Biondo, Flavio

Enciclopedia Dantesca (1970)

Biondo, Flavio

Augusto Campana

Il maggiore degli umanisti romagnoli del Quattrocento (Forlì 1392 - Roma 1463) fu probabilmente avvicinato alla memoria e all'opera di D. fino dalla sua formazione giovanile in Romagna, ma si può supporre che ne abbia approfondito la conoscenza nel periodo quasi decennale del suo servizio presso la curia romana a Firenze, sotto Eugenio IV (1434-43), forse non senza influenza dell'amicissimo Leonardo Bruni.

Già nel suo primo scritto umanistico, il De Verbis romanae locutionis (1435) appare un ricordo di D. nella menzione delle versioni latine eseguite " nostra et patrum nostrorum aetatibus... de fiorentini Dantis Comoediis " e delle novelle del Boccaccio (ediz. Nogara, p. 118); dove è da rilevare anche la forma plurale Comoediae, per le tre cantiche, variamente attestata da manoscritti e citazioni dei sec. XIV-XV. In un'opera della maturità, la Italia illustrata, B. intreccia il ricordo biografico di D. a quello del Petrarca in un profilo, secondo il suo costume, di epigrafica concisione: " per quae tempora civitas florentina duobus ornata est poetis Dante Aldegherio et Francisco Petrarcha, quorum hic patre florentino sed exule apud Aretium natus et Arquadae inter colles Euganeos mortuus ac sepultus est, ille florentinis parentibus Florentiae natus obiit Ravennae patria exul " (regio Etruria, 304 FG); qui l'accenno alla morte dell'esule a Ravenna acquista un valore quasi affettivo di testimonianza personale, ove si ricordino gli stretti rapporti di B. con la città, dove nella stessa chiesa dantesca di S. Francesco egli acquistò nel 1455 per sé e la famiglia una tomba che era stata dei Polentani (Nogara, CXXI n.; Fubini, p. 537).

Esempi di utilizzazione della Commedia quale fonte storica affiorano più volte nelle opere di B.: il passo sul sanguinoso mucchio (If XXVII 43-44) è ripetutamente citato con sentimento di fierezza cittadina (Historiarum dec. II vici, 327 B; Italia illustrata, regio VI, Romandiola, 348 E); e persino il ricordo di " Mastino... ex Malatesta gente " (ibid. 343 B) non può non risalire a If XXVII 46, nella forma del nome che tradisce una erronea interpretazione del testo dantesco. La presenza del mondo dantesco nel lavoro di B. storico è confermata dall'uso del commento di Benvenuto, citato almeno due volte, anche se non senza inesattezze (Historiarum dec. II III, 194 G per la contessa Matilde; cfr. Benvenuto, IV 152-153; II IX, 342 H, forse con riferimento a Benvenuto, I 512-514, e v. più sotto).

Ma la disposizione di B. all'utilizzazione di scritti di D. quali fonti della propria opera storica, e insieme l'importanza delle sue testimonianze ai fini della filologia dantesca, appaiono soprattutto nelle citazioni di alcune epistole perdute di D. e di una compilazione storica forlivese ugualmente scomparsa.

Nella narrazione, molto particolareggiata, della battaglia di Campaldino, è ripetutamente citata, a confronto con il Villani, la testimonianza di un'epistola di D. (Historiarum dec. II VIII, 331 D - 332 E). Si tratta ovviamente dell'epistola Popule mee, a noi nota attraverso citazioni di Leonardo Bruni; che la testimonianza di B., finora trascurata dai dantisti, sia diretta e indipendente dal Bruni, appare anche dal giudizio stilistico che B. ne dà (" verborum magnificentia ").

In Historiarum dec. II IX, 338 EF (testo riveduto sui codici in Barbi, Problemi i 189-190), la narrazione delle prime operazioni coi Bianchi fuorusciti, dei movimenti di D., della sua presenza a Forlì e di una sua legazione a Verona (1303) è fondata su scritti danteschi, posti a confronto critico, secondo un procedimento assai frequente in B., con altre fonti (" quae Dantis Aldegerii... verbis dictata certioris notitiae sunt, quam a Villano Ptolemaeoque lucensi referri videamus "); poco più giù sono citate lettere del forlivese Pellegrino Calvi, cancelliere di Scarpetta Ordelaffi, " crebram Dantis mentionem habentes, a quo dictabantur ". A parte la difficoltà dell'interpretazione di queste ultime parole, e qualche possibile e spiegabile inesattezza o fraintendimento di B., non si può dubitare della sua buona fede e della sua reale utilizzazione di un dossier di documenti coevi che probabilmente comprendeva, con lettere di D. stesso e dell'università dei Bianchi, anche lettere della cancelleria dell'Ordelaffi, allora capitano dei Bianchi, raccolte e trascritte dal Calvi. Nello stesso libro (342 GH; testo riveduto in Barbi, Problemi II 193-194) B. attesta esplicitamente di aver letto un'epistola di D. a Cangrande della Scala, " partis Albae extorrum et suo nomine data, quam Peregrinus Calvus scriptam reliquit ", e ne riassume il contenuto, relativo all'arrogante risposta data dai Fiorentini caeci alle richieste di Arrigo VII (1310), e su ciò rimanda anche a Benvenuto (forse I 512-514, ma probabilmente citato a memoria). Nonostante l'incongruenza della citazione di Benvenuto e l'anacronismo nella menzione dei Bianchi (più volte rilevato dai critici, senza riflettere che può essere attribuito a B. più che alla sua fonte), anche qui non si può dubitare né della buona fede di B. né della sostanziale autenticità dell'epistola da lui letta. Un'altra citazione, sin qui sfuggita ai dantisti, di Pellegrino Calvi, usato da B. anche per la battaglia di Montecatini (Historiarum dec. II IX, 349 D, ancora una volta a confronto con i " fiorentini scriptores "), permette di renderci conto della natura della fonte, per noi purtroppo perduta, utilizzata da B.: probabilmente una cronaca, che comprendeva almeno gli anni 1303-1315, nella quale il Calvi aveva inserito documenti e lettere, come le sue proprie e quelle di D., alle quali poteva avere accesso nella sua posizione di cancelliere dell'Ordelaffi e per i suoi stessi rapporti personali; V. CALVI, PELLEGRINO.

Bibl. - Le citazioni delle opere maggiori di B. rimandano all'ediz. di Basilea 1559. Su B., ancora fondamentale il volume di B. Nogara, Scritti inediti e rari di B. F., Roma 1927 (" Studi e testi ", 48); profilo critico con bibl. aggiornata, di R. Fubini, B. F., in Dizion. biogr. degli Ital. X (1968) 536-559. Citazioni dantesche: P. Buchholz, DieQuellen der Historiarum Decades des B. F., Lipsia-Naumburg 1881, 101-102. Per B. e Pellegrino Calvi fondamentale, anche per la critica della confusa bibl. precedente, l'articolo di M. Barbi, Sulla dimora di D. a Forlì, in " Bull. " VIII (1892) 21-28 (poi in Problemi i 189-195); ma del Barbi si veda anche, prima e dopo, " Roman. Jahresbericht " I (1891) 463, e Problemi i 21, 43, 44, e la Nota sulle epistole perdute e spurie, nell'ediz. del '21. Poi v. almeno F. Filippini, D. scolaro e maestro, Ginevra 1929, 89, 97-98, 137 (inesattezze); Zingarelli, Dante 430-431 e 452 n. 9; II 597 e 636 n. 6; S.A. Chimenz, A. D., in Dizion. biogr. degli Ital. II (1960) 404, 413 (il più negativo; seguito da E. Balzani Maltoni, La famiglia degli Ordelaffi dall'origine alla signoria, in " Studi Romagnoli " XI [1960] 260).

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