GUAZZALOTTI, Filippo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 60 (2003)

GUAZZALOTTI, Filippo

Giorgio Tamba

Nacque a Prato verso il 1330 da Chiolo di Filippo. Ignoto è il nome della madre.

Molti membri del suo vasto gruppo familiare, tra cui i suoi diretti ascendenti, erano stati classificati come magnati, assoggettati quindi agli ordinamenti antimagnatizi in vigore; ciò nonostante, la loro adesione alla fazione guelfa nera e i saldi rapporti con l'oligarchia cittadina ne facevano una delle più compatte e influenti consorterie di Prato.

I numerosi incarichi di governo assunti nel corso del secolo XIV da esponenti di tale gruppo familiare nei Comuni retti dai guelfi neri ne ampliarono rapporti e interessi facilitandone la ulteriore affermazione. A essa recarono un deciso contributo i diretti ascendenti del G.: il nonno Filippo fu, con largo seguito di collaboratori pratesi, capitano del Popolo a Bologna e Perugia e podestà a San Gimignano e Gubbio; il padre Chiolo si distinse nel 1320 come capitano delle milizie di Prato e nel febbraio del 1337 fu inviato dai Fiorentini a presidiare il territorio di Arezzo. Nel 1341 i contrasti interni degenerarono in Prato in una vera guerra civile, dalla quale uscì vittoriosa la fazione che faceva capo ai Guazzalotti e la famiglia, grazie alla interessata condiscendenza di Firenze, dette avvio a una larvata ma efficace forma di dominio signorile sulla città. Anche in questa circostanza un importante ruolo sostennero gli ascendenti del G., segnalatisi quali elementi di fiducia del governo di Firenze. Il mutare degli equilibri interni della famiglia con il prevalere di figure ostili alla protezione fiorentina segnò nel 1350 la caduta di questa signoria familiare e anche dell'autonomia di Prato. Nel marzo del 1352 l'esecuzione in Firenze di sette esponenti della famiglia Guazzalotti chiarì drammaticamente la inattuabilità di qualunque disegno volto a restaurare l'autonomia di Prato o un dominio diverso da quello di Firenze.

In questa circostanza risalta la particolare posizione assunta dal G. rispetto a quella di tanti suoi congiunti. Nel luglio del 1352 in una supplica indirizzata ai Priori di Firenze il G. dichiarava di rifiutare ogni legame con la sua famiglia, pronto a mutare abitazione, insegne e persino il nome, e chiedeva di essere considerato un vero guelfo e un sincero sostenitore del Comune fiorentino così com'erano stati tutti i suoi ascendenti. I Consigli del Popolo e del Comune accolsero con successive delibere la richiesta del G. e, senza pretendere la rinuncia al nome e alle insegne familiari, gli imposero di abbandonare la residenza in Prato per una in Firenze, ma ne mantennero in vigore l'inclusione nelle liste dei magnati del contado. Di conseguenza, nell'estimo fiorentino del 1356 il G. figurava tra i contribuenti di Porta Gualdimare del Comune di Prato, per l'importo, alto ma non cospicuo, di 10 lire e 17 soldi.

Scarsissime sono peraltro le notizie concernenti questo periodo della sua vita. Il Guasti (1880, p. 89) riporta al 1352, ma senza precisarne la fonte, il suo matrimonio con Isabella di Salvestro de' Medici. Dal matrimonio nacquero almeno tre figli, Ugo e Nicolò, comandanti di milizie, e Antonia, sposa del capitano di ventura di Prato Bartolomeo Gherardacci detto Boccanera. Una tarda cronaca riporta che il G. ricevette le insegne di cavaliere nel 1362, quando le armate di Firenze nelle quali egli militava si accamparono vittoriose alle porte di Pisa (Alberi e altre memorie…, c. 16).

Ricca e varia è invece la documentazione a partire dal 1370, quando il G. guidò un contingente di 400 lance inviate dal marchese Niccolò (II) d'Este, in aiuto di Firenze, impegnata nella guerra con Bernabò Visconti. Si concentrano in questo episodio tre elementi che caratterizzarono l'intera vicenda del G.: la pratica delle armi, la pronta disponibilità a servire la causa di Firenze, il lungo impegno a favore della casa d'Este e in particolare di Niccolò (II).

Il contesto in cui s'inquadra la presenza del G. in Toscana nel 1370 rivela che Niccolò (II) riponeva ampia fiducia nelle qualità del G. e non solo come capitano di milizie. In un diploma del 16 febbr. 1370 l'imperatore Carlo IV di Lussemburgo aveva manifestato la volontà di cedere ai marchesi d'Este, per 50.000 fiorini, il dominio di Lucca; ma, appena un mese dopo, gli Anziani di Lucca vennero investiti del vicariato imperiale sulla città. Il 2 apr. 1370 Niccolò (II) rinnovò la lega con Firenze, i Gonzaga e il papa, in opposizione a Bernabò Visconti e, nonostante la presenza di milizie viscontee in Emilia, inviò il G. in Toscana al comando di un forte contingente di truppe. Ciò lascia intuire che il marchese d'Este non aveva rinunciato alla speranza di insignorirsi di Lucca. Ma la scelta di Bernabò Visconti di fare dell'Emilia il teatro principale dello scontro indusse gli alleati di Firenze, tra cui il G., ad abbandonare la Toscana per difendere i territori degli Estensi e dei Gonzaga.

Non sembra tuttavia che il G. abbia avuto parte diretta nelle operazioni militari dell'autunno del 1370, concluse con la pace del 12 novembre. Era infatti allora podestà di Ferrara, preposto quindi all'amministrazione della giustizia civile e penale nella prima città del dominio estense e nell'intero suo contado.

Nella primavera del 1371 si riaccese il conflitto, conseguenza dello scontro diretto tra Bernabò Visconti e Niccolò (II) per il dominio di Reggio. Le operazioni militari si trascinarono a lungo, grazie alla tattica attuata dai comandanti delle milizie viscontee, Giovanni Acuto (John Hawkwood) e Ambrogio Visconti, consapevoli che una prolungata pressione nei confronti del territorio estense ne avrebbe compromesso le capacità di difesa. In questo frangente Niccolò (II) chiamò il G. ad alti incarichi militari.

Nel luglio 1371 fu uno dei due comandanti preposti alle milizie assoldate per difendere il territorio di Modena e nel marzo successivo fu scelto come capitano generale dell'esercito estense nel contado modenese. Al G. il 20 apr. 1372 i capitani viscontei mandarono il guanto di sfida. Il G. accettò, ma lo scontro che ne seguì non gli fu favorevole. Il 2 giugno l'esercito visconteo sconfisse di nuovo a Rubiera le milizie estensi e in questa occasione il G. cadde prigioniero. Nel maggio del 1373 il G. era nuovamente al comando di milizie estensi, inviate contro Giovanni e Cagnino da Savignano che, sobillati da Bernabò Visconti, si erano ribellati a Niccolò (II). Nell'autunno del 1374 ricopriva nel territorio modenese un incarico non ben specificato, ma di alto rilievo. Nel giugno 1375 il Gonzaga, d'intesa e per autorizzazione di Niccolò (II), incaricò il G. di trattare con Giovanni Acuto e gli altri capi delle milizie già al soldo di Bernabò Visconti, in marcia verso la Toscana, per evitare il saccheggio del territorio mantovano. L'offerta che il G. recava, 4000 ducati portati poi a 6000, era troppo distante dalle pretese dei capitani di ventura, ma il G. ottenne dall'Acuto almeno l'impegno a non dare alle fiamme i campi. Il 16 giugno, chiuse le trattative con questo solo successo, egli fece ritorno a Ferrara.

Nel 1376 il G. era di nuovo a Modena, capitano generale della città per conto di Niccolò (II) che il 10 luglio nel castello di Modena gli concesse in feudo alcune piccole tenute tra Occhiobello e Gurzone, nel Polesine di Rovigo. Gli Estensi ricorrevano all'investitura feudale per compensare uomini d'arme, diplomatici e funzionari amministrativi e per rinsaldarne i vincoli di collaborazione; il fatto che anche il G. ne abbia fruito testimonia la continuità e la solidità del rapporto che lo legava alla casa d'Este. In qualità di capitano generale di Modena il G. ebbe ripetute occasioni di comunicare con Ludovico Gonzaga per risolvere questioni tra abitanti dei due territori, ma anche, specie negli anni 1379-80, per informarlo, d'accordo con Niccolò (II), sia dei movimenti delle compagnie di ventura tra Romagna e Lombardia sia delle iniziative che Firenze, Bologna e il papa ponevano in essere per coinvolgere gli Estensi e i Gonzaga in una nuova lega antiviscontea. Gli ultimi dispacci del G. da Modena dell'agosto del 1380 rivelano che egli faceva seguire costantemente da propri informatori i movimenti delle compagnie di Ungari, al soldo di Carlo d'Angiò Durazzo allora in Romagna.

Nel 1381 il G. era in Romagna come commissario estense a Lugo, che l'8 apr. 1376 l'arcivescovo di Ravenna aveva ceduto agli Estensi per un censo annuo di 500 fiorini. Sempre nel 1381 Niccolò (II) acquistò per 60.000 ducati il dominio di Bagnacavallo e Cotignola da Giovanni Acuto, che lo aveva ricevuto dal papa in compenso del servizio prestatogli. Il 22 agosto, muovendo da Lugo al comando di un contingente di milizie, il G. entrò in Bagnacavallo prendendone possesso a nome del marchese d'Este. Il giorno seguente prese possesso di Cotignola e di tre fortezze nel territorio circostante.

Questi episodi, concordemente registrati da tutte le cronache estensi, mostrano che il G., dagli incarichi preminentemente militari dei primi anni Settanta, era assurto a impegni di rilievo politico, in diretta rappresentanza di Niccolò (II). Tale fu anche l'incarico assolto tra maggio e giugno del 1382 quando, a seguito dell'accordo che aveva posto fine al conflitto tra Venezia e i Carraresi, insieme con Cinello da Savignano e Tommaso da Tortona, giudice dei Savi di Ferrara, fu deputato dal marchese d'Este a fissare i confini tra i rispettivi domini.

A partire dal 1386 i documenti attribuiscono al G. la qualifica di consiliarius di Niccolò (II): termine che se non individuava ancora il membro di un effettivo Consiglio della signoria estense, istituito solo nel 1393 per la reggenza di Niccolò (III), designava comunque uno stretto collaboratore politico del marchese d'Este. Nell'agosto del 1388 il G. era di nuovo a Modena, luogotenente di Niccolò (II) insieme con Aldrovandino Ariosti, con compiti di controllo e coordinamento delle milizie assoldate dagli alleati Francesco Gonzaga e il Comune di Bologna, concentrate al momento nel territorio modenese.

Il 26 marzo 1388 moriva Niccolò (II) e il fratello Alberto impresse una decisa svolta alla politica fino ad allora seguita dalla signoria estense, siglando a Pavia il 25 aprile un'intesa con Gian Galeazzo Visconti. Durante la sua ventennale collaborazione con gli Estensi il G. aveva costantemente mantenuto stretti legami con Firenze, grazie anche all'alleanza che aveva unito i due Stati. Quando tale alleanza entrò in crisi, questi legami manifestarono tutta la loro forza. Già il 13 maggio 1388 i Dieci di balia di Firenze, inviando Filippo Adimari e Vanni Castellani a Bologna, Ferrara e Padova, raccomandavano loro che, giunti a Ferrara, si limitassero a prendere contatto con il G. e a recarsi a colloquio con il marchese Alberto solo se il G. stesso lo avesse consigliato.

La posizione del G. a Ferrara, però, nonostante un documento del 3 apr. 1388 lo qualifichi come consiliarius del nuovo marchese, si faceva ogni giorno più difficile, in particolare dopo che nella congiura contro Alberto d'Este, ordita dal nipote Obizzo e presto sventata, erano trapelati forti indizi di un appoggio dato ai congiurati da Firenze e dai Carraresi. Non è provato che anche il G. vi abbia avuto parte; risulta però che, nel luglio 1388, quando Obizzo, la madre Beatrice da Camino e numerosi loro complici furono giustiziati, il G., abbandonò Ferrara e ritornò a Firenze, dove assunse il comando di un contingente di 20 lance.

Alla fine del luglio 1388 il G. e le sue lance vennero inviati a Montepulciano, oggetto delle opposte mire di Firenze e Siena. Le istruzioni ufficiali dategli in questa circostanza dai Dieci di balia parlavano di una attività di difesa dello Stato e della libertà della cittadina (Arch. di Stato di Firenze, Dieci di balia, Legazioni e commissarie, reg. 1, c. 123), ma le iniziative assunte dal G. contro il territorio di Torrita, soggetta a Siena, e il fatto che l'11 agosto Montepulciano si schierasse decisamente con Firenze rivelano che il compito affidato al G. e da lui condotto a termine era in realtà quello di assicurare a Firenze la totale adesione di Montepulciano. Il G. restò a Montepulciano per tutto il 1388.

Egli fu sostituito prima del marzo 1389, quando da Firenze indirizzava a Pietro Montanari, a Pesaro, una lunga lettera, testimonianza di una loro antica familiarità nella corte estense. La lettera, in un latino più che corretto e non privo di eleganti moduli retorici, rivela nel G. un'ottima preparazione culturale, consona a quegli incarichi, più politici che militari, che avevano caratterizzato in particolare l'ultimo decennio della sua vita (cfr. Medin).

Di questa sua capacità di agire su un piano diverso da quello del capitano di milizie è prova l'attività dispiegata dal G. nei confronti di Francesco Novello da Carrara che, giunto a Firenze nell'aprile del 1389, era stato accolto con palese freddezza dal governo della città, non ancora pronta a un'aperta sfida con Gian Galeazzo Visconti. Il G. fu - con Pazzino Donati e Francesco Allegri - tra i pochi che si adoperarono per modificare l'atteggiamento del governo fiorentino. Le loro iniziative, unite al timore che come già la signoria estense anche quella di Padova potesse mutare campo, indussero Firenze a rinsaldare l'intesa con i Carraresi.

Nel contempo al G. era stato affidato il comando di 200 lance da inviare in aiuto dell'altro fondamentale alleato di Firenze, il Comune di Bologna. Il 15 luglio 1389 il G. ricevette l'ordine di portarsi a Bologna e di mettersi a disposizione del governo cittadino. Anche in questa occasione gli fu peraltro lasciata un'ampia autonomia ed egli seppe giovarsene a favore di Firenze quale effettiva guida nella coalizione con Bologna e Padova, che anche per opera sua si andava allora formando per contrastare le ambizioni di Gian Galeazzo Visconti.

All'inizio del febbraio 1390 il G. era di nuovo a Firenze, che nell'imminenza di una guerra ormai inevitabile provvedeva ad assoldare compagnie di ventura e ad assicurarsi la collaborazione di esperti uomini d'arme. Uno di questi fu il G., postosi dal 1° febbraio agli ordini di Firenze per la durata di sei mesi e con un compenso mensile di 100 fiorini. Contemporaneamente Firenze assoldava anche una compagnia di 15 lance guidata dai figli del G., Nicolò e Ugo, e si assicurava, dal 10 giugno, il servizio della compagnia guidata dal genero del G., Bartolomeo Boccanera, forte di 120 lance.

Il G. venne inviato a sovrintendere alla custodia del castello di Marciano della Chiana, che Firenze aveva da poco acquisito. Era un centro minore, ma di forte importanza strategica perché posto a protezione di Firenze contro le iniziative che muovevano da Siena, alleata del Visconti. All'interno di questo centro fortificato erano peraltro ancora vive le opposizioni al recente dominio di Firenze e il non aver saputo valutarne la rilevanza riuscì fatale al Guazzalotti.

Il 15 giugno 1390 Giantedesco dei Tarlati di Pietramala, feudatari aretini da tempo in lotta con Firenze, al comando di un piccolo contingente fece mostra di assalire il castello. Il G. ne uscì per affrontarlo, ma gli abitanti di Marciano, segretamente accordatisi col Pietramala, assalirono alle spalle le milizie fiorentine che furono presto sopraffatte e il G. cadde prigioniero.

Pochi giorni dopo, il 7 luglio 1390, egli morì a Montepulciano.

Circa la causa della morte esistono due versioni. Nella cronaca pratese di Sandro Marcovaldi essa è detta conseguenza di ferite riportate nello scontro del 15 giugno (Guasti, 1880, p. 90). La Cronaca di Pietro Minerbetti (p. 105) ne attribuisce invece la causa a un veleno propinatogli per istigazione di Gian Galeazzo da Paolo Savelli, di cui il G. era prigioniero. Nonostante le tinte decisamente fosche, questa seconda ipotesi non appare del tutto infondata, considerando che il G. non era per il Visconti solo un comandante di milizie al soldo dell'avversario, ma un uomo ben introdotto nelle corti degli Estensi e dei Gonzaga, allora alleati del Visconti, e un collaboratore di lunga e sperimentata fedeltà alla causa di Firenze. Firenze dette prova di ricambiare con correttezza tale fedeltà: in data 30 sett. 1390 il registro dei Camarlinghi del Comune fiorentino riporta il pagamento al procuratore del G. del salario dovutogli, 26 fiorini, 13 soldi, 4 denari, corrispondenti alla prima settimana del mese di luglio 1390, l'ultima della sua vita.

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