GUIDOTTI, Filippo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 61 (2004)

GUIDOTTI, Filippo

Giorgio Tamba

Nacque a Bologna verso il 1335 da Gerardino di Cino e da Misina di Alberto Bonacatti, primogenito, sembra, di altri cinque fratelli: Alberto, Guidottino, Giovanni, Alemanno e Cino.

Nel 1360 circa sposò Anna di Jacopino di Pietro Angelelli e dalla loro unione nacquero Antonio, Bartolomeo, Francesco, Gabriele, Giacomo, Pietro, Guidotto e Margherita. Gli si attribuiscono anche altri sei figli, alcuni dei quali naturali: Alessandro, Elena, Caterina, Dorotea, Tessa e Giovanni.

Fu mercante e banchiere e le prime testimonianze che lo riguardano, relative al 1363 e al 1366, lo rivelano titolare di forti investimenti di capitale per traffici su lunghe distanze e di rapporti patrimoniali con gli Estensi e la Camera apostolica. Acquisita piena autonomia con la morte del padre nel 1367 e lo scioglimento della comunione ereditaria con i fratelli nel 1370, il G. dette ulteriore impulso alla propria attività di banchiere e iniziò a investire una parte dei guadagni nell'acquisto di terre in alcune località sì da favorire una loro gestione unitaria o almeno integrata.

Scarso interesse dimostrò invece in un primo tempo per la politica e gli incarichi pubblici. Solo nel 1366 fece parte del Collegio degli anziani consoli e anche quando, nel marzo 1367, una rivolta portò alla cacciata del legato e al ripristino dell'autonomia comunale, il G. non assunse posizioni di rilievo, limitando il suo apporto a quello di membro del ripristinato Consiglio generale. Nel luglio 1381 venne creata una nuova magistratura, i Riformatori dello studio, con lo scopo, dichiarato, di migliorare le condizioni dell'antico Studium generale, ma anche con l'intento, neppure troppo celato, di acquisire al governo della città i residui poteri di autonomia che le organizzazioni studentesche (universitates) ancora vantavano. La presenza del G., unico banchiere tra i primi otto riformatori nominati dagli Anziani consoli, costituisce un primo segnale di una sua disponibilità a un impegno personale nella politica e nella amministrazione della città.

Nel novembre 1382 il G. acquistò un vasto edificio e alcune piccole case contigue in "cappella" di S. Damiano per la forte somma di 1100 lire. Fu il nucleo centrale di quello che divenne il palazzo di famiglia, prestigiosa residenza sua e dei suoi discendenti per secoli. Fra il dicembre 1382 e il marzo 1385 acquistò a Castenaso, con successivi atti, dai figli di Giovanni Pepoli una grande estensione di terre e diverse case e da Bartolomeo Monari altri edifici, diritti e attrezzature per un mulino da ricostruire presso il ponte sul fiume Idice.

La denuncia d'estimo, presentata dal G. nell'autunno 1385, dava del suo patrimonio immobiliare una valutazione di quasi 11.000 lire, collocandolo tra i cittadini più ricchi. Tale patrimonio era il risultato di precise strategie d'investimento che lo avevano portato a formare ampie possessioni in zone particolarmente fertili della pianura, come Budrio, Medicina e Castenaso, e della prima collina, quali Pontecchio, Idice e Oliveto, e ad acquisire edifici destinati ad attività produttive o il diritto di ricostruirli, se distrutti, come il mulino a Castenaso e un altro a Malalbergo, in condizioni simili.

Altrettanto florida appariva la sua situazione familiare. Nell'aprile 1387 il palazzo in cappella di S. Damiano accoglieva, oltre al G. e alla moglie Anna, i loro figli, la nuora Francesca, moglie del primogenito Antonio, quattro nipoti, due coadiutori in affari, due domestici e altrettante schiave. Alcuni dei figli, in particolare Antonio e Bartolomeo, lo affiancavano nelle imprese bancarie e mercantili e nella gestione delle proprietà immobiliari. Altri figli, ossia Gabriele e Giacomo, erano stati invece indirizzati alla carriera ecclesiastica.

Dal 1388 il G. assurse anche a una posizione di primo piano nella vita politica della città, impegnata a contrastare le mire di Gian Galeazzo Visconti entrando a far parte dei Dieci di balia.

L'aspirazione del Visconti al dominio di Bologna si era fatta sempre più evidente e minacciosa anche per l'appoggio che trovava tra diversi cittadini. Il 30 genn. 1388 il Consiglio generale, su proposta degli Anziani consoli, attribuì per nove mesi a un Collegio ristretto, i Dieci di balia, i poteri necessari a salvaguardare la libertà della città, dando loro autorità di stringere alleanze, inviare e ricevere ambascerie, disporre pagamenti sulla Tesoreria del Comune, assoldare e licenziare milizie decidendo compensi, luoghi e tempi del loro impegno. Restavano esclusi i poteri di modificare la struttura del regime, di intromettersi nella giustizia penale e civile e di cedere i diritti di sovranità spettanti al Comune. Lo stesso Consiglio scelse quindi in una lista di venti nomi, proposti dagli Anziani consoli, i dieci componenti la Balia: il dottore di leggi Carlo Zambeccari, i banchieri Jacopo Bianchetti, Francesco Foscherari, Nanne Gozzadini e il G., i mercanti Giovanni Oretti e Zordino Cospi, i notai Ludovico Monterenzoli, Pietro di Enoch Zancari e Tommaso Galisi. La forte presenza tra essi di esponenti di spicco delle attività bancaria e mercantile indica chiaramente che il regime nato dalla rivolta del 1376 - e che amava definirsi "Signoria del popolo e delle arti" - si connotava ormai in senso oligarchico, sulla esclusiva base del potere economico, e che la difesa dell'autonomia di Bologna veniva a coincidere con la difesa degli interessi di tale oligarchia.

I risultati dell'azione dei Dieci di balia corrisposero evidentemente alle aspettative in essi riposte dato che, alla scadenza, l'incarico fu loro rinnovato per un anno, con la conferma dei poteri già attribuiti. Il rinnovo si ripeté anche negli anni seguenti, fino all'ottobre 1392. Nel quinquennio 1388-92 gli effettivi poteri di governo vennero dunque a essere esercitati da una esigua Balia, formata dalle stesse persone. Fu un'esperienza nuova per le istituzioni cittadine e positiva nei risultati. Le aspirazioni di Gian Galeazzo Visconti furono bloccate, colpendo duramente la fazione cittadina filoviscontea e affrontando con decisione e successo gli scontri con le milizie avversarie. L'elezione di papa Bonifacio IX nel novembre 1389 facilitò la ripresa delle trattative con la S. Sede e nel 1392 si ebbe la concessione, a lungo perseguita, del vicariato apostolico sulla città agli Anziani consoli, il Collegio al vertice della struttura istituzionale.

Il quinquennio dei Dieci di balia vide anche l'avvio di un'impresa destinata a segnare profondamente il volto e la stessa vicenda della città. Alla fine del 1388 fu deliberata la costruzione di una grande chiesa da dedicare a S. Petronio, vescovo cittadino: una decisione che sottolineava a un tempo la rivendicazione dell'autonomia politica nei confronti di Roma e la fedeltà all'ortodossia religiosa. Il 7 giugno 1390, mentre le truppe del Visconti e dei suoi alleati portavano la guerra nel contado, venne posta la prima pietra e il 4 ott. 1392 fu celebrata la messa nella prima cappella ultimata della nuova chiesa.

Nel panorama di queste iniziative pochissime notizie individuano l'apporto dei singoli membri del Collegio. Di una particolare attività del G. resta ricordo in una sola circostanza: un'ampia delega concessagli dai colleghi il 16 luglio 1392 per stringere, entro il successivo mese di agosto, alleanze a favore di Bologna e alle condizioni che egli avesse giudicato opportune.

Nell'ottobre 1392, alla scadenza dell'ultimo rinnovo, i Dieci di balia furono sostituiti da un altro organo straordinario, gli Otto di pace. Un complesso meccanismo ne regolò la composizione sì da rinnovare ogni sei mesi la metà dei componenti. Tuttavia, a rivelare la sostanziale continuità con la precedente esperienza, quattro dei primi Otto di pace furono tratti dai Dieci di balia. E il 15 apr. 1393, quando anche questi quattro furono sostituiti, il Consiglio generale deliberò che i volti dei Dieci di balia venissero effigiati in marmo nella cappella di S. Giorgio della chiesa di S. Petronio. Successivi avvenimenti sconsigliarono di dare piena attuazione alla delibera, ma il suo significato di una piena approvazione dell'operato di questa Balia, fino all'ottobre del 1392, è del tutto palese.

Il G. non fu chiamato a far parte del primo Collegio degli otto di pace, ma il suo allontanamento del governo della città fu molto breve. Il 26 dic. 1392 agli Otto di pace subentrò un nuovo Collegio, i Sedici riformatori dello Stato di libertà che, oltre ai poteri delle precedenti Balie, avevano anche quello di provvedere a riforme istituzionali per salvaguardare il regime, cioè lo Stato popolare o di libertà. Tra i Sedici riformatori ben cinque, e tra essi il G., avevano fatto parte dei Dieci di balia. Non sono chiari i meccanismi che dettarono le successive composizioni di questo nuovo Collegio, soggetto anche alle tensioni provocate dalle rivalità tra i suoi membri più influenti. Il G. ne fece comunque parte anche nel 1395. L'anno seguente ricoprì l'ufficio di gonfaloniere di Giustizia, ossia di presidente del Collegio degli anziani consoli. Fu questo l'ultimo dei suoi incarichi pubblici.

L'impegno personale che dal 1388 il G. aveva assunto nel governo della città si era accompagnato a un mutato indirizzo della sua attività imprenditoriale. I documenti segnalano una sua marcata disaffezione per gli investimenti immobiliari e un accentuato impegno nell'attività bancaria. Particolarmente significativa in tale contesto fu la vicenda che coinvolse accanto al G. il figlio Giacomo.

Giacomo, nato nel 1369 e avviato alla carriera ecclesiastica, aveva ottenuto nel 1390 gli ordini minori. Il 10 sett. 1393 Bonifacio IX lo nominò referendario apostolico e nell'aprile 1395 lo creò nunzio apostolico presso il re di Polonia e collettore dei proventi della Camera apostolica dal Regno polacco. Nella scelta il papa tenne certo conto del fatto che in Polonia erano da tempo attivi e influenti due fratelli di Giacomo, Francesco e Pietro; ma la nomina di un giovane chierico - Giacomo aveva appena 25 anni e non era ancora stato ordinato sacerdote - a rappresentante del papa non risultò gradita alla corte polacca. Ladislao Jagellone (che, sposando Edvige d'Angiò, figlia di Luigi il Grande, aveva unificato gli Stati di Polonia e Lituania e avviato la conversione del popolo di quest'ultima alla religione cristiana e all'obbedienza cattolica) non mancò di manifestare il suo dissenso. Bonifacio IX gli prestò ascolto, sollevando le rimostranze del G. che aveva appena anticipato tramite il banco dei Medici 4000 fiorini alla Camera apostolica, somma che il papa si era impegnato a restituire entro due anni.

Bonifacio IX cercò anzitutto di superare il più evidente motivo del dissenso polacco, ossia la limitata dignità ecclesiastica di Giacomo quale nunzio apostolico. Il trasferimento del vescovo di Imola, Antonio Calvi, alla sede di Todi aveva reso vacante la cattedra della città emiliana e il papa fece trapelare la sua intenzione di insediarvi Giacomo. Il governo di Bologna, sollecitato dal G., si affrettò a manifestare la propria soddisfazione e a dare assicurazione che Giacomo aveva superato i 25 anni d'età e aveva una solida preparazione culturale e conoscenze giuridiche che lo rendevano atto a uffici di alta responsabilità. Il 22 dic. 1395 Bonifacio IX, facendo proprie tali affermazioni, promosse Giacomo, ancora negli ordini minori, a vescovo di Imola. Contemporaneamente ordinò al governo di Bologna di versare al G. la somma di 2000 fiorini dal censo che gli Anziani consoli dovevano alla Camera apostolica per il vicariato loro concesso sulla città. Autorizzò inoltre Giacomo a trarre dalle somme che avrebbe incassato come collettore dei redditi della Camera dal Regno di Polonia altri 2000 fiorini. Il successivo 9 gennaio Bonifacio IX autorizzò quindi Giacomo a farsi consacrare sacerdote da qualunque vescovo avesse voluto. In Imola si era manifestata nel frattempo una chiara opposizione alla nomina di Giacomo, tanto che nel dicembre 1396 Bonifacio IX si vide costretto a scrivere al clero e ai fedeli invitandoli con fermezza a ricevere Giacomo quale loro vescovo. Se e quando ciò sia avvenuto non è stato tuttavia possibile appurare ed è anzi dubbio che Giacomo abbia mai messo piede nella diocesi assegnatagli. La morte lo colse infatti poco dopo, il 15 ag. 1399, probabilmente a Bologna.

Esito meno favorevole, almeno sotto il profilo strettamente finanziario, ebbe un impegno ancora più rilevante assunto dal G. verso Sigismondo di Lussemburgo, re d'Ungheria.

Il 12 luglio 1397 il figlio del G. Bartolomeo aveva promesso a Sigismondo che avrebbe pagato a Pietro Regla e Caterino Greci 18.000 ducati d'oro, a copertura del debito che il re aveva contratto con loro e per la cui restituzione aveva costituito in garanzia due casse di gioielli depositate da Tommaso Mocenigo, su mandato del re, presso i procuratori di S. Marco a Venezia. Il 12 giugno 1398 Bartolomeo aveva versato al Regla e al Greci una quantità di rame per il valore di 9000 ducati e si era impegnato a dare loro l'altra metà della somma, in danaro, entro il successivo mese di ottobre. L'impegno era stato onorato e il 15 nov. 1398 i due creditori ne rilasciarono piena quietanza a Bartolomeo cedendogli contestualmente i diritti di garanzia sulle casse di gioielli. Il 20 nov. 1398 lo stesso Bartolomeo, tramite il banco di Bonifacio Gozzadini a Venezia, pagava a Tommaso Mocenigo altri 1500 ducati.

Di questa complessa e rilevante operazione, indubbiamente da lui autorizzata, il G. non poté seguire le ulteriori fasi. La morte lo colse infatti a Bologna il 22 nov. 1398, tanto rapida e inaspettata da non consentirgli di redigere il testamento. Soltanto nel 1424 i figli e i nipoti trovarono l'accordo per dividere l'ingente patrimonio da lui accumulato.

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