DE ANGELIS, Filippo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 33 (1987)

DE ANGELIS, Filippo

Giuseppe Monsagrati

Nacque ad Ascoli Piceno il 16 apr. 1792 da Vincenzo, ricco possidente, e da Maria Alvitreti, discendente da illustre famiglia ascolana insignita del marchesato di Marino. Compiuti i primi studi nel seminario di Ascoli, si iscrisse all'università romana e vi conseguì due lauree, la prima in diritto canonico e civile (22 luglio 1818) e la seconda in filosofia e teologia (25 sett. 1919): era perciò pronto ad affrontare la carriera ecclesiastica che si snodò secondo gli schemi collaudati di un lento ma efficace tirocinio nel campo spirituale ma più ancora in quello amministrativo. Il cursus honorum del D. può dunque essere considerato esemplare del processo di formazione del ceto dirigente nello Stato pontificio: convittore per più anni dell'Accademia ecclesiastica pontificia, poi prelato domestico e sottosegretario ai Memoriali (1823), quindi, promosso il 3 luglio 1826 alla sede di Leuca, e consacrato vescovo il 23 luglio 1826, il giorno dopo era inviato a Forlì per sostituire, col titolo di vicario e visitatore apostolico, il vescovo A. Bratti chiamato a Roma per discolparsi da gravi accuse e quindi invitato a lasciare definitivamente la diocesi. Negli anni in cui restò a Forlì, il D., oltre a riportare il locale seminario in pristinum splendorem, come si esprime un suo apologeta in latino (I). Sartini, De Ph. D. cardinali archiepiscopo principi. Firmanorum commentarius, Faliscodunii 1876, p. 8), riuscì a ristabilire la concordia tra i cittadini divisi in due fazioni, favorevole e contraria, al vescovo allontanato; e certo dovette dar prova di grande tatto se papa Pio VIII, dopo averlo nominato arcivescovo di Cartagine (15 marzo 1830), gli conferiva l'incarico di nunzio pontificio in Svizzera (23 apr. 1830).

Il D. restò in Svizzera esattamente nove anni. La sua missione, fin dall'inizio molto delicata in un paese in cui il cattolicesimo viveva a diretto contatto con la realtà protestante, fu resa ancor più complessa dai fermenti di ribellione a Roma che il giurisdizionalismo settecentesco aveva finito per produrre anche nella Confederazione. Su questi motivi, che adombravano la volontà dello Stato di sottrarsi ad ogni ingerenza esterna, altri se ne innestavano, come l'influsso della vicina Francia e la presenza di un clero che, per ammissione degli stessi rappresentanti pontifici, era spesso avido e corrotto: un insieme di fattori che favorivano la diffusione di tesi razionalistiche e, per conseguenza, l'aspirazione ad una Chiesa nazionale posta sotto il controllo dello Stato. La rivoluzione del '31 e l'ascesa al potere dei radicali fecero maturare le posizioni di chi voleva il distacco da Roma o, quanto meno, l'emancipazione dei Cantoni dai vincoli imposti dalla giurisdizione ecclesiastica. Da Lucerna, sede della nunziatura e, con San Gallo e i Grigioni, fertile terreno di coltura del moto progressista, il D. cercò inizialmente di non esasperare la vertenza "in un momento - scriveva al card. Berrietti - in cui è stato ispirato il più grande orrore contro ogni intervenzione straniera" (dispaccio del 19 febbr. 1831) e in cui, peraltro, la S. Sede, alle prese con la rivoluzione interna, puntava sul reclutamento di due reggimenti di mercenari. Una vecchia tradizione della diplomazia papale voleva che, di fronte alle richieste degli Stati laici, i nunzi si sforzassero di prender tempo e limitare al massimo le concessioni: finché poté anche il D. seguì questa linea che gli permise di superare nel '32 la prima crisi provocata dall'inserimento nella nuova costituzione elvetica del giuramento di fedeltà dei parroci. Ma già dalla primavera del '33. facendo proprie le tesi del curato A. Fuchs - subito condannate da Gregorio XVI con due brevi del 24 luglio e del 17 settembre - il governo di San Gallo, interessato alla separazione della locale diocesi da quella di Coira e alla creazione di una gerarchia indipendente da Roma, aprì le ostilità sopprimendo il seminario e incamerando i beni del clero. A sancire la rivolta venne poi la conferenza di Baden (20 febbr. 1834) nella quale i Cantoni riuniti proposero l'istituzione di un arcivescovo me tropolitano e una decisa limitazione dell'autonomia del clero.

Le contromisure prese dal D. furono graduali e proporzionate all'aggravarsi della situazione ma finirono per approfondire una frattura che aveva radici profonde e non era legata all'iniziativa di questo o quel personaggio: le sue note diplomatiche, l'enciclica Commissum divinitus con cui Gregorio XVI condannava il 17maggio 1835le tesi di Baden, lo stesso appello rivolto dal nunzio ai rappresentanti d'Austria e Piemonte perché difendessero le ragioni del Papato furono vani; così come non ebbero effetto altri interventi meno formali, come il ritiro dal mercato degli opuscoli di A. Fuchs ad opera dei canonico luganese G. B. Torricelli (che in seguito. incoraggiato dal D., avrebbe esaltato l'azione del nunzio in una raccolta di Dissertazioni storico-polemiche (Lugano 1835e ristampate nel '55) o la proposta, studiata ma mai messa in atto per l'opposizione della Francia, di bloccare il commercio interno ed estero della Svizzera. Ma ciò che esasperò maggiormente le autorità e l'opinione pubblica della Confederazione fu il tentativo condotto dal D. di speculare sul malcontento dei pochi Cantoni rimasti fedeli a Roma per far balenare il rischio di una spaccatura della Confederazione: per reazione, mentre il governo respingeva l'enciclica papale, la stampa iniziava una violenta campagna contro il D. che era costretto a spostare la nunziatura a Schyjyz (novembre 1835), dove il rapporto con la popolazione era più facile, e quindi ad autorizzare lo sdoppiamento della diocesi di Coira e San Gallo (26 apr. 1836).

Bisogna rilevare che l'azione del D. in questi cinque anni non fu sempre apprezzata a Roma: i suoi dispacci, indirizzati al segretario di Stato Bernetti, erano esaminati dal segretario della S. Congregazione degli Affari ecclesiastici straordinari, mons. L. Frezza, che non si mostrò mai troppo indulgente; e il D., che già nel novembre 1832era stato destinato a Lisbona senza però potervisi recare per la precarietà della situazione interna portoghese e poi per la rottura delle relazioni diplomatiche tra la S. Sede e il Portogallo (29 luglio 1833), nel dispaccio del 24 luglio 1834penò per far capire al Bernetti che la prospettata ipotesi di affiancargli l'incaricato d'affari pontificio a Torino, P. Gizzi, nella gestione dei rapporti con la Svizzera, oltre a punirlo personalmente non sarebbe servita a migliorare relazioni che si erano guastate non per questioni di forma o etichetta, come Roma si ostinava a credere, ma "di principii". Ma finché il Bernetti e il Frezza rimasero ai loro posti il D., pur sforzandosi di applicarne le direttive dilatorie, ebbe a subire critiche impietose; e se il secondo lo accusava di "perdersi in parole" (parere del 18 ott. 1834) e di aver garantito come prossima la separazione della doppia diocesi invece di "farla tra sentire e sperare" (parere del 30 giugno 1835), su questo stesso punto il Bernetti lo rampognava duramente per aver parlato di divisione e non, più vagamente, di "nuova organizzazione" (minuta del 2 luglio 1835).

Col passaggio a Schwyz e l'avvento del Lambruschini alla segreteria di Stato (1836) la posizione del D. a Roma si fece più sicura, anche se il contrasto con la Svizzera trasse nuovo alimento dalla soppressione di alcuni conventi e dalla ostilità dei Cantoni radicali: un clima difficile che gli fece accogliere con gioia la notizia del proprio passaggio alla diocesi di Montefiascone e Corneto (dispaccio del 16 dic. 1837, decorrenza ufficiale dal 15 febbr. 1838). Ragioni di salute costrinsero il D. a restare a Schwyz fino al 30 apr. 1839: pochi mesi prima (13 sett. 1838) Gregorio XVI lo aveva riservato cardinale in pectore. La pubblicazione ebbe luogo l'8 luglio 1839, l'imposizione della berretta col titolo presbiteriale di S. Bernardo alle Terme tre giorni dopo.

Prostrato da dieci anni di lotte, il D. fece di Montefiascone una sinecura dove suoi unici problemi furono il riordinamento del seminario e l'ampliamento del Monte di pietà: al collega L. Amat confidava ad esempio che, pur deprecando l'assenza di ogni forma di vita sociale, gradiva molto la "docilità generale" dei diocesani (lettera del 27 nov. 1839, in Museo centr. del Risorg. di Roma, busta 213/3/5); economicamente abbastanza redditizia, la sede assegnatagli era magari "sozza", ma aveva un gran merito: "non vi sono affatto opinioni politiche esaltate, v'è moltissima soggezione e deferenza, e il Cardinal Vescovo e Legato è tutto" (lettera del 27 marzo 1841, ibid., busta 213/3/7).

La sua soddisfazione crebbe quando, il 27 genn. 1842, passò all'arcidiocesi di Fermo: il bene della tranquillità era consolidato dalla vicinanza alla città natia e dai proventi di una sede che era tra le più ricche dello Stato., la sola mensa vescovile rendendo 6.000 scudi l'anno.

Su questa disposizione d'animo l'avvento di Pio IX e l'inizio delle riforme caddero come una sorta di fastidio, un sentimento, questo, presto soppiantato dal timore dei pericoli cui la svolta improvvisa esponeva lo Stato pontificio; soprattutto preoccupava il D. l'idea di dover tenere a freno, con grossi rischi d'impopolarità, un movimento ormai scatenato che anche nelle Marche esaltava in Pio IX non il capo della Chiesa ma il simbolo della lotta per la nazionalità. Il pessimismo della fine del '46 si tradusse nel '47 in rancoroso dissenso verso un papa che, rompendo con l'Austria, privava la Chiesa del sostegno maggiore proprio quando il gioco dei rivoluzionari si faceva più scoperto; il punto di vista del D. era dunque quello del partito conservatore, lo stesso che nel precedente conclave aveva fatto confluire su di lui un esiguo numero di voti e che ora osservava con apprensione gli sviluppi della politica di Pio IX. Impossibilitato ad opporsi al nuovo corso, il D. si mantenne in un'attesa passiva, e certo accolse la fuga del papa a Gaeta e l'avvento della Repubblica come un chiarimento che gli consentiva di riprendere l'iniziativa. Verso il regime repubblicano mise allora in atto un ostracismo che, tramite l'adozione di misure punitive in campo spirituale, mirava a togliere alla rivoluzione la base popolare; sembra inoltre che, attraverso il fratello, il D. sostenesse le bande che nell'Ascolano facevano del brigantaggio uno strumento di controrivoluzione: da ciò il provvedimento di arresto e deportazione nel forte di Ancona preso dalle autorità periferiche repubblicane nei confronti dell'arcivescovo (11 marzo 1849) che di questa esperienza, durata fino alla resa della città agli Austriaci (3 giugno 1849), lasciò un diario in cui due aspetti risaltano su tutto: il grande spavento causatogli dai bombardamenti e la singolare conoscenza di dettagli tecnici sulle bocche da fuoco usate da assedianti e assediati.

Tornato a Fermo, il D. impiegò molto tempo per riprendersi dal trauma subito: convinto non del tutto a torto che, durante la prigionia, niente fosse stato fatto dal Vaticano per ottenere la sua liberazione, oppose un rifiuto all'invito di Pio IX che avrebbe voluto inserirlo nel triumvirato di cardinali incaricato di restaurare il potere temporale: l'ambiente romano non gli piaceva e apparentemente non lo animava alcuno spirito di vendetta verso i suoi persecutori tanto che per due volte tra il '50 e il '51 intervenne perché gli autori del suo arresto non subissero condanne o almeno vedessero ridotte le loro pene, ma forse capiva anche che il ricorso alla clemenza era la sola via per riguadagnare al Papato il rispetto dei sudditi e a se stesso la devozione dei fedeli.

Il Leti, nella sua biografia del D. intrisa di un anticlericalismo piuttosto fazioso, osserva che, una volta consolidato il potere pontificio, il cardinale collaborò di persona alla raccolta di prove contro alcuni sostenitori dei cessato regime (cinque dei quali poi giustiziati), ma facendo sempre attenzione a non esporsi e a non lasciare testimonianze scritte del proprio operato: è un giudizio difficile da confermare in quanto basato quasi esclusivamente su illazioni ma che certo fu condiviso da larga parte della popolazione fermana soprattutto dopo la conquista piemontese delle Marche e l'annessione della regione al Regno unito.

Come già nel '49, anche nel '60 il D. non esitò a prender posizione contro l'ordine appena instaurato con una circolare che impegnava il clero diocesano a rifiutare giuramenti, incarichi e ogni altra forma di collaborazione con l'autorità civile. Questo atteggiamento, e il timore che egli potesse far leva sulla reazione sanfedista, indussero M. Fanti ad ordinarne l'arresto (28 sett. 1860) e la immediata traduzione a Torino. All'invito del Cavour di trasferirsi a Roma il D. rispose che si sarebbe mosso solo per far ritorno a Fermo. Ritiratosi in un convento di Padri missionari, il cardinale osservò nei primi anni di permanenza a Torino il massimo riserbo; Pio IX lo considerava alla stregua d'un martire e ogni anno a Natale gli inviava espressioni di lode per la sua fermezza e di augurio per il futuro suo e della Chiesa. Inoltre, come registrano puntualmente le rubricelle della segreteria di Stato per gli anni 1860-66, ogni mese gli faceva pervenire la considerevole somma di 1.000 scudi.

La soluzione del problema relativo al D., che era quello più vasto delle ventiquattro sedi vescovili vacanti, venne nell'ottobre del '66, nell'ambito della politica di conciliazione tra Stato e S. Sede ripresa dal Ricasoli e preannunziata ai prefetti italiani con quella circolare (datata 22 ott. 1866) in cui, constatata la fine del periodo di assestamento del paese, si deliberava di "procedere al richiamo dei vescovi che per necessità di locale o generale sicurezza furono allontanati dalle loro sedi ed inviati a domicilio coatto" (Carteggi di B. Ricasoli, a cura di S. Camerani e G. Arfé, XXIV, Roma 1970, p. 162).

Il D. rivide la diocesi il 4 dicembre del 1866: l'accoglienza dei Fermani fu molto calorosa nonostante la presenza di "pochi tristi", come li qualificava il D. stesso scrivendo al card. Antonelli una settimana più tardi, e soggiungendo di aver saputo che il governo italiano aveva raccomandato "a quest'Autorità di vegliare perchè io fossi tranquillo e indipendente nell'esercizio del mio ministero" (Archivio Segreto Vaticano, Segreteria di Stato, 1866, rubrica 165, fasc. 3, prot. 43-329).

La lealtà di questa ammissione collegata alla notizia dei buoni rapporti intrattenuti con molti membri della famiglià reale negli ultimi tempi del soggiorno torinese farebbe pensare ad un ammorbidimento del D. nei confronti dello Stato italiano: d'altra parte negli ambienti conservatori il suo allontariamento dalla diocesi fermana costituiva, insieme con la indiscussa preparazione, un titolo di merito che fin dal '61 faceva di lui il candidato naturale dell'Austria e dello schieramento conservatore per un conclave che si riteneva prossimo. Una simile designazione, che trovava contraria la Francia, fu di volta in volta confermata dai rappresentanti e dai fiduciari austriaci a Roma fino al '76, un anno prima della sua morte; ma il D., che senza dubbio ne era al corrente, non poteva ignorare che un uomo come lui, attestato su posizioni di netta chiusura, per quanto stimato difficilmente sarebbe giunto al soglio pontificio. E forse è in relazione a queste sue aspirazioni che si può comprendere lo spirito con cui guidò le sedute del concilio vaticano.

Il D. esercitò le funzioni di primo presidente del concilio dal 3 genn. 1870, succedendo al defunto card. Reisach. Pur se inizialmente allineato sulle tesi della maggioranza che miravano a schiacciare ogni tentativo di opposizione, sul problema principale, quello dell'infallibilità del pontefice, diede prova di una certa apertura fino a rispettare e in qualche caso ad appoggiare la tendenza minoritaria che grazie a lui non si vide precluso a priori un limitato spazio di manovra. Se addirittura qualche testimone poté registrare in più di un'occasione lo sforzo del D. di dissociare le proprie responsabilità dalle decisioni di Pio IX e di non contrastare l'orientamento prudenziale di chi voleva che la definizione del dogma dell'infallibilità fosse una scelta molto meditata, ciò è forse da attribuire, oltre che al desiderio di evitare pericolose fratture, al proposito di raccogliere consensi su cui poter contare in un futuro conclave. Da allora lo spirito conciliativo si fece in lui tanto forte da spingerlo a patrocinare, dopo il 20 settembre, la partenza del papa da Roma per rimuovere così quello che il rappresentante britannico definiva "a great obstacle to the entire incorporation of Rome into the Italian Kingdom" (N. Miko, Das Ende des Kirchenstaates, III, Wien-München 1969, p. 51).

Le ambizioni papali dei D. non dovevano però mai realizzarsi: titolare di S. Lorenzo in Lucina dal '67, quindi camerlengo di S. R. Chiesa, morì a Fermo l'8 luglio 1877, un anno dopo la celebrazione del giubileo sacerdotale.

Fonti e Bibl.: I dispacci del D. dalla Svizzera sono conservati in Arch. Segr. Vaticano, Segr. di Stato, rubr. 254, buste 498-490 (l'archivio della nunziatura, ibid., Nunziatura di Lucerna, buste 409-414); per la corrisp. coll'Antonelli prima e dopo la partenza da Torino: Ibid., Segr. di Stato, 1866, rubr. 165, fasc. 3, prott- 43-103, 43-180, 43.229; una lett. a Pio IX, Ibid., Arch. Pio IX, Oggetti vari, 198. Le 58 lettere al card. Amat e a P. Braschi in Roma, Museo centr. del Risorgimento, busta 213, cart. 3-7. All'arch. privato del D., conservato presso privati a Loreto, ha attinto C. Tommasini, Lettere inedite di Pio IX al card. D. di Fermo, in Studi maceratesi, IX (1973), pp. 424-434; nell'Arch. stor. arcivescovile di Fermo, oltre a una importante corrispondenza con mons. Agnelli (quattrocentoquarantotto lettere, in parte di mano del segretario, per gli anni 1858-1877), è custodito il manoscritto edito da G. Piergallina, Ilgiornale del card. F. De Angelis... (1849), in Atti e mem. della Deputaz. di st. Patria Per le Marche, s. 8, V (1966-1967), pp. 119-154. Altro materiale inedito sempre a Fermo, nell'Arch. capitolare del duomo e in quello della parrocchia di S. Pietro. Numerose le fonti edite, a partire da quelle coeve: G. B. Torricelli, Dissertaz. storico-polemiche ossia catechismo religioso sociale, III, 1, Milano 1855, pp. 221-238, 316, 329 s.; G. Moroni, Diz. d'erudiz. stor-ecclesiastico, ad Indicem. Sul periodosvizzero: Edizione nazionale degli scritti di G. Mazzini, Epistolario, IV, p. 142; Le relazioni diplomatiche fra lo Stato pontificio e la Francia, s. 2, 1-11, a cura di G. Procacci, Roma 1962-63, ad Indicem. Sul suo ruolo nel 1849: F. Orsini, Lettere, a cura di A. M. Ghisalberti, Roma 1936, p. 87; J. Pli. Koelman, Memorie romane, I-II,a cura di M. L. Trebiliani, Roma 1963, ad Indicem; Le relaz. diplomat. fra lo Stato Pontificio e la Francia, s. 3, II, a cura di M. Fatica, Roma 1972, ad Indicem; Le relaz. diplomat. fra l'Austria e lo Stato pontificio, s. 3, 1, a cura di R. Blaas, Roma 1973, ad Indicem. Sulla traduzione a Torino e successiva liberazione: P. Pirri, Pio IX e Vittorio Emanuele II dal loro carteggio privato, II-III, La Questione romana 1856-1870, Roma 1951-1961, ad Indicem; per i Carteggi cavouriani si rinvia all'Indice gen. dei Primi quindici volumi (1926-1954), a cura di C. Pischedda, Bologna 1961, ad nomen; Docc. dipl. it., s. 1,V (1864-1865), Roma 1977, ad Indicem. Sulla eventualità di una sua elezione al Papato: F. Engel Janosi, Oesterreich und der Vatikan 1846-1918, 1-11, Graz 1958, ad Indicem; Docc. dipl. it., s. 2, II (1871), Roma 1966, ad Indicem; e soprattutto Ch. Weber, Kardindle und Pralaten in den letzten Jahrzehnten des Kirchenstaates, I-II, Stuttgart 1978, ad Indicem; sul ruolo svolto dal D. nel concilio: L. Teste, Préface au Conclave, Paris 1877, pp. 103-107, e G. G. Franco, Appunti storici sopra il Concilio Vaticano, a cura di G. Martina, Roma 1972, ad Indicem. Biografie: un medaglione in Acres et histoire du Concile oecuménique de Rome..., a cura di V. Frond, Le Sacré College, Paris 1870, ad nomen; Eusebio da Monte Santo, Elogio funebre dell'e.mo e r.mo card. F. D., Roma 1877; G. Leti, Fermo e il card. F. D. .... Roma1902; Historisch-biograph. Lexicon der Schweiz, I,Neuenburg 1921, al nome Angelis; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecc]., III, coll. 64 s.; Enc. catt., IV, sub voce. Notizie sulla carriera in R. Ritzler-P. Sefrin, Hierarchia catholica medii et recentioris aevi, VII,Patavii 1968, ad Indicem. Sulla nunziatura in Svizzera: G. Monsagrati, Verso il Sonderbund..., in Atti del II Convegno interregionale di storia del Risorgimento..., Viterbo 1983, pp. 123-59; qualche giudizio in opere a carattere generale: J. Dierauer, Hist. de la Confédér. Suisse (1795-1848), Lausanne 1919, p. 712; V. Gorresio, Risorg. scomunicato, Firenze 1958, pp. 114-125; R. Aubert, Ilpontificato di Pio IX, Torino 1964, ad Indicem; M. Maccarrone, Ilconcilio Vaticano 1 e il "Giornale" di mons. Arrigoni, I-II, Padova 1966, ad Indicem (fondamentale); B. Ficcadenti, Una vicenda della rivalità municipale sorta con l'Unità d'Italia, Urbino 1973, ad Indicem; G. Martina, Pio IX (1846-1850), Roma 1974, ad Indicem; R. De Cesare, Roma e lo Stato del Papa. Dal ritorno di Pio IX al XX settembre (1850-1870),Roma 1975, pp. 527, 531, 628, 631.

CATEGORIE
TAG

Svizzera

Firenze

Viterbo

Padova

Torino