FILIPPO detto l'Arabo, imperatore romano

Enciclopedia Italiana (1932)

FILIPPO (M. Iulius Philippus) detto l'Arabo, imperatore romano

Gastone M. Bersanetti

Nacque intorno al 204 nella Traconitide, forse là dove fu da lui fondata la colonia di Filippopoli (l'odierna Shuhbah). Il padre, Giulio Marino, era uno sceicco arabo. La sua famiglia aveva ricevuto la cittadinanza romana sotto un imperatore della famiglia Giulia. Sulle prime vicende della vita di F. sappiamo solo, di sicuro, che sposò Marcia Otacilia Severa e ne ebbe, nel 237 o 238, un figlio, M. Giulio Severo Filippo. Durante la guerra persiana di Gordiano III troviamo F. accanto a Timesiteo, al quale successe nella carica di prefetto del pretorio (243). Nel febbraio o marzo del 244, eccitati i soldati contro l'imperatore, fece uccidere Gordiano III durante la marcia verso Ctesifonte, e conquistò così il potere supremo. Scrisse al Senato che Gordiano era morto di malattia e ne onorò la memoria. Ottenuto il riconoscimento del Senato, senza tener conto dell'interesse dello stato, si affrettò a concludere con Sapore I una pace che riuscì contraria alle legittime speranze dell'Impero: la Mesopotamia fu conservata, ma la dipendenza del re dell'Armenia Maggiore divenne puramente nominale. Lasciato in Oriente il fratello Prisco, come prefetto della Mesopotamia, F. partì alla volta di Roma. Si diede immediatamente a vincere l'ostilità di cui si trovò circondato e riuscì ben presto a guadagnarsi il favore del Senato. Fino al 247 l'Impero godette sotto di lui di una calma completa all'interno. Sulla frontiera del Danubio però la pressione barbarica crebbe minacciosamente e nel 245 i Carpi violarono il confine. Rivelatosi impari al compito Severiano, a cui F. aveva affidato il comando sulle provincie di Mesia e Macedonia, l'imperatore si recò personalmente sul teatro della guerra (fine, probabilmente, del 245). Nel 246 F. dovette, pare, combattere con successo contro stirpi germaniche, prendendo perciò il titolo di Germanicus maximus, e nel 247 sconfisse in battaglia campale i Carpi, costringendoli alla pace. Fregiatosi del titolo di Carpicus maximus, ritornò a Roma a celebrarvi il trionfo. Il 247 segna l'apogeo dell'impero di Filippo. Subito dopo gli avvenimenti presero una brutta piega. La situazione in alcune provincie era già divenuta minacciosa, quando, cadendo il millenario della fondazione di Roma (21 aprile del 248), F. volle celebrarlo con grande solennità. Le legioni del Danubio proclamavano imperatore Tiberio Claudio Marino Pacaziano, fornendo occasione ai Goti, rafforzati dai Carpi e da altre stirpi barbariche, d'irrompere nella Mesia inferiore. In Oriente il fratello di F., che governava quella parte dell'Impero, provocava una rivolta fra i soldati, i quali acclamavano augusto, forse in Cappadocia, un certo Iotapiano; contemporaneamente in Siria si faceva avanti un terzo usurpatore, Giulio Aurelio Sulpicio Uranio Antonino. F. manifestò dapprima il desiderio di abdicare, poi si decise a inviare in Mesia Decio, il futuro imperatore. Questi costrinse alla ritirata i Goti e rimise l'ordine fra le truppe, ma, proclamato imperatore dai soldati, fu costretto ad accettare la carica non desiderata (248). Inutilmente egli scrisse a F. di non temere, perché avrebbe deposto, appena gli fosse possibile, le insegne imperiali. L'imperatore non gli credette, e, raccolto un grosso esercito, nel 249 marciò in persona contro Decio: presso Verona F. fu sconfitto, e cadde, a quanto sembra, sul campo di battaglia (fine di settembre o principio di ottobre). Alla notizia il figlio di F. fu ucciso a Roma dai pretoriani.

Grandi cure F. dedicò alla rete stradale dell'Impero; energicamente combatté il brigantaggio, fu generoso verso la popolazione della capitale e non trascurò le provincie. Occupa un posto principale fra le misure di F. la creazione di nuove colonie, uno degli ultimi tentativi di romanizzazione secondo il sistema classico. Il governo di F. si rivela ispirato a miti principî: lo prova l'amnistia generale concessa ai deportati ed esiliati come pure il suo atteggiamento verso il cristianesimo, così pieno di benevolenza che una tradizione, non però degna di fede, fece di lui il primo imperatore cristiano.

Se F., facendo divinizzare il padre, prendendo come collega nell'Impero il giovanissimo figlio, affidando alte cariche ai suoi parenti, seguì una politica di famiglia e mirò a fondare una dinastia, sta di fatto d'altra parte, che egli serbò sempre un atteggiamento deferente verso il Senato, col quale volle procedere d'accordo, e tentò di reagire al prevalere dell'elemento militare, appoggiandosi sugli elementi pacifici della popolazione. Il suo tentativo può considerarsi fallito; in gran parte inefficace riuscì anche l'opera svolta per combattere gli altri mali che minavano l'esistenza dell'Impero.

Bibl.: E. Stein, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., X, coll. 755-770 (con la bibl. prec.); M. Rostovtzeff, The social and Econ. Hist. of the Roman Empire, Oxford 1926, cap. X e XI, passim; A. Manaresi, L'Imp. Rom. e il Cristian., Torino 1914, pp. 317-320; W. Kibitschek, in Sitzb. d. Wien. Akad. d. Wiss., CLXXVII (1916), pp. 1-9, 40-41, 55-57; E. Groag, in Wiener Studien, XL (1918), pp. 29-41; A. Alföldi, in Egyetemes Philologiai Közlöny, LIX (1930), p. 1 seg.; J. Vogt, Die alexandr. Münzen, I, Stoccarda 1924, pp. 195-198; F. S. Salisbury e H. Mattingly, in The Journal of Roman Studies, XIV (1924), pp. 1-4.

TAG

Tiberio claudio marino pacaziano

Prefetto del pretorio

Armenia maggiore

Mesia inferiore

Cristianesimo