Fisica

Enciclopedia Dantesca (1970)

Fisica

Enzo Volpini

Nella comparazione dantesca dei cieli con le scienze, la scienza naturale, che Fisica si chiama (Cv II XIII 8) figura, insieme alla Metafisica, paragonata all'ottavo cielo o delle Stelle fisse (per ordine è da vedere prima la comparazione de la Fisica, e poi quella de la Metafisica, II XIV 1; è manifesto che lo Cielo stellato ... si può comparare a la Fisica e a la Metafisica, § 13) e come tale partecipa per lunga consuetudine del nome di Filosofia (le scienze ne le quali... la Filosofia termina la sua vista, sono chiamate per lo suo nome; sì come la Scienza Naturale, la Morale, e la Metafisica, III XI 16).

Etimologicamente fondata, l'identificazione della f. (physica, Cic. Acad. I VII 25; dal greco φυσιχή) con la ‛ scienza naturale ' è un tema caro alla tradizione enciclopedica: " [philosophia] naturalis, quae Graece Physica appellatur, in qua de naturae inquisitione disseritur " (Isidoro Etym. II XXIV 3); " Physici dicti, quia de naturis tractant: natura quippe graece physis vocatur " (Rabano Mauro Univ., Patrol. Lat. CXL, 413). Sussiste nondimeno una seconda accezione del termine f. nel significato più ristretto di medicina (v. Du Cange, Glossarium, VI 308): " dicitur autem haec scientia proprie Physica, idest naturalis, quia Physis Graece, natura Latine; licet medici ad sui palliationem hoc sibi nomen attribuant, sed improprie " (Vincenzo di Beauvais Spec. doct. XV 1). Questa instabilità concettuale a cui la f. sembra soggiacere e che la vede a volta a volta identificata con la medicina o con le quattro arti del Quadrivio (aritmetica, musica, geometria, astronomia) oppure dissolta nelle compilazioni di tipo enciclopedico, ben rispecchia l'assenza di una salda teoria fisica prima dell'avvento del corpus aristotelicum, la cui diffusione nella cultura occidentale apporterà gli strumenti necessari per un rinnovato e più maturo studio della natura (cfr. J.A. Weisheipl, Classification of the sciences in medieval thought, in " Mediaeval Studies " XXVII [1965] 54-90). La f. in particolare ne uscirà profondamente mutata nei metodi e nei contenuti, ma soprattutto forte di un'autonomia e di un ordinamento scientificamente più rigoroso, tali da affrancarla da indebite identificazioni. Quanto al ruolo eminente che D. le attribuisce, esso riflette l'ordinamento dell'enciclopedia aristotelica alla cui sommità era collocata la metafisica e immediatamente dopo seguivano i libri naturali e poi gli scritti morali.

Prima di esaminare la comparazione dantesca f. cielo stellato, giova ricordare che il raffronto cieli-scienze, complessivamente considerato, risulta palesemente arbitrario ed estrinseco (cfr. É. Gilson, D. et la philosophie, Parigi 19532, 102-104), prova ne è la varietà d'interpretazione avanzata in merito dai medievali. Il tema allegorico di per sé non costituisce una novità (cfr. P. D'Ancona, Le rappresentazioni allegoriche delle arti liberali nel Medio Evo e nel Rinascimento, in " L'Arte " V [1903] fasc. V-XII); esso compare, variamente inteso e sviluppato, in diverse compilazioni enciclopediche di carattere popolare, come La composizione del mondo di Ristoro d'Arezzo (ediz. Narducci, Roma 1859, 139), il De Naturis rerum di Alessandro Neckam (ediz. Th. Wright, Londra 1863, 283-284), il Florilegium de vita et dictis illustrium philosophorum di John Waleys (ediz. Roma 1655, 363), ecc. Le varianti apportate da D. allo schema tradizionale, quali l'estensione della comparazione alle tre scienze filosofiche (f., metafisica, morale) e alla teologia (cioè il passaggio dalla comparazione pianeti-arti a quella cieli-scienze) e le argomentazioni d'ordine rigorosamente astronomico che ne suffragano l'attribuzione, non modificano l'arbitrarietà del procedimento basato su l'ordine del sito dei cieli (Cv II III 7). Si confronti, in proposito, la lista, pianeti-arti di Neckam (cfr. O.M. Johston, D.'s Comparison between the seven Planets and the seven Liberal Arts, in " The Romanic Review " XXI [1930] 34-35), con quella dantesca:

Dante Neckam

Luna = Grammatica = Luna

Mercurio = Dialettica = Sole

Venere = Retorica = Mercurio

Sole = Aritmetica = Venere

Marte = Musica = Marte

Giove = Geometria = Giove

Saturno = Astronomia = Saturno

Come si vede le due liste, grosso modo, si corrispondono, variando solo per la diversa attribuzione della dialettica, retorica e aritmetica da D. comparate rispettivamente a Mercurio, Venere e Sole e da Neckam al Sole, Mercurio e Venere; si noti inoltre l'identità di giudizio circa l'ordine delle arti e per contro il diverso elenco dei cieli, in D. figurando il Sole al centro dei pianeti e in Neckam subito dopo la Luna, cioè secondo a noi (II III 4). Ne consegue che, rimanendo costante la lista delle arti, il meccanismo delle assegnazioni risulta dettato dalla disposizione dei pianeti ovvero, per dirla col Gilson (op. cit., p. 104), " c'est la liste qui a dicté les raisons et non pas inversement ". Com'è noto, l'ipotesi del cielo del Sole immediato con quello de la Luna (Cv II III 4) è da D. ascritta ad Aristotele e indirettamente a l'antica grossezza de li astrologi Eudosso e Callippo (§ 3), mentre la tesi della centralità del Sole è considerata propria di Tolomeo la cui lista dei pianeti è da D. accolta e come tale comparata a quella delle scienze: di qui la corrispondenza Sole-aritmetica e la conseguente retrocessione di Mercurio e Venere paragonati rispettivamente alla dialettica e alla retorica. Ciò premesso, è chiaro che anche le tre proprietadi di carattere astronomico avanzate da D. per giustificare il raffronto della f. col firmamento (lo Cielo stellato si puote comparare a la Fisica, II XIV 1; cfr. XIIl 8), per dotte e acute che siano, risultano in ultima analisi arbitrarie.

La prima proprietà del cielo stellato, a tutti manifesta, riguarda la moltitudine delle stelle, ché, secondo che li savi d'Egitto hanno veduto, infino a l'ultima stella che appare loro in meridie, mille ventidue corpora di stelle pongono (II XIV 2). Il numero delle stelle è tolto dal Liber de aggregationibus scientia stellarum et principiis coelestium motum di al-Farghānī o Alfragano, una sorta di compendio dell'Almagesto, utilizzato da D. come manuale di astronomia: Sapientes probaverunt omnes stellas fixas, quarum experientia per instrumenta fuit possibilis; usque ad ultimum quod apparuit eis a parte meridiei... Omnes igitur, quae consideratione sunt comprehensae, sunt 1022 stellae " (ediz. R. Campani, Città di Castello 1910, 139). Ora detto numero è formato da due, venti e mille che, se bene si guardano sottilmente, simboleggiano il moto locale, l'alterativo e l'aumentativo, e in questo ha esso grandissima similitudine con la Fisica (Cv II XIV 2). Il moto locale, essendo da uno punto ad un altro di necessitade (§ 3), implicando cioè un punto di partenza e uno di arrivo, ben s'identifica col numero due (cfr. Tomm. Comm. Phys. V lect. I, n. 641; Alb. Magno Phys. V I 1). Il numero venti simboleggia invece lo movimento de l'alterazione essendo esso il prodotto de la più bella alterazione a cui il numero dieci può soggiacere, quella con sé medesimo; infatti dal diece in su non si procede se non esso diece alterando con gli altri nove e con se stesso (Cv II XIV 3). Il numero mille infine significa lo movimento del crescere perché è lo maggiore numero, e più crescere non si può se non questo multiplicando (§ 4). Questa dimostrazione, alquanto sottile e artificiosa ma fedele all'esegesi simbolica dei numeri di patristica e agostiniana memoria, permette a D. d'indicare per sommi capi la natura e l'oggetto della fisica.

Ne la scienza naturale è subietto lo corpo mobile, dichiara D. in Cv II XIII 17 (cfr. Quaestio 60). La natura infatti è detta da Aristotele " principium alicuius et causa movendi et quiescendi in quo est primus per se et non secundum accidens " (Phys. II 1, 192b) e tutti gli enti, aventi in sé il principio del movimento e della quiete, rientrano in quanto tali nell'ambito della scienza naturale. Ma come ciascuna scienza si muove intorno al suo subietto, lo quale essa non muove, però che nulla scienza dimostra lo proprio subietto, ma suppone quello (Cv II XIII 3-4; cfr. Averroè Anal. Post. I comm. 70 e 76; Phys. I comm. 83, II comm. 22-26; Metaph. XII comm. 5), così anche per la f. " quod autem est natura tentare demonstrare, ridiculum est " (Arist. Phys. II 1, 193a).

L'esistenza della natura si manifesta a noi sensibilmente in quanto principio intrinseco dei corpi naturali, " sed quid sit uniuscuiusque rei natura, vel quod principium motus, hoc non est manifestum " (Tomm. Comm. Phys. II lect. I, n. 148). Gli esseri naturali sono infatti tanto lontani dal dimostrare la natura da presupporne invero costantemente l'esistenza, ché " per naturam ipsam nos cognoscimus ea quae naturalia sunt, et sic ipsa cognita sunt per naturam " (Alb. Magno Phys. II I 6); sostenere il contrario, osserva Alberto Magno, significherebbe identificare " principium cognoscendi naturalia et cognitum per naturalia, et sic idem esset per se cognitum et per aliud cognitum, quod est inconveniens ". Pertanto le cose che sono per natura " omnia videntur habere in seipsis principium motus et status; haec quidem secundum locum, illa vero secundum augmentum, quandam autem secundum alterationem " (Arist. Phys. II 1, 192b).

Che tre e non più siano i moti fisici è quanto dimostra Aristotele nel quinto libro della Fisica (cap. 1-2). Stabilito che il mutamento in senso assoluto ha luogo tra termini contrari o contraddittori, ne consegue che tre sono le possibilità di cangiamento: o da sostrato (subiectum, ὑποχείμενον) a sostrato, o da sostrato a non-sostrato, o da non-sostrato a sostrato. Il cangiamento da sostrato a non-sostrato si dice propriamente ‛ corruzione ' mentre quello da non-sostrato a sostrato è detto ‛ generazione ': entrambi non sono movimenti bensì mutamenti secundum contradictionem. Risultando dunque il movimento un cangiamento che si attua de subiecto in subiectum e appartenendo di necessità i sostrati a questa o quella categoria, " necesse est quod species motus distinguantur secundum genera praedicamentorum " (Tomm. Comm. Phys. V lect. III, n. 661). Stabilito infine che solo nella quantità, qualità e luogo può esistere il movimento, Aristotele conclude che tre e non più sono i moti fondamentali: in genere quantitatis o aumentativo, in genere qualitatis o alterativo, in genere ubi o locale. E D. ribadisce che questi tre movimenti soli mostra la Fisica, sì come nel quinto del primo suo libro è provato (Cv II XIV 4).

Il rimando dantesco al quinto del primo suo libro è stato oggetto di varie e discordanti interpretazioni. Che esso rinvii al capitolo quinto del primo libro della Fisica di Aristotele, è certo da escludere perché qui non si parla del moto e tanto meno delle sue divisioni. Il Gilson ha però creduto di rimuovere la difficoltà postulando un'inversione delle due cifre, erroneamente operata da D. o magari da un copista, tale da rinviare al capitolo primo del quinto libro della Fisica. Ma l'espediente non regge perché l'espressione primo suo libro è impiegata da D. per designare il primo dei libri naturali aristotelici, cioè la Fisica, e quinto per indicare il libro E dedicato appunto alla divisione del moto in suas species (cfr. il commento del Busnelli al Convivio, I 217; B. Nardi, Alla illustrazione del " Convivio " dantesco, in " Giorn. stor. " XCV [1930] 80). È noto infatti che il complesso delle opere aristoteliche intorno alle cose fisiche veniva comunemente denominato con l'espressione " libri naturali " e ordinato secondo le indicazioni esposte da Aristotele nel proemio alle Meteore (cfr. W. Capelle, Das Proömium der Meteorologie, in " Hermes " LXXIV [1912] 514-535; A. Mansion, Introduction à la physique aristotelicienne, Lovanio-Parigi 19452, 16-22). La successione dei trattati fisici così come l'intendeva lo Stagirita si apriva con gli otto libri della Fisica, a cui seguivano i quattro libri del De Coelo, i due del De Generatione et corruptione, i quattro delle Meteore e si chiudeva con le opere sugli animali e le piante. All'aristotelica s'ispira quella tomista: I. Fisica; II. De Coelo; III. De Generatione et corruptione; IV. Meteore; v. De Mineralibus; VI. De Anima (Comm. Phys. I lect. I, n. 4); D. parla del De Coelo come del secondo de' libri naturali (Cv II III 4). Anche Alberto Magno accoglie l'ordinamento scolastico dei " libri naturali " ma insieme ne mette in luce la matrice dottrinale da cui scaturiva e dipendeva. La dimostrazione (Meteor. I I 1; cfr. Phys. I I 4) muove dalla tripartizione della scienza naturale fondata sulle tre specie di corpi mobili: il semplice, il semplice in via ad commixtionem e il composto. La prima parte, avente per oggetto il corpo semplice, si suddivide secondo che considera il corpo in se et absolute (Physica) ovvero in quanto mobile secundum situm (De Coelo) o in quanto mobile secundum formam (De Generatione et corruptione). La seconda parte, avente per oggetto il corpo semplice secundum viam et motum ad commixtionem, è tutta compresa nei quattro libri delle Meteore. La terza parte infine, avente per oggetto il corpo composto o misto, si suddivide secondo che considera i corpi inanimati (De Mineralibus) o animati (De Anima). Di qui l'identificazione della lista di Alberto con quella tomista.

Il corpo mobile ha in sé ragione di continuitade, e questa ha in sé ragione di numero infinito, afferma D. in Cv II XIII 17. Come Aristotele aveva, nella Fisica, diviso il moto " in suas species " (l. VI) e " in partes quantitativas " (1. vi), del pari D. procede nel Convivio, dividendo il moto in locale alterativo e aumentativo e considerandolo come grandezza continua. Dicesi infatti continuo ciò che è " divisibile in semper divisibilia " (Arist. Coel. I 1, 268a; cfr. Phys. I 2, 185b; III 1, 200b; V 4, 228a; VI 1, 231a), e non essendo il moto composto di parti indivisibili ne consegue che esso è divisibile all'infinito e quindi continuo.

La nozione d'infinito si manifesta in primo luogo nel continuo " quoniam infinitum est tam in numero quam in continuo: sed infinitum in numero causatur ab infinito quod est in continuo " (Alb. Magno Phys. III I 1; cfr. Tomm. Comm. Phys. III lect. I, n. 266). Si badi però a non confondere l'infinito in atto che è Dio con l'infinito in potenza di cui parla Dante. Com'è noto, l'infinito era concepito da Aristotele come una potenza, mai in atto, risultante " per appositionem, sicut in numeris, vel per ablationem, sicut in magnitudinibus " (Tomm. Comm. Phys. III lect. X, n. 372). L'infinito per aggiunzione " non excedit in maius omnem magnitudinem finitam datam ", mentre quello per divisione " excedit omnem determinatam parvitatem in minus " (Tomm. Comm. Phys. III lect. X, n. 379). La grandezza, finita in atto, non può essere infinita per aggiunzione perché non si dà grandezza infinita in atto, bensì solo per divisione essendo essa continua e quindi divisibile all'infinito. Il numero invece, anch'esso finito in atto, non può essere infinito per divisione perché l'unità numerica è indivisibile, ma solo per aggiunzione essendo la quantità suscettibile di superamento infinito. " Manifestum est enim quod divisio causat multitudinem: unde quanto plus dividitur magnitudo, tanto maior multitudo consurgit; et ideo ad infinitam divisionem magnitudinum sequitur infinita additio numerorum. Et ideo sicut infinita divisio magnitudinis non est in actu sed in potentia, et excedit omne determinatum in minus... ita additio numerorum infinita non est in actu sed in potentia, et excedit omnem determinatam multitudinem " (III lect. XII, n. 393). Da tutto ciò ben si comprende come la distinzione tra il numero, infinito per aggiunzione, e la grandezza, infinita per divisione, comportasse per Aristotele l'impossibilità d'identificare il numero con la natura e la matematica con la fisica. La natura stessa del numero, cui ineriva la consecutività e non la continuità (= divisibilità), rendeva il movimento, continuo per essenza, estraneo a ogni matematizzazione e la natura non riducibile a caratteri matematici. L'errore del matematicismo, comune tanto all'idealista Platone quanto al meccanicista Democrito, risiedeva pertanto, secondo lo Stagirita, nell'identificazione della consecutività propria degli enti matematici con la continuità propria della natura (v. l'introduzione di A. Russo alla traduzione di Aristotele, La Fisica, Bari 1968, XXI). Anche Alberto Magno, confutando la teoria platonica della matematica come fondamento della f., osservava che " causa erroris fuit, quia videbat consequentiam sine conversione inter mathematica et physica et divina: quia esse mobile est continuum, et esse continuum est esse simplex, et non convertitur: et substantia mobilis est substantia continua, substantia continua est substantia simplex, et non convertitur. Et quia id a quo non convertitur consequentia, est natura prius et ante id quod antecedit in consequentia, ideo posuit dimensiones mathematicas principia esse physicorum " (Metaph. I I 1; cfr. I IV 8; Liber de causis I I 4). Se dunque D. parla dell'aritmetica come della scienza che illumina tutte le altre (del suo lume tutte s'illuminano le scienze, Cv II XIII 16), ciò non è da intendersi nel senso che gli enti matematici siano principi della f. quasi fossero platonicamente intermedi tra i sensibili e le specie, bensì nel senso che tanto il fisico quanto il matematico si occupano di superfici, volumi, lunghezze e punti. Diverso ne è però l'approccio, perché il matematico, contrariamente al fisico, considera gli enti in quanto separati secundum rationem e non secundum esse dalla materia e quindi immobili. È tuttavia innegabile in D. una certa propensione alla mistica e al simbolismo numerico.

Ben più intimi sono i legami tra la f. e la metafisica come indirettamente suggerisce D., accomunandole e comparandole al cielo stellato. Pur dettata da motivi estrinseci, come la presenza di una scienza di troppo rispetto al numero dei cieli, la comparazione rivela anche un significato dottrinale, perché tanto la f. quanto la metafisica trattano della sostanza, la prima della materiale e corruttibile l'altra dell'immateriale e incorruttibile. " Ad primam scientiam, - scrive Tommaso d'Aquino - ad quam pertinet considerare de ente inquantum est ens, pertinet considerare de substantia inquantum est substantia: et sic considerat omnes substantias secundum communem rationem substantiae; et per consequens ad eam pertinet considerare communia accidentia substantiae... ad scientiam naturalem pertinet considerare accidentia substantiae mobilis. Verumtamen in substantiis est etiam ordo: nam primae substantiae sunt substantiae immateriales. Unde et earum consideratio pertinet proprie ad philosophum primum. Sicut si non essent aliae substantiae priores substantiis mobilibus corporalibus, scientia naturalis esset philosophia prima " (Metaph. III lect. VI, n. 398; cfr. VI lect. I, n. 1170; XI lect. VII, n. 2267). Detta affinità è visibile e operante in particolare nella teoria dei principi. D. dichiara che considerazione principalissima della f. è considerare li principii de le cose naturali, li quali sono tre, cioè materia, privazione e forma (Cv II XIII 17). All'esame dei principi naturali Aristotele aveva dedicato l'intero primo libro della Fisica, ma per comprendere il ruolo di primo piano da essi svolto nell'economia del trattato è interessante la testimonianza di Alberto Magno. " Dicitur autem liber Physicorum, eo quod ipse in universali totum complectatur negotium physicum. Dicitur autem liber de auditu physico: quia ibi tanguntur ea quae auditu plus quam demonstratione sciuntur de physicis, hoc est, principia physica universalia, ex quibus alia habent probari: propter quod aliquando intitulantur de principiis physicis. Sunt enim principia physica, principia mobilis corporis et motus... quae sunt materia, et forma, et privatio " (Phys. I I 4). Pur ampiamente sviluppata nella Fisica, la teoria dei principi non vi si esauriva ma rinviava alla Metafisica in particolare per quanto riguardava la forma, la cui considerazione spettava, a detta dello Stagirita (Phys. I 9, 192a), alla filosofia prima. Di qui un continuo compenetrarsi della f. con la metafisica riscontrabile anche nell'accostamento dei principi alle quattro cause e nella preminenza della causa finale comune a entrambe le scienze.

Rimangono infine da menzionare le due ultime proprietà del firmamento che hanno grandissima similitudine con la fisica. La prima riguarda il polo visibile, cioè l'artico, il quale significa le cose sensibili, de le quali, universalmente pigliandole, tratta la Fisica (Cv II XIV 9); la seconda riguarda invece la rotazione diurna da oriente a occidente che significa le cose corruttibili, che cotidianamente compiono loro via, e la loro materia si muta di forma in forma; e di queste tratta la Fisica (§§ 10-11). Entrambe queste caratteristiche non apportano elementi nuovi all'immagine della f. ma la illustrano ulteriormente. In Cv IV XV 16, infine, la f. è citata insieme alla geometria e all'astrologia, come scienze il cui esercizio richiede esatta conoscenza dei principi e corretto procedimento di argomentazione.

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