GALLI, Filippo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 51 (1998)

GALLI, Filippo (Filenio Gallo)

Elisabettta Putini

Nacque a Monticiano, un piccolo borgo in provincia di Siena, in data non precisata nella seconda metà del sec. XV. Si può forse ipotizzare che in giovinezza, e forse prima di entrare nell'Ordine agostiniano, abbia soggiornato per qualche tempo a Napoli e abbia avuto contatti con i poeti della corte aragonese. Le uniche notizie biografiche certe su di lui sono, comunque, collegate alla sua appartenenza all'Ordine degli eremitani di S. Agostino: pur non essendovi notizie precise riguardanti la data del suo ingresso nell'Ordine, alcuni documenti relativi alla sua carriera religiosa possono segnare punti di riferimento cronologico. Il primo è datato 7 maggio 1485 e si riferisce alla sua nomina a "cursore" nel convento di Siena; il secondo riguarda la sua assegnazione, l'anno successivo, ancora come cursore, allo Studio agostiniano di Padova; il terzo la sua promozione nel 1489 a "lettore", ma questa volta nel convento di Venezia, dove risulta "magister studentium".

Secondo quanto avveniva in quel periodo, il corso di studi teologici passava attraverso varie tappe iniziali: studens, cursor, lector; quindi prevedeva alcuni anni di preparazione per ottenere il baccellierato, una sorta di idoneità a proseguire gli studi per il conseguimento del magistero. Il baccellierato prevedeva, a sua volta, un periodo di tirocinio prima dell'ammissione all'esame finale che conferiva il titolo di "baccalario formato" e apriva la strada al conseguimento del grado finale di magister.

Il G. percorse certamente queste ultime tappe a Padova, tra il 1494 e il 1497. Così si può desumere da altri documenti che lo riguardano: il primo, del 27 maggio 1494, potrebbe riferirsi alla data d'inizio del corso; il secondo, del 6 luglio 1496, indica l'autorizzazione a sostenere l'esame finale alla presenza di una commissione formata dai maestri "Secundo de Venetiis" e "Alexandro de Sancto Genesio" (quest'ultimo allora reggente dello Studio agostiniano di Padova); il terzo, del 19 maggio 1497, ratifica la promozione del G. al grado di "baccalario formato".

Fra quest'ultimo titolo e il conseguimento del magistero non vi erano termini temporali fissi, né abbiamo documenti che attestino quando il G. fu dichiarato magister; ma sappiamo con certezza che egli era già "reverendus magister" nel 1501 e ricopriva anche una carica onorifica prestigiosa, quella di "Socius reverendi patris provincialis".

Appena due anni dopo, il 26 nov. 1503, il G. morì "in Siena nel convento di Monte San Savino, detto di S. Agostino", come annotò qualche anno dopo il nipote giurista, Jacomo di Matteo Pelozzi da Monticiano, che trascrisse le sue rime nel ms. Parmense 699 della Biblioteca Palatina di Parma, c. 3r (cit. da M.A. Grignani, Rime di Filenio Gallo, Firenze 1976, p. 10).

Mentre le notizie biografiche in nostro possesso sono prevalentemente inerenti alla carriera religiosa del G. (peraltro contrastata da colleghi e superiori), la sua produzione poetica in volgare, essenzialmente di natura bucolico-amorosa, ci può svelare l'aspetto artistico e mondano di un autore conosciuto in vari ambienti culturali con lo pseudonimo di Filenio Gallo. Tale produzione fu a lungo dimenticata dagli studiosi fino a quando W. Roscoe, nei primi anni dell'Ottocento, esaminando un codice (ora disperso) con alcune sue rime, richiamò l'attenzione su di lui. Successivamente E. Percopo lo pose in rapporti letterari e di amicizia con un altro scrittore suo contemporaneo, Pietro Iacopo De Gennaro, napoletano e imitatore di Iacopo Sannazaro, e ne analizzò la produzione poetica, in particolare l'egloga A Saphira, sulla base di un particolare triangolo letterario, concludendo che, come il De Gennaro con la sua Pastorale rappresenta uno dei primi imitatori dell'Arcadia, così anche il G. sembra ricalcare, soprattutto nel prologo della Saphira, la prosa sannazariana; e aggiunse anzi che quel prologo ne è proprio "servilissima copia". Confrontando i due testi, infatti, si notano vere parafrasi, strettissime analogie, identiche immagini.

Ma gli studi condotti da M. Corti e dal Grignani smentiscono senz'altro l'ipotesi di Percopo e anzi invertono, per motivi cronologici, il rapporto tra il G. e il Sannazaro, affermando che il secondo imita il primo e non viceversa. Questa rivelazione, ampiamente documentata dalle due studiose, pone il G. su un piano letterario molto diverso da quello di semplice epigono, rilevandone l'importanza culturale per l'influsso esercitato sul Sannazaro. Sappiamo d'altra parte con certezza che un vero e proprio intreccio di fonti è alla base dell'Arcadia e fra queste senz'altro molto influenti furono anche le egloghe dei bucolici senesi.

Il recente studio sul G. del Grignani (che fornisce anche l'elenco dei manoscritti), dà a tutte le sue opere una sistemazione organica, evidenziando le testimonianze manoscritte, analizzando le particolarità linguistiche e, dove possibile, le datazioni. Sulla base di tale lavoro, emerge la figura di uno scrittore di poesie di contenuto prevalentemente amoroso, con caratteristiche ora di romanzo-cronaca, ora di rappresentazione. La produzione lirica del G. comprende, secondo la sistemazione della Grignani, due raccolte principali che sembrano risalire entrambe al periodo veneto del Galli. La prima, dedicata a Lilia, veneziana, si compone di 129 poesie (tra sonetti, barzellette, ternari e strambotti) e si collega all'egloga omonima, formando un vero e proprio canzoniere amoroso. La donna amata è interlocutrice nell'egloga-dialogo in veste di pastorella capricciosa che si concede e poi si nega, conducendo il personaggio-poeta Filenio al suicidio e salvandolo poi in extremis. L'andamento di questo componimento bucolico è quasi quello dell'egloga rappresentativa in cui il dialogo lascia intravedere l'azione. Così, sembrò logico a Giosue Carducci, ingannato dall'anno di stampa dell'egloga (1528), collocarla in epoca più tarda, come la prima di una serie di commedie pastorali.

Lilia è nuovamente personaggio centrale nelle rime, non pastorella ma madonna, affiancata da un "coro" di comparse. Le amiche, gli amici, i luoghi, gli oggetti, i fatti diventano parte di una cronaca reale che emerge dal vissuto e dal privato del poeta, sposando le consuetudini letterarie senesi, tipicamente realistiche, alla spregiudicata e vivace società veneziana dell'epoca.

La seconda raccolta, dedicata a Saphira, si compone dell'egloga omonima e di 265 componimenti (tra sonetti, sestine, strambotti con una canzone, una ballata e una barzelletta).

L'egloga, d'intento allegorico e morale, composta prima del 1484, è preceduta dal famoso prologo che fu fonte d'ispirazione per il Sannazaro. Il prologo, che dedica l'opera a uno sconosciuto "Signor mio honorandissimo", presenta al lettore l'ambiente selvaggio e incontaminato che fa da sfondo al dialogo tra il pastore Filenio e la ninfa Saphira, alla presenza del cane Grifagno, silenzioso testimone.

A Saphira, simbolo della virtù virginale apparsa in un'aura di splendore sul monte Gianicolo, Filenio confida i suoi affanni amorosi per la bella e crudele Lucida, che, dopo averlo illuso, lo tradisce e lo fa soffrire, al punto di privarlo di ogni linfa vitale e di fargli desiderare la morte. Echi petrarcheschi ma anche cavalcantiani (cfr. G. Cavalcanti in "Tu m'hai sì piena di dolor la mente") sono presenti in questa accorata confessione del pastore, che descrive l'amata con aggettivi spietati e chiede aiuto. E Saphira raccoglie composta il messaggio e dispensa i suoi saggi consigli: solo fuggendo amore e tenendo a freno le vane passioni terrene, l'uomo può tornare libero e felice.

La mistica Saphira, abbandonato il suo "vigor virile", si trasforma in donna nelle numerosissime rime amorose a lei dedicate dal poeta, che completano la seconda raccolta; ma misteriosa rimane la sua vera identità, anche se scopriamo dai versi che fu bionda, veneziana e di nobile famiglia e che egli la incontrò in più luoghi, dentro e fuori Venezia. Come nei componimenti per Lilia, anche in quelli dedicati a Saphira lo schema di riferimento petrarchesco, fortemente presente in alcune rime ("Sia maledetto el tempo e la stagione/ e 'l punto e l'ora e 'l giorno e 'l mese e l'anno"), viene a volte evaso dalla inclinazione narrativo-diaristica fileniana e dai riferimenti a luoghi e personaggi della cronaca e del vissuto.

Della restante produzione poetica del G. pochi sono i componimenti databili, come nota la Grignani. Fra le rime d'occasione, quella per il matrimonio Mocenigo - Pesaro è forse riferibile al 1492. Il sonetto che esalta Venezia e allude a Carlo VIII è probabilmente del 1495. Sono datati dallo stesso poeta: la visione dedicata al frate predicatore Niccolò da Monticiano, inviata da Venezia nel 1493; e il capitolo in onore di Caterina Cornaro composto nel 1494.

Se il G. ebbe qualche ostacolo alla sua carriera religiosa (come risulta da alcune rime in cui egli parla delle invidie di una "lingua malvagia e di Pluton sorella"), non c'è proprio da meravigliarsene: per superiori e confratelli egli fu certo un personaggio scomodo, difficile miscuglio di religiosità e sensualità.

Fonti e Bibl.: Roma, Arch. gen. degli Agostiniani, Regesta Ord. erem. S. Augustini, VIII, 7 maggio 1485, c. 221v; 23 sett. 1490, c. 136r; 6 luglio 1496, c. n.n.; Arch. di Stato di Firenze, Conventi soppressi, 241, vol. 71, 19 maggio 1486, c. 30r; 27 giugno 1489, c. 34rv; 27 maggio 1494, c. 44rv; 19 maggio 1497, c. 55rv; 2 giugno 1501, c. 64v; L. Torelli, Secoli agostiniani, VII, Bologna 1682, s.v.; W. Roscoe, Vita e pontificato di Leone X, I, Milano 1816, p. 121; E. Mazzi, La Congrega dei Rozzi di Siena del secolo XVI, Siena 1882, I, pp. 65 s.; II, p. 18; E. Percopo, La prima imitazione dell'"Arcadia", Napoli 1894, pp. 161-204; G. Carducci, Edizione nazionale delle opere, XIV, Sull'"Aminta" del Tasso. Saggi tre, p. 185; L. Frati, Un poemetto in lode di Caterina Cornaro, in Nuovo Archivio veneto, XIX (1900), pp. 368-372; G. Brotto - G. Zonta, La facoltà teologica dell'Università di Padova, Padova 1922, pp. 35 s.; M. Corti, Le tre redazioni della "Pastorale" di P.I. De Jennaro con un excursus sulle tre redazioni dell'"Arcadia", in Giornale storico della letteratura italiana, CXXXI (1954), pp. 305-351 passim; C. Piana, Ricerche su le Università di Bologna e di Parma nel secolo XV, Firenze 1963, pp. 5, 184, 442; M. Corti, Metodi e fantasmi, Milano 1969, pp. 327-367; F. Glénisson Delanée, Les églogues de Filenio Gallo, un modèle pre-rozziano?, in Bull. senese di storia patria, C (1993), pp. 107-147; A. Ciompi, Filenio Gallo, in Monticiano e il suo territorio, Siena 1997, pp. 311-314.

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