglioni. Ma l'Ercole aveva deciso di pubblicare i disegni degli esemplari della collezione del Carpegna senza sapere delle note del Buonarroti. La notizia che il segretario del cardinale aveva già pronte le sue "osservazioni" suggerì all'editore di procurarsene il testo. La stampa doveva avvenire al più presto, e al B. non restava che adattare le sue annotazioni all'ordine delle tavole, rinunciando più di una volta alle sue esigenze di studioso e ad ulteriori approfondimenti. La pretestuosità degli argomenti del B. e dello stampatore è evidente, e ha forse ragione il Moretti quando suppone che tutta la fretta "fosse dovuta al desiderio di procacciarsi un titolo... per la carica di prefetto della Biblioteca Vaticana": una carica che gli era contrastata da L. A. Zaccagni e che non gli fu assegnata per la minor conoscenza del greco e dei codici greci.

Recensiti favorevolmente dagli Acta Eruditorum del 1699 (pp. 417-424), i Medaglioni del B. s'imponevano, al di là dei difetti accennati e della maggiore o minore validità di talune considerazioni e ipotesi, per la dichiarata avversione a trattare il documento numismatico come "oggetto a sé stante", senza riguardo alla realtà del contesto di cui era espressione, e per la consapevolezza che mai l'interpretazione di un dato potesse essere ritenuta soddisfacente, se la natura della fonte impediva di evidenziare tutti gli elementi, nessuno escluso, che lo avevano in ultima istanza determinato.

Nel 1699 il B. faceva ritorno a Firenze. Ma l'assunzione di pubblici uffici (Cosimo III lo aveva chiamato a ricoprire la carica di segretario delle Riformagioni) non doveva più consentire all'archeologo, quasi quarantenne, di dedicarsi completamente ai suoi studi. Quando poteva "per qualche spazio di tempo" allontanarsi dalle "incumbenze della Città" tornava a occuparsi di cose che aveva vedute a Roma e che aveva già in animo di pubblicare: ma senza limitarsi ad esse e rivolgendosi sempre più decisamente allo studio dell'etruscologia.

Nel 1704, con il consenso dei fratelli Buonarroto e Gismondo, passarono al B. (che nel 1700 era stato nominato senatore) il museo e la libreria, di casa Buonarroti con tutti gli edifici adiacenti al palazzo di via Ghibellina.

Nel 1716 il B. pubblicò presso la tipografia fiorentina di Iacopo Guiducci e di Santi Franchi le Osservazioni sopra alcuniframmenti di vasi antichi di vetro ornati di figure trovati nei cimiteri di Roma.

L'opera (recensita dal Giornale de' letterati d'Italia, XXVII[1716], pp. 1-90) era data per imminente già prima del ritorno del B. a Firenze (Fabretti, Inscriptionum... explicatio, p. 593) e doveva costituire "quasi un secondo tomo di materie, per lo più sacre, dopo l'altro delle Osservazioni istoriche sopra i Medaglioni", sulle antichità del museo Carpegna; ma quando essa fu pubblicata, al materiale della collezione del Carpegna si aggiunsero i vetri raccolti da F. Chigi e gli altri di cui il B. aveva ricevuto i disegni da M. A. Boldetti (Osservazioni sopra i cimiteri de' santi martiri ed antichi cristiani di Roma, Roma 1720, p. 200). Il "bel volume" del B. rimase l'unica pubblicazione valida sui vetri cemeteriali sino a quando R. Garrucci, piuttosto che aggiornarne la versione francese di A. Martin, ritenne opportuno pubblicare un catalogo di tutta la documentazione allora disponibile (Vetri ornati di figure in oro trovati nei cimiteri cristiani, Roma 1858: il catalogo del B. comprendeva solo settantadue esemplari di contro ai trecentocinquanta e più raccolti dal Garrucci). Un'accurata analisi delle diverse tecniche di decorare tazze e bicchieri di vetro precede (con una serie di notevoli osservazioni paleografiche) l'illustrazione dei singoli pezzi. Chiude il volume una lunga appendice (pp. 229-283) di "Osservazioni sopra tre dittici antichi di avorio": due tardo-antichi del V sec. d.C. (il dittico di Basilio smembrato fra Milano e Firenze e quello con scena di consecratio al British Museum: R. Delbrück, Die Consulardiptychen und verwandte Denkmäler, Berlin-Leipzig 1929, nn. 6, 59) e uno di età medievale (conservato nei Musei Vaticani: C. R. Morey, Gli oggetti di avorio e di osso del Museo Sacro Vaticano, Città del Vaticano 1936, n. 62), per l'esegesi del quale il B. esitò a lungo senza arrivare a plausibili soluzioni: fu B. Bacchini a capire, da ultimo, che si trattava del dittico commissionato da Ageltrude vedova di Guido III di Spoleto allorché costruì il monastero di S. Flaviano di Rambona (Frammenti di vasi antichi di vetro, p. 273).

Nel 1723-24 T. Coke fece pubblicare a Firenze dalla stamperia di Giovanni Gaetano Tartini e di Santi Franchi i due tomi del De Etruria regali di T. Dempster. Rimasto inedito per circa un secolo, il manoscritto del Dempster non poteva essere dato alle stampe così come si trovava: l'opera, fondata sulle sole testimonianze epigrafiche e letterarie, contrastava troppo con il nuovo orientamento degli studi, e il Coke si rivolse al B. (accademico della Crusca e ora anche auditore della Giurisdizione ecclesiastica) perché vi fossero aggiunti un sufficiente numero di tavole e un adeguato commento archeologico. Ne derivò uno "strano miscuglio", come ha notato il Momigliano, delle due concezioni della antiquaria del Sei e Settecento. Il Giornale de' letterati d'Italia, che aveva dato notizia dell'edizione dell'opera (XXXVIII, I [1726-27], pp. 398-400), sottolineava il contrasto in un articolo del 1740 (XL, pp. 407-412).Merito del Dempster era stato quello di raccogliere, per primo, "gran quantità di passi" che riguardavano il popolo etrusco, anche se non poteva essere passato sotto silenzio che "molti e molti erano i luoghi d'antichi scrittori che gli sfuggirono, e... non separò, né fissò le opinioni, non discifrò le difficoltà, mischiò le autorità dei moderni, e quelle degli antichi, e assai si valse d'apocrifi e di scrittori di poco conto". Il B. invece aveva tentato "una strada affatto diversa", ponendosi a "considerare le sole antichità figurate", che erano "pezzi quasi tutti scelti... antichi tutti e sinceri, e sicuramente etruschi".

Tradotto in latino con la collaborazione di padre V. Valsecchi, il commento del B. alle settantanove tavole inserite nei due volumi dell'opera secondo le esigenze del discorso del Dempster (Ad monumenta Etrusca operi Dempsteriano addita explicationes et coniecturae) èposto alla fine del secondo tomo con numerazione propria ed èseguito da un altro gruppo di quattordici illustrazioni. Suddivise in capitoli più o meno brevi, le osservazioni del B. si riferiscono a tutte le manifestazioni della civiltà etrusca, dalla religione alla storia dell'arte, dagli usi e costumi alle conoscenze scientifiche, e si polarizzano infine sul problema della lingua, non senza toccare la questione delle origini.

Primo "lucumone" dell'Accademia etrusca di Cortona (fondata per suo suggerimento nel 1727) e segretario del Regio Diritto dal 1730, il B. morì a Firenze il 10 dic. 1733.

"Vir doctissimus idemque cautissimus" diceva di lui A.F. Gori, il discepolo che doveva realizzare la monumentale pubblicazione del Museum Florentinum (Florentiae 1731-42, sei volumi) "iuxta ordinem seriemque voluminum..., quam... Senator Philippus Bonarrotius praescripserat" (MuseiFlorentini antiqua nwnismata, I, Florentiae 1740, pp. XIII-XIV). E la definizione può essere mantenuta per indicare icasticamente l'importanza e il tratto caratteristico del Buonarroti. Il quale era "ben diverso e superiore non solo a molti archeologi a lui contemporanei, ma anche posteriori" per l'esigenza ribadita più di una volta che la "precisa, puntuale, globale conoscenza del documento archeologico" costituisse l'indispensabile premessa a ogni tentativo di analisi (Moretti). E se in campo storico-artistico avvertiva che ogni generalizzazione doveva essere evitata e che non si dava giudizio storicamente valido, ove fosse misconosciuta e la specificità delle situazioni locali e la realtà del rapporto fra comittente e artista, in campo numismatico sentiva il bisogno di revocare in dubbio più di una nozione tradizionalmente data per certa, e "non per far torto all'antiquaria", ma per definirne il reale contributo alla ricostruzione storica e dimostrare la inutilità dell'esaurirsi in se stesso dell'esame monetale, senza tener conto di eventuali apporti dalle diverse fonti (Medaglioni, pp. II-IV).Ma scrupoli e serietà del B. dovevano emergere meglio che altrove nello studio del materiale epigrafico. Sin dai suoi primi approcci con l'epigrafia, specie l'epigrafia etrusca, il B. non mancò mai di pulire le pietre e di lavarle prima di trarne gli apografi, talvolta fece ricorso all'uso di calchi cartacei, e non pubblicò nulla che non avesse avuto modo di controllare. L'accuratezza delle sue trascrizioni e la necessità fortemente avvertita di restare il più possibile aderente al testo, evitando d'includervi emendamenti e integrazioni pericolosi, fanno del B. uno dei maggiori epigrafisti del secolo XVIII, e non si può non accogliere il positivo giudizio del De Rossi, che opponeva alle sue le edizioni manchevoli del Boldetti, o quello del Buonamici, che sottolineava il tentativo del B. di delineare negli ultimi paragrafi (nn. 71-77)delle sue aggiunte all'opera del Dempster "un piano o un abbozzo di epigrafia etrusca". E si può aggiungere che meglio di ogni altro, dopo aver rigettato ogni precedente ipotesi sul problema della lingua etrusca, il B. aveva saputo indicare nello studio approfondito del materiale epigrafico etrusco la condizione necessaria dell'effettivo progresso delle indagini filologiche e linguistiche (la natura epigrafica della quasi totalità delle fonti giustificava queste conclusioni e questi suggerimenti tuttora validi). Lettere e manoscritti del B. sono conservati alla Bibl. Corsiniana di Roma ed alla Marucelliana di Firenze: alla Marucelliana sono conservati un suo taccuino con disegni (A48) e due tomi di Gemmarum antiquarum ectypa con impronte di ceralacca di gemme (A32-33).

Bibl.: G. Bianchini, Dei granduchi di Toscana…, Venezia 1741, pp. 81 ss.; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 4, Brescia 1763, pp. 2339 ss.; A. Fabroni, Vitae Italorum, VI, Pisis 1780, pp. 122 ss.; E. De Tipaldo, Biografia degli italiani illustri, VII, Venezia 1840, pp. 149 ss.; G. B. De Rossi, Inscriptiones christianae Urbis Romae, I, Romae 1857-61, pp. XXVII-XXVIII; I. Carini, L'Arcadia dal 1690 al 1890, Roma 1891, pp. 59 ss.; V. Spreti, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, II, Milano 1929, p. 208; G. Buonamici, Epigrafia etrusca, Firenze 1932, pp. 35 s.; A. Momigliano, Contributo alla storia degli studi classici, Roma 1955, p. 92; U. Procacci, La casa Buonarroti a Firenze, Milano 1965, p. 21; L. Michelini Tocci, I medaglioni romani e icontorniati del Medagliere Vaticano, Città del Vaticano 1965, pp. XVIII-XIX; L. Moretti, Note sull'arch. F. B., in Studi in on. di A. Corsano, Manduria 1970, pp. 443 ss.; A. Giuliano, Alcune più recenti ric. sulle gemme ant., in Maia, n.s., XXIII (1971), p. 328; Enc. Catt., III, col. 220.

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