MARTINELLI, Fioravante

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 71 (2008)

MARTINELLI (De Martini), Fioravante

Stefano Tabacchi

Nacque a Roma nel 1599 da un tal Grato o Claudio De Martini, romano.

Di umili origini, per sostentarsi abbracciò, in data non precisata, la vita sacerdotale, trovando impiego presso alcune nobili famiglie romane. La sua prima opera (Ecclesia S. Laurentii in fonte de Vico Patricio, Roma 1629) è dedicata alla chiesa che faceva da sede alle riunioni della congregazione urbana dei nobili aulici, una sorta di circolo di segretari e cortigiani di importanti personaggi della Roma seicentesca. Non si hanno notizie certe sulla vita del M. fino al 1630, quando entrò al servizio di Orazio Giustiniani, membro dell’importante famiglia genovese e sacerdote della Congregazione dell’Oratorio. I rapporti tra i due divennero sempre più stretti, tanto che, anni dopo, un servitore di Giustiniani ricordò, a proposito del M., che il prelato «gli haveva confidati tutti i fatti suoi perché era lui huomo capace» (cit. in D’Onofrio, p. XIV).

La nomina di Giustiniani a primo custode della Biblioteca apostolica Vaticana (1630) aprì insperate prospettive al M., che nel 1635 o nel 1636 fu assunto come scriptor Hebraicus, il che ha fatto supporre ad alcuni che il M. fosse di origine giudaica. Alla Vaticana il M. redasse un indice dei manoscritti ebraici (Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat., 13195) e già nel 1637 assunse la più prestigiosa funzione di scriptor Latinus, che mantenne almeno fino al 1661, restando in carica anche dopo che Giustiniani lasciò Roma per assumere il vescovato di Montalto (1640) e poi quello di Nocera Umbra (1645). Durante l’assenza del suo patrono, il M. affiancò alla sua attività alla Vaticana quella di agente di Giustiniani e come tale egli si qualificò in alcuni scritti. Il lavoro presso la Vaticana consentì al M. di ottenere una certa tranquillità economica e gli diede la possibilità di formarsi una robusta cultura storico-antiquaria, che lo rese un personaggio di qualche rilievo nella vita culturale romana.

Allo stato attuale delle ricerche, non è facile precisare gli ambiti e i circoli nei quali il M. operò; di sicuro strinse amicizia con diversi artisti, come lo scultore Francesco Mochi. Anche le attività svolte dal M. presso la Vaticana rimangono poco note: pare che abbia collaborato con la stamperia camerale e abbia avuto qualche parte in una nuova edizione delle Vitae et res gestae pontificum Romanorum di A. Chacón (Ciaconius), che è probabilmente da identificarsi con quella uscita a Roma nel 1677.

Il periodo meglio conosciuto della vita del M. corrisponde a quello di più intensa produzione letteraria, tra gli anni Quaranta e Cinquanta del Seicento. Il primo importante studio erudito del M. fu un volumetto sulla chiesa dei Ss. Domenico e Sisto (Imago B. Mariae Virginis quae apud venerandas Ss. Sixti, & Dominici moniales a mille fere annis maximo cultu asservatur ex antiquitatis tenebris eruta, Roma 1635, rist. ibid. 1642), nel quale il M. si segnala per le sue doti polemiche, scontrandosi con le tesi di un erudito contemporaneo, il canonico Francesco Maria Torrigio. Seguì, pochi anni dopo, uno studio sulla chiesa di s. Agata alla Suburra (Diaconia S. Agathae in Subura a Floravante Martinello Romano descripta et illustrata, Roma 1638), nel quale il M. difende l’identificazione della moderna chiesa di S. Agata con l’antica diaconia ariana, trasferita da Gregorio Magno al culto cattolico. L’opera si rivolge al cardinal nipote Francesco Barberini, titolare della chiesa, e dimostra una notevole sicurezza nel maneggiare le fonti che il M. aveva a sua disposizione presso la Biblioteca Vaticana.

Alcuni anni dopo apparve la più nota opera del M., la Roma ricercata nel suo sito, e nella scuola di tutti gli antiquarij, che uscì a Roma nel 1644.

La Roma ricercata, pur attingendo ampiamente agli analoghi lavori di Gaspare Celio e Pompilio Totti, innovò profondamente il panorama della letteratura artistica su Roma e conobbe un duraturo successo editoriale. La novità dell’opera non stava tanto nei contenuti, spesso di seconda o terza mano, né nella qualità grafica, ma piuttosto nella sua struttura. Il M., infatti, decise di rompere con le più voluminose descrizioni dei Mirabilia Urbis e compose un testo molto agile, basato su un itinerario di visita innovativo (in dieci giornate). Il libro ebbe notevole fortuna e fu più volte riedito, a partire dal 1650, fino alle soglie dell’Ottocento. Relativamente alla biografia del M. ha qualche importanza la terza edizione (Roma 1658), probabilmente l’ultima elaborata personalmente dal M., che presenta notizie più accurate e incisioni di migliore qualità rispetto alle precedenti edizioni del 1644 e del 1650.

Nel 1646 il vecchio protettore del M., Orazio Giustiniani, rientrato a Roma l’anno precedente, fu nominato cardinale bibliotecario, ma il M. non poté giovarsi a lungo del suo appoggio, perché il 25 luglio 1649 il prelato morì, accudito dal M., il quale fra l’altro ne curò la biografia (Breve relazione della vita del cardinal Giustiniani, data da Fioravante Martinelli, suo familiare, ora pubblicata in S. Danesi Squarzina, La collezione Giustiniani. Documenti, I, Torino 2003, pp. 30-41). Alla morte di Giustiniani, il M. ereditò alcuni benefici ecclesiastici e una parte dei beni del porporato, tra cui una villa – non più esistente – alle pendici di Monte Mario e una casa nel paese di Carbognano, ma poté entrare in possesso della sua quota solo dopo una vertenza giudiziaria con la Congregazione dell’Oratorio.

Nel 1653 il M. pubblicò a Roma un’altra opera di ampio respiro, la Roma ex ethnica sacra, nella quale riutilizzò gli studi già compiuti per la Roma ricercata e per altre opere minori, al fine di ottenere un prodotto di qualità più elevata, indirizzato al pubblico degli eruditi.

Il volume si compone di una descrizione storico-antiquaria della Roma pagana e di un ampio catalogo degli edifici del culto cristiano, a cui si aggiunge una cospicua bibliografia di Auctores qui de antiquitatibus Urbis scripserunt (pp. 406-444), che segna un netto progresso rispetto ad analoghi cataloghi coevi.

Negli anni Cinquanta del Seicento nella vita del M. fece la sua comparsa una figura alla quale restò profondamente legato, quella di Francesco Borromini. I due si dovettero conoscere intorno al 1653 e già due anni dopo il M. celebrò l’attività del Borromini nel Primo trofeo della S.ma Croce eretto in Roma nella via Lata da S. Pietro apostolo (Roma 1655), dedicato alla storia della chiesa di S. Maria in via Lata. Tre anni dopo, nella ristampa della Roma ricercata, il M. ampliò lo spazio dedicato a Borromini, che, sembra, fornì l’illustrazione dell’oratorio dei Filippini. Poco dopo, il M. compose una monografia su un’altra opera borrominiana in corso di realizzazione, la chiesa di S. Ivo alla Sapienza, che non fu pubblicata autonomamente, ma rifluì nelle altre opere del Martinelli. Borromini, da parte sua, ricambiò il M., dirigendo la ristrutturazione della sua villa di Monte Mario.

Gli anni Cinquanta e Sessanta del Seicento furono piuttosto contrastati. In particolare, dopo l’elezione al papato di Alessandro VII, nel 1655, tanto Borromini che il M. sembrano aver sofferto di un relativo isolamento rispetto ai centri più vitali della cultura romana. Un isolamento che forse spiega gli accenni astiosi negli scritti del M. nei confronti di intellettuali contemporanei come Lucas Holste e Filippo Maria Bonini. L’emarginazione culturale influenzò la produzione del M., che in questo periodo fu più scarsa che in passato. Al luglio 1655 risale una memoria manoscritta (pubblicata in D’Onofrio, pp. XXVIII-XXXVI), nella quale il M. negava, non senza accenti polemici, l’autenticità della cattedra di S. Pietro, che proprio in quel momento era oggetto di valorizzazione, con la grande sistemazione berniniana. A quel giro di anni risale anche uno dei più interessanti lavori del M.: la Roma ornata dall’architettura, pittura e scoltura, composta tra il 1660 e il 1663 e pubblicata solo nel secolo scorso (D’Onofrio).

In quest’opera il M. offre, grazie anche alla collaborazione di Borromini, che annotò il manoscritto, un’accurata analisi dei principali monumenti romani, trattando, per la prima volta, di una serie di edifici, come il palazzo della Sapienza e le ville Ludovisi e Montalto. Non è chiaro perché questo testo, che rappresenta un caposaldo per la storia della Roma barocca, sia rimasto inedito, anche se è ipotizzabile che il M. sia stato frenato dalla pubblicazione di un’analoga opera di Gasparo Alveri (Roma in ogni stato, Roma 1664).

Il M. morì a Roma il 24 luglio 1667, lasciando eredi dei suoi beni le sorelle Marta e Caterina.

Alla sua morte seguì, il 3 agosto, il suicidio di Borromini. Una concomitanza di eventi sulla quale la storiografia borrominiana si è a lungo interrogata, senza raggiungere risultati definitivi. È stato ipotizzato un legame omosessuale tra Borromini e il M. (Raspe), ma si tratta di un’illazione che non trova conferme documentarie. Più probabilmente la morte del M. accentuò il senso di isolamento dell’artista, rimasto privo di commissioni importanti e di autori capaci di valorizzarne l’opera, contribuendo ad alterare il suo già fragile equilibrio.

Opere: La produzione del M. è vasta e non ancora del tutto conosciuta. Prospero Mandosio (Bibliotheca Romana, II, Roma 1692, pp. 51-53) assegna al M. la paternità di oltre 35 opere, in larga parte rimaste manoscritte e solo in alcuni casi reperibili. Si tratta perlopiù di studi eruditi e archeologici su chiese romane e reliquie, ma è da attribuire al M. anche il riordinamento di un trattato, il De Sacra Poenitentieria, lasciato manoscritto dal cardinal Giustiniani. Le indicazioni di Mandosio non sono sempre perspicue, tuttavia è possibile reperire alcuni dei manoscritti del M., come una breve relazione sulla guerra di Castro, citata da Mandosio e conservata alla Biblioteca apostolica Vaticana (Ottob. lat., 2175, cc. 64-68). Alcune opere inedite furono pubblicate dopo la morte del M., come nel caso del Carbognano illustrato dal sig. Fioravante Martinelli romano (Roma 1694). Per una lista sintetica delle opere edite del M. si veda la voce di A. Anselmi in The Dictionary of art, XX, London-New York 1996, p. 495.

Fonti e Bibl.: L. Allacci, Apes Urbanae, Romae 1633, p. 100; Le guide di Roma. Materialien zu einer Geschichte der römischen Topographie, a cura di L. Schudt, Wien-Augsburg 1930, pp. 62-67, 251-253; L. von Pastor, Storia dei papi, XII, Roma 1931, pp. 980-993; C. D’Onofrio, Roma nel Seicento, Firenze 1969; J. Bignami Odier, La Bibliothèque Vaticane de Sixte IV à Pie XI, Città del Vaticano 1973, ad ind.; J. Connors, Borromini and the Roman Oratory style and society, Cambridge 1980, pp. 75, 222, 263 s.; A. Blunt, Vita e opere di Borromini, Roma-Bari 1983, ad ind.; J. Heideman, The Roman footprints of the archangel Michael: the lost shrine of S. Maria in Aracoeli and the petition of F. M., in Mededelingen van het Nederlands Instituut te Rome (Annali dell’Istituto olandese di Roma), XLVII (1987), pp. 147-156; Specchio di Roma barocca: una guida inedita del XVII secolo, a cura di J. Connors - L. Rice, Roma 1991; G. Bonaccorso, L’abitazione di Francesco Borromini al vicolo dell’Agnello: ambienti, oggetti e personaggi, in Francesco Borromini. Atti del Convegno internazionale, Roma… 2000, a cura di C.L. Frommel, Milano 2000, pp. 174, 176, 179; M. Raspe, The final problem: Borromini’s failed publication project and his suicide, in Annali di architettura, XIII (2001), pp. 121-136; M. Ceresa, Giustiniani, Orazio, in Diz. biogr. degli Italiani, LVII, Roma 2001, pp. 354-356; Le guide di Roma. Ludwig Schudt e la sua bibliografia…, a cura di A. Caldana, Roma 2003, ad indicem.