DELLA TORRE, Filippo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 37 (1989)

DELLA TORRE, Filippo

Giuliana L. Fantoni

Figlio di Iacopo e quindi nipote di Iacopo di Martino detto il Gigante, conte di Valsassina, nacque all'inizio del sec. XIII; era fratello di Martino. Suo zio Pagano era stato capo della Credenza di S. Ambrogio a Milano. Le prime notizie su di lui risalgono al 1256, quando fu podestà di Genova (in quell'anno il fratello Martino divenne podestà della Credenza di S. Ambrogio). Come tale egli venne accusato di gravi malversazioni a danno di alcuni mercanti piacentini, tanto che alla fine del suo mandato venne condannato al pagamento di una forte somma e alla detenzione. Fu liberato e poté fare ritorno a casa solo dopo aver riconosciuto con giuramento solenne che la città di Genova non gli aveva fatto alcun torto e che pertanto Milano non avrebbe attuato alcun tipo di rappresaglia contro la città ligure.

Nel 1263 il fratello Martino, ormai prossimo alla morte, chiese ed ottenne che il D. gli succedesse nella carica di podestà perpetuo del Popolo. Entrato in carica (18 dic. 1263), il D. dovette affrontare subito il problema della presenza a Milano del marchese Oberto Pelavicino, con il quale Martino aveva stipulato un contratto quinquennale, conferendogli la carica di capitano generale dell'esercito cittadino. Tale accordo, però, data la tradizionale appartenenza del Pelavicino e della sua famiglia alla parte ghibellina, aveva suscitato non poche riserve nei popolari e all'interno della stessa famiglia Della Torre. Secondo la versione più accreditata, il D. decise che il contratto sarebbe scaduto l'11 nov. 1264, al termine, cioè, dei cinque anni convenuti, senza ulteriori rinnovi o dilazioni. Di fronte a tale decisione il Pelavicino ordinò l'arresto dei mercanti milanesi a Cremona e la confisca delle loro barche. Secondo il Corio, invece, l'episodio sarebbe da porre dopo la scadenza del contratto che legava il marchese al Comune di Milano e pertanto sarebbe successivo all'adesione del D. allo schieramento guelfo che faceva capo a Carlo d'Angiò.

Il D., inoltre, promosse una politica di espansione del dominio di Milano in altre città della Lombardia, sia per rafforzare il proprio potere personale, sia per fronteggiare la potenza di Oberto Pelavicino, che manteneva una posizione politica egemonica nell'area padana. Nel giorno di Natale del 1263 il D. divenne podestà di Como (carica che esercitò per lo più tramite i vicari Aliprando Bagnacane e Accursio Cutica), dopo una lotta aspra e cruenta, vinta da capi guelfi, i Vittani, contro i Rusconi, ghibellini, che appoggiavano Corrado da Venosta. I ghibellini vennero cacciati dalla città e perseguitati dal partito guelfo: il loro capo Simone da Locarno fu catturato mentre passava il fiume Tresa e tradotto a Milano, insieme con altri eminenti esponenti della fazione, tra cui suo nipote Guidotto. Il D. fece rinchiudere i prigionieri nella rocca di Pessano, presso Gorgonzola. Di qui essi fuggirono poco dopo, ma vennero nuovamente catturati e imprigionati, questa volta a Milano. Intanto le truppe milanesi avevano assediato Teglio in Valtellina e, giunte fino a Chiavenna, avevano costretto gli avversari a rifugiarsi in Val Bregaglia, dove questi ultimi organizzarono ancora alcune azioni di disturbo destinate, però, a non aver seguito.

Anche Novara, che già nel 1263 si era consegnata a Martino Della Torre, si sottomise al nuovo signore di Milano, che vi ricoprì la carica di podestà del Comune nel 1264 e nel 1265, e che dovette intervenire armata manu in alcuni territori del circondario, come ad esempio in Val Sesia, dove si impadronì del castello di Robiallo, appartenente alla famiglia dei Tornielli, ghibellini. Analoga sottomissione si verificò a Lodi, dove prevaleva la fazione guelfa dei Sommariva e dove già Martino era stato eletto podestà all'indomani della vittoria di Cassano (1259). Alla fine del 1264 anche Bergamo seguì l'esempio di questi Comuni; qui, infatti, i cittadini, forse anche per sottrarsi alla pesante influenza del Pelavicino, elessero il D. podestà per dieci anni e gli conferirono piena balia. Dopo aver ricevuto a Milano gli ambasciatori bergamaschi, il giorno 13 dicembre, il D. cavalcò verso Bergamo, dove fu conclusa alleanza formale tra questa città e Milano (11 febbr. 1265). Sotto la podesteria del D., a Bergamo furono conservate le precedenti magistrature cittadine ed il Comune continuò ad avere piena autorità di imposizione fiscale. Tuttavia venne introdotta una novità: il Comune fu obbligato a pagare annualmente al D. un tributo in denaro. In politica estera Bergamo, al pari delle altre città sottomesse dal D., aderì alle scelte milanesi.

In breve tempo, dunque, il D. era riuscito a formare uno schieramento di Comuni - composto da Milano, Como, Novara, Vercelli, Lodi e Bergamo - che costituiva un potente fronte guelfo opposto a quello ghibellino guidato dal marchese Pelavicino e formato da Cremona, Crema, Brescia, Piacenza, Alessandria, Pavia e Tortona.

All'inizio del 1265 il D. si alleò con Carlo d'Angiò, ed accettò come podestà di Milano il provenzale Barra (Embarra) des Baux (Del Balzo), sceso in Italia al seguito dell'Angioino. L'alleanza serviva al D. da un canto per avere un valido sostegno contro il marchese Pelavicino, dall'altro per riconciliarsi con il pontefice, che aveva lanciato l'interdetto contro Milano in seguito al rifiuto del Comune di accogliere come arcivescovo Ottone Visconti.

Nelle trattative intavolate con il principe francese pare abbia avuto un ruolo di primo piano Accursio Cutica, che era devotissimo al D. e che era stato al fianco di quest'ultimo come giudice e assessore durante la podestaria a Genova; tuttavia sono poco chiari il modo e i tempi in cui sarebbero avvenuti i contatti tra le parti. Secondo la ricostruzione del Blancard, Filippo II di Montfort sarebbe stato inviato quale ambasciatore del conte di Provenza a Milano nella primavera del 1264 e il Cutica, recatosi presso Carlo all'inizio del 1265, sarebbe dunque intervenuto solo sul finire delle trattative; ma altre fonti, come ad esempio Ex Primati chronicis et Guillelmi gestis Ludovici IX (in Mon. Germ. Hist., Scriptores, XXVI,Hannoverae 1882, pp. 645 s.) inducono a ritenere che la missione di Filippo II di Monfort abbia avuto carattere esclusivamente militare e fosse in particolare diretta contro Oberto Pelavicino. Certa è comunque la presenza di Accursio Cutica, a quel tempo vicario del D. a Como, come procuratore di questo e dei suoi cugini Napoleone, detto Napo, e Francesco, alla stesura dell'atto solenne che, redatto ad Aix-en-Provence il 23 genn. 1265, sanciva l'alleanza tra l'Angiò e il signore di Milano. Carlo aveva bisogno dell'appoggio torriano per far transitare in Lombardia le proprie truppe dirette verso il Sud ed in cambio prometteva all'alleato di operare per il mantenimento dello status quo e di intervenire in aiuto suo e dei suoi per difenderli da qualunque nemico, si fosse trattato anche del Visconti.

Contemporaneamente, al fine di sottrarre al Pelavicino altri possibili alleati e di indebolire la sua sfera di influenza, il D. volse la propria azione diplomatica anche in altre direzioni: verso Ludovico di San Bonifacio, conte nominale di Verona (in quanto la città si trovava ormai sotto il dominio di Mastino Della Scala), verso Obizzo d'Este e le città di Mantova, Ferrara e verso i Bresciani, ormai insofferenti del pesante controllo del marchese. Con tutti costoro giunse a stabilire accordi che furono stilati all'inizio di febbraio del 1265. In essi non ci si impegnava solamente ad un'azione difensiva, ma si prevedeva anche un eventuale attacco collettivo e i Della Torre si garantivano il massimo dei vantaggi in caso di vittoria, tra cui l'appoggio incondizionato degli alleati per il riconoscimento di Raimondo, figlio di Pagano e cugino del D., quale legato pontificio in Lombardia.

Il D., però, non poté vedere i risultati della propria attività diplomatica: morì improvvisamente il 24 dic. 1265 e fu sepolto a Chiaravalle, di fianco al padre Iacopo e al fratello Martino.

Sembra che il D. si fosse sposato due volte, dapprima con un'esponente della famiglia dei da Niguarda e poi con una della famiglia Birago. Ebbe due figli: Agnese (probabilmente dalla prima moglie), che sposò Guglielmo da Pusterla, e Salvino (forse dalla seconda) che, rimasto orfano in tenera età, fu personaggio di scarso rilievo nella storia della famiglia.

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