FIRIDOLFI DA PANZANO, Luca

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 48 (1997)

FIRIDOLFI DA PANZANO, Luca

Giovanni Ciappelli

Nacque a Firenze all'inizio del XIV secolo da Totto di Rinaldo, di famiglia magnatizia (da cui si diramarono anche i Ricasoli), e da Tora. Il patrimonio di famiglia si trovava nel sestiere di Oltramo, nel "popolo" di San Niccolò. Dopo la riorganizzazione amministrativa della città nel 1343 il F. risiedette nel quartiere di Santo Spirito, gonfalone Scala.

Si sposò l'11 maggio 1340 con Catalana di Giovanni Pantaleoni, da cui ebbe Niccolò nel 1345 e Giovanni nel 1346. Nel 1341 fu nominato castellano di Buggiano, e nel 1348 fu inviato ambasciatore a Siena. Nello stesso anno, nonostante si fosse recato a Bologna per evitare la pestilenza, gli morì il figlio Niccolò.

In questo periodo accadde uno degli episodi più conosciuti della vita del F., a noi noto per il dettagliato resoconto che egli stesso ne fece nelle sue "ricordanze": si tratta della vendetta nei confronti di Carlo Gherardini che nel 1346 aveva con altri ucciso il fratello del F. e si era poi rifugiato a Napoli. Nel 1348, venuto a conoscenza della sua presenza a Prato, il F. vi si recò con altri dei Firidolfi per ucciderlo. Il Gherardini si accorse della minaccia e indusse il conservatore del Comune di Prato a far arrestare e in seguito impiccare dopo una procedura sommaria due seguaci dei Firidolfi. Il Comune di Prato fece inoltre citare in giudizio il F. a Firenze, ma dopo che il Comune di Firenze ebbe risposto ufficialmente con minacce, i Pratesi vennero a più miti consigli: sospesero la citazione e si scusarono per l'esecuzione sommaria, attribuendone la responsabilità al rettore forestiero. Il F. però non era soddisfatto. Denunciò in Firenze (accusandoli di aver organizzato un trattato per far ribellare Colle Valdelsa al Comune di Firenze) il conservatore, il suo giudice e il suo cavaliere, li fece citare in giudizio e nonostante le proteste dei Pratesi condannare "nella testa e in mille lire ciascuno" il 28 genn. 1349.

Un anno e mezzo più tardi (13 giugno 1350), avendo saputo da un suo amico fidato della presenza dello stesso Carlo Gherardini a S. Margherita a Montici, una chiesa poco fuori Firenze di cui i Gherardini detenevano il patronato, vi si recò in forze con tutti gli uomini della famiglia che poté raccogliere e pose letteralmente l'assedio alla chiesa. Il Gherardini si barricò nel campanile, che venne incendiato. La battaglia durò fino al tramonto, attirando dalla città centinaia di persone iricuriosite, ed anche i famigli del podestà, dell'esecutore e del bargello, che cercarono di convincere il F. a desistere e a lasciar fare a loro. Ma il F. non cedette, invocò il suo diritto alla vendetta (garantitogli in certa misura anche dagli statuti) e continuò a combattere fino all'uccisione dell'avversario. In seguito, nel giugno, i Signori intervennero perché una pace fosse firmata fra le due famiglie.

Ancora nel corso del 1350 il F. fu inviato in missione dal Comune nel Valdarno di Sopra e nel Mugello. Alla fine di luglio si recò a Prato (il cui governo oligarchico era capeggiato dai Guazzalotti) con altri armati per ridurla sotto la signoria di Firenze. Dopo qualche giorno di combattimento le forze fiorentine ottennero il rientro dei fuoriusciti favorevoli a Firenze e la fine del potere dei Guazzalotti, che abbandonarono la città.

Nel maggio 1351 il F. si risposò con Bartolomea di messer Bindo Altoviti, che gli portò in dote 450 fiorini d'oro e da cui ebbe Orsa, Matteo, Lucantonio e Bindo, che morì poco dopo la nascita (Bartolomea morì a sua volta nel luglio 1359).

Nominato eleggibile alla Signoria a partire dal 1348 (evidentemente perché fatto nel frattempo "di popolo"), negli anni Cinquanta iniziò la sua partecipazione ai gradi più elevati della vita politica cittadina. Fu dei Sedici nel gennaio 1352; durante la sua permanenza in questo ufficio, Lapo di Arrigo da Ricasoli e i suoi fratelli fecero ribellare Vertine e il castello di Firidolfi, e il F. fu incaricato dal Comune di Firenze di recarvisi con 500 tra cavalieri e fanti per riconquistarlo. Ferito da una freccia, fu sul punto di morire; la convalescenza durò sette mesi., mentre Vertine fu riottenuta a patti.

Dal luglio 1352 fu podestà a Perugia. Successivamente fece parte dei Dodici buonuomini nel giugno 1353, dei Priori nel gennaio-febbraio 1355, dei Sedici gonfalonieri di compagnia nel gennaio 1360. Sempre nel 1360 fu inviato ambasciatore a Verona per incontrare Alboino della Scala, succeduto al fratello Cangrande, per indurlo all'alleanza con Firenze contro il duca di Milano. Fu ancora dei Priori nel gennaio-febbraio 1361. Tenne poi per un semestre la podesteria di Faenza, mentre dal novembre, richiesto dagli stessi abitanti, fil podestà di San Miniato.

Nel marzo 1362 venne armato cavaliere da Pandolfo Malatesta, che aveva allora il comando dell'esercito fiorentino. Fu ancora membro del Collegio dei Dodici nel luglio 1363. Il 12 ottobre fu inviato a Incisa con le truppe fiorentine guidate da Ranuccio Farnese per contrastare i mercenari inglesi e l'esercito pisano. Il 15, subito dopo la sua nomina a luogotenente, i Fiorentini furono assaliti e sconfitti. Il F., catturato, fu portato a Lucca "nella prigione del Sasso" e liberato solo nell'aprile del 1364, dietro la consegna di due figli come ostaggi e la promessa del pagamento di oltre 1.000 fiorini (di cui versò poi solo una parte).

Al suo ritorno a Firenze fu tratto dei Sedici nel maggio 1364, e nel settembre fu nominato vicario della Valdinievole. In questo periodo fu anche inviato in Casentino per lottare contro Pietro Tarlati, che costrinse a rifugiarsi in Umbria e a cui tolse Borgo San Sepolcro. Fu ancora dei Priori nel maggio-giugno 1365, e nello stesso anno castellano di Mangona. Ancora dei Dodici nel marzo 1366, quell'anno fu anche deputato con altri cittadini ad incontrare, per conto del Comune, i marchesi d'Este venuti a Firenze.

Nel 1367 fu capitano del Popolo a Pistoia, e fece parte dei Sedici nel gennaio 1368. Tratto gonfaloniere di Giustizia nel bimestre marzo-aprile 1369, sotto il suo gonfalonierato fu concluso il trattato di pace con l'imperatore Carlo IV. In seguito fu podestà di Fabriano nel secondo semestre di quell'anno, e ancora membro dei Dodici nel settembre 1370.

Nel 1370 entrò in grave contrasto con una parte della sua casata, a causa di un conflitto che per lungo tempo aveva opposto i Firidolfi ai Quaratesi. Mentre la parte del F., con altri rami della famiglia, era decisa a continuare la "briga", i discendenti di suo zio Guccio erano intenzionati a stipulare una pace, che infatti firmarono ufficialmente in modo separato nel marzo 1370. Il ramo del F. avrebbe sottoscritto una pace ufficiale con i Quaratesi nel palazzo del Comune solo venticinque anni più tardi.

Nel settembre-ottobre 1371 fu di nuovo priore. Ma a questo punto i suoi incarichi politici più importanti si fermano. Sono gli anni che precedono di poco la guerra degli Otto santi (1375-78): la classe dirigente fiorentina si divide, e diminuisce fortemente (specie dopo la creazione della Balia del 1372) il potere della fazione oligarchica. In questo periodo il F. fu escluso dagli uffici per il suo comportamento "magnatizio" - aggressivo e violento, che non rispettava la legalità imposta dal Comune -, secondo Marchionne di Coppo Stefani (rubr. 801) su petizione di una sua nuora che egli aveva violentato o cercato di far morire.

Fu in seguito mercenario al soldo della Chiesa: nel 1374 si trovava fra i condottieri destinati a combattere contro Bernabò Visconti. Nel 1375, trovandosi a Panzano, e temendo di essere stato colpito dalla peste, rifece testamento; guarito, acquistò immobili che il Comune aveva confiscato ai ribelli.

Nel 1378, al momento del tumulto dei Ciompi, il F. si trovava privato degli uffici in quanto magnate. Non sembra che abbia preso parte alle prime due fasi del tumulto, nel giugno e nel luglio. Entrò in scena quando si giunse alla cosiddetta "terza fase" (quando i Ciompi cercarono di ottenere il predominio), che iniziò con il raduno dei rappresentanti del popolo minuto Oltramo nella contrada di Camaldoli il 26 agosto. Alcune fonti danno il F., già a questa data, come uno dei "capi" dei Ciompi. Il 28 i capi, nominati dai Ciompi il 26, promossero un altro raduno in piazza S. Marco, e in questa occasione il F. si fece togliere gli sproni di cavaliere e armare nuovamente cavaliere del popolo minuto. I Ciompi - istigati anche dal nipote del F. Tommasino - lo nominarono loro capitano, e si recarono con lui al palazzo di Parte guelfa con l'intenzione di appropriarsi con la forza del gonfalone della Parte. Ma, secondo una voce che cominciò a circolare, le reali intenzioni del F. sarebbero state quelle di farsi seguire dai "minuti", senza fare poi i loro interessi, cosicché i Ciompi che fino ad allora lo avevano seguito, lo abbandonarono. Nel momento in cui i Ciompi vennero sconfitti, e l'ordine ristabilito dal governo delle arti minori, il 31 agosto, il F. fu comunque fra coloro che vennero condannati "nell'avere e nella persona" (Marchionne di Coppo Stefani, rubr. 803).

In seguito, il F. prese certamente parte a uno dei complotti orditi da magnati e Ciompi uniti per rovesciare il governo. Il piano fallì e in seguito il F. fu arrestato, ma riuscì a fuggire dalle prigioni del podestà, per partecipare forse, come emerge dai processi del giugno, a un nuovo tentativo di rivolta verso la fine del maggio 1379.

Alla fine dello stesso anno, in seguito all'uccisione, da parte di suo nipote Tommasino ed altri, di messer Giovanni di Mone destinato ad incontrare in Arezzo re Carlo di Durazzo, a Firenze vi fu una fortissima reazione popolare: le case dei F. in San Niccolò e quelle di Bernardo Beccanugi, rispettivamente zio e padre dei principali uccisori, furono abbattute, tutti i parenti in linea maschile degli uccisori furono dichiarati ribelli e fu posta una taglia sulla loro testa. Il F. fu quindi dichiarato ribelle insieme con i figli e discendenti, e i suoi beni confiscati e incorporati nella Camera del Comune.Nel dicembre 1379, fra i fuoriusciti fiorentini riparati a Siena che prepararono anni e armati per rientrare in Firenze ci furono anche i Firidolfi da Panzano con altre famiglie magnatizie. Con l'obiettivo di impadronirsi di Figline una colonna di armati si mosse da Siena, un'altra da Arezzo, ma il tentativo di entrare di sorpresa in Figline fallì. Per questo motivo il F. fu di nuovo processato e bandito. Nel 1380 cadde nelle mani di Astorre Manfredi, nelle cui prigioni rischiò di morire, anche a causa di interventi del governo delle arti minori presso il signore di Faenza con lettere in tal senso.

Nel 1382, alla fine del periodo di governo "democratico", il nuovo governo oligarchico restituì il F. agli uffici, ed anzi uno dei primi provvedimenti presi dalla Balia fu quello di richiamarlo in patria. Morì poco dopo, durante la peste del 1383, e fu sepolto in S. Croce a Firenze.

Il F. fu autore di vari libri di "ricordanze" private, ricchi di informazioni sulle sue vicende personali, solo parzialmente pervenutici per il tramite di spogli cinquecenteschi (Firenze, Bibl. naz., codd. II.X.112, cc. 33-38; II.X-135, cc. 8-30) editi da F. Berti, in Giorn. storico degli archivi toscani, V (1861), pp. 58-78. Informazioni sul suo conto figurano anche nelle "ricordanze" di suo nipote Luca di Matteo, che attinse in più occasioni ai libri del nonno: Archivio di Stato di Firenze, Carte Strozziane, s. 2, 9, passim.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Manoscritti, 267, cc. 10v-11r; Priorista Mariani, II, cc. 439v-441r; Tratte, 58, cc. 56, 61, 64, 67, 69; Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, a cura di N. Rodolico, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XXX, pp. 247, 258, 264, 273, 276, 329 s., 336, 351; Il tumulto dei Ciompi. Cronache e memorie, a cura di G. Scaramella, ibid., XVIII, 3, pp. 61, 80, 84 s., 88, 90, 95, 117, 121, 132, 151; Alle bocche della piazza. Diario di anonimo fiorentino (1382-1401), a cura di A. Molho - F. Sznura, Firenze 1986, p. 27; S. Ammirato, Istorie fiorentine, I, 2, Firenze 1647, pp. 656-666, 732, 736 s., 751; L. Passerini, Genealogia e storia della famiglia Ricasoli, Firenze 1861, pp. 239-247; G. Capponi, Storia della Repubblica di Firenze, I, Firenze 1875, pp. 229, 352 s.; C. Camesecchi, Un fiorentino del sec. XV e le sue ricordanze domestiche, in Arch. storico italiano, s. 5, IV (1889), pp. 145-173, in partic. pp. 167-170; G. Salvemini, La dignità cavalleresca nel Comune di Firenze, Firenze 1896, pp. 30 ss., 115; Id., I Ciompi, Firenze 1945, pp. 207, 209; G.A. Brucker, Florentine politics and society, 1343-1378, Princeton 1962, pp. 35, 71, 128, 184.

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