Fìsica matemàtica

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fìsica matemàtica Disciplina scientifica che si propone di descrivere in termini matematici rigorosi i fenomeni fisici.

Abstract di approfondimento da Fisica matematica di Gianfausto Dell’Antonio (Enciclopedia della Scienza e della Tecnica)

La ricerca in fisica matematica si articola in tre fasi, che caratterizzano questa disciplina e la distinguono da altre branche della fisica e della matematica. Nella prima fase si procede alla costruzione di un modello che riesca a rappresentare gli aspetti che si considerano importanti nel fenomeno fisico in esame. Un modello è quindi una struttura, descritta in termini matematici, il cui scopo è di far corrispondere enti del linguaggio matematico alle componenti di un fenomeno fisico e alle loro relazioni. Per esempio, un modello del sistema Terra-Luna può essere costituito da due punti geometrici nello spazio tridimensionale, ai quali siano associati due parametri (le masse dei relativi corpi celesti) e la forza con cui si attraggono. Il modello non è una rappresentazione fedele della realtà, per esempio nel caso in esame non sono prese in considerazione l’estensione e la composizione dei corpi celesti, ma ne fornisce una prima approssimazione. Modelli più raffinati si possono considerare successivamente, per esempio trattando Terra e Luna come solidi geometrici a densità variabile.

Nella costruzione di un modello si parte in generale da strutture semplici, per modificarle successivamente, ricercando un compromesso tra la difficoltà dei problemi matematici posti dal modello e l’accuratezza con cui questo rappresenta il sistema fisico. Per definizione nessun modello descrive tutti gli aspetti della realtà, e il fisico matematico deve saper cogliere le componenti significative nel fenomeno che vuole analizzare. La seconda fase della ricerca consiste nel ‘risolvere’ il modello che si è costruito. Poiché questo (piuttosto che la realtà) è trattato in termini matematici, utilizzando strutture che possono essere anche molto diverse tra loro, la soluzione del modello può di volta in volta significare cose abbastanza diverse. Di solito i modelli meccanici, relativi per esempio al Sistema solare, alla meccanica dei fluidi, alla deformazione dei corpi elastici o al comportamento di corpi dotati di carica elettrica in un campo elettromagnetico, comprendono due componenti principali: i possibili stati del sistema e l’equazione di evoluzione. In questo caso, risolvere il modello significa dimostrare che, in corrispondenza di ciascun dato iniziale, esiste una e una sola soluzione dell’equazione di evoluzione ed eventualmente descrivere, almeno qualitativamente, le sue proprietà. In altri modelli, quali quelli che si adottano in meccanica statistica o nella descrizione dell’equilibrio dei corpi elastici, per ottenere la soluzione si cerca di individuare una configurazione, non necessariamente unica, che minimizzi una quantità che si considera empiricamente rilevante, per esempio l’energia, l’entropia o l’energia di superficie. In questa seconda fase, il fisico matematico utilizza strumenti di varia natura, appartenenti a campi diversi della matematica: analisi, algebra, geometria, analisi numerica, calcolo delle probabilità, ecc.; in molte occasioni si trova a dover modificare o perfezionare tali strumenti e talvolta a costruirne di nuovi, più adatti allo studio del problema specifico. La fase finale della ricerca in fisica matematica consiste nell’utilizzare i risultati matematici ottenuti per dedurre stime e previsioni sul comportamento del sistema fisico in esame.

Questa suddivisione in tre fasi è comune anche ad altre discipline che si propongono di descrivere fenomeni fisici, ma in campi di ricerca diversi dalla fisica matematica la struttura matematica logico-deduttiva della seconda fase lascia spesso il posto a considerazioni almeno in parte euristiche e congetturali. È peraltro vero che anche nell’attività di un fisico matematico queste previsioni certe, sotto forma di teoremi, sono in generale precedute da una fase in cui giocano un ruolo determinante l’intuizione, l’analisi di modelli elementari, le analogie e i calcoli preliminari (in questo, in tempi recenti hanno avuto un ruolo di primo piano i calcolatori elettronici). Solamente in un secondo momento, alla luce delle considerazioni qualitative fatte, sono enunciati e dimostrati teoremi.

Dalla meccanica quantistica alla teoria quantistica dei campi

La meccanica quantistica non relativistica, sebbene risulti adeguata a descrivere la struttura atomica e molecolare, appare insufficiente a descrivere le interazioni tra particelle e campo elettromagnetico. L’effetto fotoelettrico, combinato con il dualismo onda-particella, porta ad associare al campo elettromagnetico i fotoni, particelle di massa nulla, il cui numero è suscettibile di variazione a causa dell’interazione con la materia. Ciò rende il formalismo di Schrödinger, in cui il numero di particelle è costante, inadatto alla trattazione del campo elettromagnetico e individua lo spazio funzionale nel quale scrivere le equazioni, vale a dire lo spazio delle funzioni a quadrato integrabile su R3n, se si considera un sistema di n particelle in dimensione spaziale 3. Nel vuoto, ciascuna componente del campo elettromagnetico soddisfa l’equazione delle onde; se la dimensione spaziale è 1, si impongono condizioni periodiche relative al segmento di estremi 0-L e si utilizza lo sviluppo in serie di Fourier, l’equazione delle onde appare come equazione per infiniti oscillatori armonici, ciascuno con frequenza nL-1, avendo scelto un sistema di unità di misura in cui la velocità della luce è eguale a 1. L’equazione di evoluzione per ciascuno di questi oscillatori è hamiltoniana e la corrispondente hamiltoniana quantistica, ottenuta con le regole di quantizzazione di Heisenberg e Schrödinger, ha come autofunzioni i polinomi di Hermite Hn e autovalori multipli di nL-1 (a meno di una traslazione per una costante).

È possibile allora interpretare lo stato Hn come stato a n particelle, i fotoni di energia nL-1, e la conseguente descrizione dello spazio di Hilbert associato al campo elettromagnetico ‘quantizzato’ come somma diretta di spazi, parametrizzati da un indice n intero, ciascuno descritto in termini di numero di occupazione di fotoni di frequenza nL-1 e energia assegnate. Questa descrizione, detta rappresentazione di Fock, da Vladimir A. Fock che la suggerì in questa forma alla metà degli anni Trenta del Novecento, è detta seconda quantizzazione, laddove prima è la formulazione della meccanica quantistica di Heisenberg e Schrödinger. A questa formulazione è associata la parola quantizzazione in quanto gli aspetti quantistici che essa descrive sono connessi (sebbene non dal punto di vista analitico) al fatto che i livelli energetici degli atomi sono quantizzati.

La rappresentazione di Fock, posta in una forma matematicamente più precisa da Valentine Bargmann e soprattutto da Irving E. Segal nei primi anni Sessanta del Novecento, è alla base della teoria dei campi quantizzati. Nell’esposizione che ne abbiamo dato si è supposto che lo spazio fosse unidimensionale e si sono poste condizioni periodiche agli estremi di un segmento. La formulazione può essere facilmente generalizzata al caso di R3. In questa rappresentazione un ruolo importante hanno gli operatori di creazione e di distruzione associati a un grado di libertà, la cui azione consiste nel far passare il sistema da uno stato a un altro nel quale il numero di fotoni è aumentato o diminuito di una unità. Gli operatori che rappresentano il campo e la sua derivata rispetto al tempo sono ottenuti mediante somma e differenza degli operatori di creazione e distruzione, con coefficienti atti a riprodurre le proprietà di covarianza del campo e a far sì che il campo stesso soddisfi le equazioni di Maxwell (che, ricordiamo, sono equazioni iperboliche e quindi richiedono per la risoluzione i dati del campo e della sua derivata temporale in un istante prefissato).

Questa interpretazione permette di studiare interazioni in cui non sia conservato il numero di fotoni e quindi di analizzare fenomeni come l’effetto fotoelettrico. L’interazione della materia, nei suoi aspetti non relativistici, con il campo elettromagnetico quantizzato, è ora descritta in termini di una hamiltoniana somma di una parte libera (la somma delle hamiltoniane non interagenti rispettivamente del campo e delle particelle) e di una hamiltoniana d’interazione, che in generale si sceglie lineare negli operatori di creazione o di distruzione del campo, con coefficiente proporzionale all’operatore che rappresenta la corrente (una costruzione che corrisponde alla quantizzazione dell’interazione del campo elettromagnetico classico con le correnti). Poiché il coefficiente di proporzionalità è la carica elettrica e, che in unità naturali risulta molto piccola (1/137 ca.), si può pensare di adottare un metodo perturbativo per la risoluzione dei problemi, sebbene, in conseguenza del carattere singolare dell’interazione a frequenze elevate (a piccole distanze), la serie perturbativa presenti in generale difficoltà formali, sotto forma di divergenze di integrali, che vanno risolte con opportuni artifici (che vanno sotto il nome di rinormalizzazione) per ciascun ordine in e. Recentemente sono stati fatti considerevoli progressi in una trattazione non perturbativa della teoria, in particolare per quanto riguarda modelli semplificati (modelli di Pauli-Fierz), ma una trattazione completa non è stata ancora elaborata.

La trattazione perturbativa dell’elettrodinamica quantistica relativistica ha condotto a previsioni che sono state confermate dai dati sperimentali con un eccezionale grado di precisione e alcune difficoltà teoriche, connesse all’ambiguità nel prodotto di distribuzioni, sono state superate grazie a un’accurata analisi microlocale di fronti d’onda. Sembra ragionevole pensare che, termine a termine, sia possibile dare una trattazione matematica completa, anche se ciò non è stato fatto finora. D’altra parte, la serie perturbativa non soddisfa alcuno dei criteri di convergenza, anche debole (convergenza di Borel), per cui non è chiaro attualmente se questa serie corrisponda a una soluzione ben definita. La teoria delle perturbazioni, nell’ambito di una teoria di campo quantistica, ha avuto un notevole sviluppo a partire dagli anni Cinquanta del Novecento, con contributi importanti, tra gli altri, di Julian Schwinger, Sin-Itiro Tomonaga, Freeman Dyson, Nikolai N. Bogoljubov e soprattutto Richard P. Feynman; la prescrizione di Feynman in termini di diagrammi per il calcolo dei valori dei campi e della matrice S (che descrive i fenomeni di scattering) attesi nel vuoto è tuttora alla base della maggior parte dei lavori in questo settore e ha prodotto risultati di notevole valore, anche dal punto di vista matematico.

In seguito al successo, almeno perturbativo, dell’elettrodinamica quantistica e in base al principio di dualità onda-particella, sono state proposte, per lo studio delle particelle elementari, teorie che introducono campi associati a ciascuna particella e un’interazione dedotta quantizzando i campi di particelle, sulla falsariga della quantizzazione del campo elettromagnetico. Sono quindi introdotti anche per le particelle operatori di creazione e distruzione, e un opportuno stato di vuoto, corrispondente al numero di occupazione zero per tutte le particelle. I campi introdotti sono di varia natura: scalare, vettoriale o comunque a spin intero oppure spinoriale (per particelle di spin semi-intero, questi ultimi corrispondono a rappresentazioni irriducibili di dimensione pari del gruppo SU(2)). La loro quantizzazione utilizza, analogamente a quanto fatto per il campo elettromagnetico, relazioni di commutazione canonica per particelle di spin intero, corrispondenti a relazioni di commutazione per i campi in regioni spazialmente separate a un tempo fissato, o a relazioni di anticommutazione canonica per particelle di spin semi-intero, corrispondenti a campi che anticommutano. Per questi ultimi, è facile mostrare che il numero di occupazione per ciascun grado di libertà può assumere solamente i valori 0 o 1, in accordo con il principio di esclusione di Pauli.

Nella descrizione fornita dalla teoria dei campi quantizzati delle interazioni forti tra particelle elementari, le costanti di accoppiamento sono molto grandi, dell’ordine di grandezza di 10 in unità naturali (sebbene la definizione stessa di costante d’accoppiamento sia incerta, a causa delle ambiguità che presenta una trattazione rigorosa) e il valore predittivo di una serie perturbativa risulta incerto per valori così grandi del parametro di sviluppo. D’altra parte, fino all’inizio degli anni Settanta del Novecento il solo esempio di teoria di campo quantistica rigorosamente formulata era la teoria di campo libera, interessante dal punto di vista matematico ma di scarsa rilevanza fisica. Questa teoria era stata costruita da Kurt Otto Friedrichs e da Segal negli anni Cinquanta del secolo scorso, ed era definita sullo spazio di Fock. Diamo qui alcuni dettagli per il caso del campo scalare di massa m. Il campo f(x) è costruito come distribuzione a valori operatoriali, che soddisfa l’equazione (;21m2)f(x)50, dove ;2 è l’operatore di Laplace. Il campo f(x) soddisfa inoltre le relazioni di commutazione (canoniche) [f(x), f(x9)]5iD(x2x9), x5{x05ct, x1, x2, x3}, dove D(y) è la soluzione reale dell’equazione ;2D50 che si annulla all’esterno del cono di luce. Dall’equazione che soddisfa si deduce che il campo stesso può essere scritto come somma di una parte a frequenza positiva e di una a frequenza negativa. Questo campo può essere realizzato in uno spazio di Fock che ha uno stato w (il vuoto) ‘annichilato’ dalla parte a frequenze negative, mentre i polinomi nella parte a frequenza positiva generano un insieme denso se applicati a w. Le equazioni soddisfatte dal campo sono hamiltoniane e la corrispondente energia è positiva, e si annulla soltanto in corrispondenza del vuoto.

Questa costruzione può essere considerata la quantizzazione alla Fock della dinamica simplettica definita sulla varietà lineare delle soluzioni classiche dell’equazione delle onde. Per trattare una teoria con interazione, nei primi anni Sessanta Segal tentò, ma senza successo, di quantizzare la dinamica simplettica definita sulla varietà (non più lineare) delle soluzioni dell’equazione delle onde con un termine non lineare. Nello stesso periodo Arthur S. Wightman formulò una teoria assiomatica per i campi quantistici relativistici, basata sulle ipotesi di località, esistenza del vuoto e positività dell’energia (definita come generatore del gruppo unitario che descrive le traslazioni nel tempo). Come conseguenza degli assiomi, le funzioni W(x1,,xn)5(w,f(x1),f(xn)w) (funzioni di Wightman) hanno proprietà di invarianza, di positività (conseguenza della positività del prodotto scalare hilbertiano) e di analiticità (conseguenza dell’ipotesi di positività dello spettro dell’energia). Wightman dimostrò anche che il campo può essere ‘ricostruito’ completamente quando si conoscano le funzioni W(x1,,xn).

Una teoria assiomatica simile fu poco dopo suggerita da Rudolph Haag, facendo uso di algebre di operatori limitate associati a ogni regione limitata dello spazio-tempo, con naturali condizioni di inclusione e di commutatività a distanze ‘spaziali’. Anche Haag postulava l’esistenza di un generatore del gruppo delle traslazioni temporali, con spettro contenuto nel semiasse positivo e un autovalore zero isolato e non degenere (il corrispondente autovettore è il vuoto). Queste teorie assiomatiche hanno un contenuto matematico notevole e sono state preziose per delineare le caratteristiche generali di una teoria quantistica dei campi, ma lasciano insoluta, come accadeva nella teoria perturbativa, la domanda se possano esistere teorie di campo quantistiche relativistiche diverse dalla teoria dei campi liberi. Le funzioni di Wightman hanno proprietà di analiticità (in conseguenza della positività dell’energia) che ne permettono il prolungamento analitico in regioni dello spazio-tempo complesso che contengano l’insieme nel quale tutte le variabili tempo assumono un valore immaginario. Questo permette di introdurre alcune funzioni, dette di Schwinger, definite sullo spazio euclideo anziché su quello di Minkowski, ed è possibile formulare una teoria assiomatica anche per le funzioni di Schwinger. Konrad Osterwalder e Robert Schrader hanno dimostrato che a ogni teoria euclidea così formulata corrisponde in modo biunivoco una teoria minkowskiana di Wightman e pertanto la costruzione di una teoria di campo relativistica può essere sviluppata mediante costruzione esplicita di una funzione di Schwinger.

Queste funzioni hanno caratteristiche di positività puntuali, messe in luce soprattutto da Kurt Symanzik, che ne rendono possibile l’interpretazione come funzioni di transizione per un processo stocastico. Seguendo queste interpretazioni, nel 1971 Edward Nelson è riuscito a costruire un processo stocastico in R1 a cui sono associate funzioni di Schwinger che, prolungate nel piano complesso, danno origine a funzioni di Wightman soddisfacenti gli assiomi. Il campo quantistico relativistico corrispondente è definito su uno spazio-tempo minkowskiano di dimensione due e soddisfa l’equazione (;21m2)F(x)5:P(F(x)): dove P è un polinomio di grado dispari con coefficiente del termine di grado più alto negativo e il simbolo : : indica che le distribuzioni non formano un’algebra, per cui il loro prodotto va interpretato in modo opportuno. Nell’equazione precedente, il campo :P(F(x)): è locale.

Seguendo un procedimento diverso, un anno più tardi James Glimm e Arthur Jaffe hanno costruito lo stesso campo facendo uso di metodi della meccanica statistica, ma lavorando direttamente nello spazio di Minkowski. Generalizzando in modo considerevole il metodo seguito da Glimm e Jaffe, qualche anno più tardi Jacques Magnen e Roland Seneor sono riusciti a costruire una teoria quantistica in uno spazio di Minkowski di dimensione 3 (e quindi di dimensione spaziale 2), che è la quantizzazione di una teoria classica associata all’equazione (;21m2)f(x)5g:f3(x): con g costante negativa (chiamata teoria f4 per l’espressione formale del potenziale corrispondente). Per polinomi di grado maggiore di tre, e per uno spazio di Minkowski di dimensione quattro, la teoria non è stata ancora costruita e ci sono indicazioni che la teoria quantistica f4 non sia costruibile, almeno con i metodi utilizzati finora, a causa dell’eccessiva singolarità dei termini. Questo renderebbe più interessante la costruzione rigorosa di una teoria di gauge quantistica.

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