CARANDINI, Filippo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 19 (1976)

CARANDINI, Filippo

Mirella Giansante

Nacque a Pesaro il 6 sett. 1729 dal marchese Giovanni Ludovico di antica nobiltà modenese. Educato dapprima a Pesaro, completò i suoi studi all'archiginnasio della Sapienza a Roma, dove il padre, rimasto vedovo, si era trasferito con l'intenzione di entrare in prelatura. Dopo aver conseguito la laurea in utroque iure, rimase a Roma, divenendo nel 1774 agente diplomatico del duca di Modena, ed entrando così in contatto con gli ambienti della corte pontificia che ne apprezzarono ben presto le capacità e la profonda competenza giuridica. Il C. assicurò subito la Curia circa il sostanziale rispetto verso gli interessi della Chiesa da parte del neoistituito tribunale della giunta di giurisdizione che avrebbe avuto il compito di tenere a freno l'insubordinato clero del ducato; e per dar prova della buona volontà del duca di Modena, nonostante le proteste del governo spagnolo, promise al pontefice di far impiegare nelle parrocchie di Modena gli ex gesuiti (27 maggio 1775). Nel 1776, appunto come plenipotenziario di Francesco III, iniziò con la S. Sede i negoziati per trattare alcune modifiche del codice estense, emanato nel 1771, reputato da Roma lesivo dell'immunità ecclesiastica.

Nel corso delle trattative, secondo le istruzioni ricevute da Modena, il C. appoggiandosi al filoaustriaco card. Albani, non cedette alle richieste del card. Boschi, negoziatore per la S. Sede, che mirava alla difesa più intransigente dei beni patrimoniali del clero e alla soppressione della giunta di giurisdizione, ma non tralasciò di dimostrare la sua buona disposizione nella difesa degli interessi di Roma.

Con l'ascesa al trono di Ercole III (22 apr. 1780), fermo giurisdizionalista, Modena assunse una posizione inconciliabile con quella della S. Sede, e il C., venuto a mancare lo spazio per la sua abile mediazione diplomatica, rassegnò le dimissioni. Altre prospettive di più sicura carriera si aprirono per lui a Roma: Pio VI, notate le sue capacità e la sua buona disposizione, già lo aveva scelto fra i collaboratori, nominandolo prelato domestico (1777) e luogotenente del vicariato; dal 1778 al 1784 fu luogotenente civile del tribunale della Camera apostolica. Nel 1785 Pio VI gli concesse la segreteria della Congregazione del Concilio. Elevato alla porpora il 29 genn. 1787, il 6 febbraio fu nominato prefetto della Congregazione del Buon Governo; il 7 aprile gli fu assegnata la diaconia di S. Maria in Portico. Promosso agli ordini minori il 28 dic. 1787, divenne suddiacono il 6 giugno 1789. Fu protettore di Pesaro, del conservatorio del Carmine alle falde del Gianicolo, e membro delle Congregazioni del Concilio, dell'Esame dei vescovi, della Lauretana. Dal 12 sett. 1794 il C. optò per la diaconia di S. Eustachio. Come prefetto della Congregazione del Buon Governo, succedendo al card. Casali, si assunse il compito assai complesso di attuare, nella realtà dei diversi ordinamenti delle comunità, l'editto delle dogane ai confini emanato da Pio VI (30 apr. 1786).

Il C. operò una revisione del sistema tributario delle comunità, e di concerto con il tesoriere generale limitò le imposte daziarie alle sole e gabelle d'introduzione" sui commestibili e sui generi di consumo ed anche manufatti, medicinali e droghe di provenienza estera. Secondo lo spirito della riforma la circolare della Congregazione del Buon Governo emanata dal C. il 10 marzo 1787 sopra l'affitto delle gabelle comunitative non abolite, sollecitò la tempestiva applicazione delle nuove disposizioni, cercando di conciliare alla nuova politica i vecchi appaltatori d'imposte duramente colpiti dal recente riassetto. Stabilì inoltre che entro quindici giorni ogni comunità dovesse far pervenire a Roma un dettagliato elenco dei generi, sottoposti a gabella prima e dopo l'editto dell'86.

La riforma scosse antichi privilegi e anche per molte comunità si aprì un periodo notevolmente lungo di disagi; in molti casi, in sede locale, si cercò di ritardare il più possibile o di limitare l'applicazione delle nuove norme per impedire, nel diffuso disordine burocratico, ogni possibile controllo da parte del potere centrale. Il C. per evitare ciò potenziò il sistema, del resto già in uso, delle visite alle comunità: egli stesso personalmente si recò nel 1787 a Spoleto e nel 1793 a Viterbo. Dalle relazioni di tali viaggi si notano da un lato il severo e capillare controllo esercitato dal C. e dall'altro la tendenza a prendere in considerazione i problemi concreti delle singole comunità, che, come per Spoleto, egli cercò di avviare a soluzione mediante una serie di decreti speciali.

Nel 1788 il C. partecipò appunto in qualità di prefetto del Buon Governo alla congregazione particolare composta dai cardinali Borromeo, Rezzonico (camerlengo), Zelada (segretario di Stato), Campanelli, e dai prefetti dell'Annona, mons. Della Porta, e della Grascia, mons. Gavotti. Essa doveva considerare l'opportunità o meno di abolire la precertazione bovina e suina, cioè un'istituzione tipica del sistema annonario vincolistico, che, permettendo una situazione di monopolio per la potente Università dei macellai, procurava forti svantaggi sia agli allevatori sia alla popolazione. I lavori della congregazione si svolsero, sotto opposte pressioni, fino al settembre 1789, concludendosi con la totale abolizione dell'impopolare istituto. Sempre nel quadro della nuova ventata riformistica, il C. il 30 ag. 1788 emanò una disposizione che, mentre lasciava esente da ogni gabella il ferro greggio importato, estendeva ai derivati e lavorati di ferro (compresi la ghisa e l'acciaio) il bollo sui manufatti da apporsi a cura delle varie comunità.

Per lo sviluppo dell'industria mineraria e siderurgica dello Stato pontificio il C. s'impegnò a fondo, tentando anche speculazioni in proprio: nel 1790 dette il via ai lavori per riattare la miniera di Guarcino già abbandonata per la sua scarsa resa; nel 1794 sotto i suoi auspici venne fondata la importante ferriera di Terni; il 15sett. 1795 ottenne dalla Camera apostolica la facoltà di sfruttare le miniere di ferro di monte Nerone e di altri monti vicini nello Stato di Urbino (cfr. Piscitelli, p. 120 n. 54) per il simbolico canone annuo di una libbra di cera.

Parallelamente alla sua attività di prefetto del Buon Governo il C. non trascurò i suoi studi di giurisprudenza (a Roma alla sua scuola si formarono molti giovani, tra cui Alessandro Lante), né l'esercizio della professione forense. Nel 1788 fece parte della commissione dei cinque cardinali che rappresentarono gli interessi del papa nella burrascosa vicenda dell'eredità della marchesa Vittoria Lepri, della sua pupilla e dei nipoti del papa. Il C. e i suoi colleghi, usando tutta la loro consumata abilità, giunsero a una transazione soddisfacente per entrambe le parti e che, almeno formalmente, fugò le accuse di un rinascente nepotismo alla corte di Roma.

Nel 1790, in un processo molto discusso, il C. fu accusatore di Sigismondo Chigi, principe e mecenate di vasta e moderna cultura: l'accusa era di tentato avvelenamento del C. per mano di sicari a causa di un antico rancore.

Contravvenendo a ogni regola procedurale, il C. stesso istruì il processo in cui era attore e, sicuro della buona disposizione del pontefice, presentò solo indizi assai opinabili. Dietro il pretesto dell'accusa di avvelenamento si celava in realtà il tentativo di screditare con un'accusa infamante il Chigi, stimato pericoloso per alcune critiche da lui più volte avanzate alla politica economica papale giudicata ancora troppo angusta. La sentenza del processo fu emessa il 25 febbr. 1791 e fu assai dura per il Chigi, ritenuto colpevole e condannato al carcere perpetuo, ma fortunatamente contumace.

Quando nel 1798 lo Stato pontificio fu invaso dai Francesi, il C. il 12 febbraio, insieme con altri cardinali, fu preso come ostaggio e il 10 marzo trasferito a Civitavecchia nel convento dei domenicani; lasciato infine libero il 28 marzo, si ritirò a Modena presso la sua famiglia. Qui lo raggiunse la notizia della morte di Pio VI e l'invito a partecipare al conclave di Venezia (1º dic. 1799-14 marzo 1800).

Dapprima favorevole al Mattei, sostenuto dal partito dell'Antonelli, di cui egli pure faceva parte, in seguito il C. si lasciò persuadere a fatica dallo stesso Antonelli ad accettare la candidatura dei Chiaramonti, da lui malvisto per la parentela col card. Braschi.

Con il nuovo pontefice il C. divenne prefetto della Congregazione del Concilio e visitatore perpetuo degli Uffizi dei tribunali, e nel luglio del 1800 fu chiamato a far parte della riorganizzata Congregazione economica (insieme con i cardinali Ruffo, Borgia, Antonelli e Doria), che tra i primi atti decretò lo scioglimento delle anacronistiche corporazioni delle arti e mestieri e in seguito, fino al 1808, fu impegnata, in stretta collaborazione con la Congregazione del Buon Governo, a risolvere il grave problema dell'estinzione dei debiti delle comunità e ad attuare tutte le nuove disposizioni in materia finanziaria e amministrativa.

Dal 28 luglio 1800 il C. fu anche membro della nuova Congregazione sopra gli Affari ecclesiastici, subito incaricata di esaminare le proposte del Bonaparte per un concordato tra Francia e S. Sede e di proporre un testo accettabile dalle due parti. Durante i lavori il C. mantenne un atteggiamento moderato, proponendo più volte di fare alla Francia tutte le concessioni compatibili con la dottrina cattolica. Fu impegnato anche nella congregazione riunitasi per elaborare il concordato con la Repubblica italiana (26 febbr. 1802.).

Occupata Roma da Napoleone, il C. lasciò la città il 16 giugno 1809 dopo la deportazione di Pio VII e, perse le speranze di ritornarvi, il 9 luglio si rifugiò a Modena, ove morì il 28 ag. 1810.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Roma, Buon Governo, s. IV, voll. 785 (Copia dei decreti fatti dal sig. card. Carandini nella visita della Comunità di Spoleto nell'anno 1787); 890 (Visita della città di Viterbo fatta in ottobre 1793 dallo em.o sig. card. Carandini prefetto della Congr. de Sgravi e Buon Governo); cfr. anche L'Archivio della S. Congr. del Buon Governo (1592-1847). Invent., a cura di E. Lodolini, Roma 1956, pp. XXIII, XCVIII, CI, 165, 168; Notizie per l'anno 1786, Roma 1796, p. 269; Lettere ined. di G. Marini, a cura di E. Carusi, II, Città del Vaticano 1938, pp. 285, 288, 325 s., 328; G. B. Tavanti, Fasti del S. Padre Pio VI, II, Italia 1804, p. 14; A. Ademollo, Un processo celebre di veneficio a Roma nell'anno 1790, Roma 1881; C. van Duerm, Un peu plus de lumière sur le conclave de Venise, Paris 1896, pp. 84, 114, 151, 170, 229, 371, 443 s., 449, 628; G. Salvioli, La legislaz. di Francesco III duca di Modena, in Attie mem. della R. Deput. di storia patria per le antiche provincie modenesi, s. 4, IX (1899), pp. 1-42; I. Rinieri, La diplomazia pontificia nel secolo XIX, I, Roma 1902, p. 73; J. Gendry, Pie VI, Paris s.d., pp. 293, 297, 309, 312 s.; E. Piscitelli, La riforma di Pio VI e gli scrittori econom. romani, Milano 1958, pp. 96, 98, 120; M. Schenetti, La testimonianza di un modenese sulla morte di Papa Clemente XIV, in Atti e mem. della Deputaz. di storia patria per le anticheprovincie modenesi s. 10, V (1970), pp. 191-194; G. Moroni, Dizionario di erudiz. storico-ecclesiastica, IX, pp. 250-251, e ad Indices; P. Ritzier-P. Seffin, Herarchia catholica, VI, Patavii 1958, p. 35.

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