Flessibilità

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Economia

Capacità di un sistema economico di adattarsi ai mutamenti della realtà.

La f. dei prezzi

È la caratteristica per la quale i prezzi aumentano quando vi è un eccesso di domanda sull’offerta di beni, diminuiscono quando vi è un eccesso di offerta di beni sulla domanda. Più tecnicamente, la f. del prezzo è il reciproco dell’elasticità della domanda, essendo data dal rapporto tra la variazione percentuale del prezzo di un bene e la variazione percentuale della quantità domandata del bene stesso.

F. del cambio ha lo stesso significato di f. dei prezzi, dato che il tasso di cambio altro non è che il prezzo di una valuta in termini di un’altra (➔ cambio).

F. del lavoro

È la deregolamentazione del mercato del lavoro, che riduce i vincoli assunti dall’impresa relativi ai propri lavoratori e limita la tutela del posto di lavoro, ma anche, in senso generale, la possibilità dell’impresa di disporre del lavoratore per mansioni diverse, per periodi di tempo determinati, secondo orari lavorativi particolari, in differenti luoghi ecc. Il dibattito sulla disoccupazione e le politiche più appropriate per ridurla ha dato sempre più rilievo al problema della f. del mercato del lavoro, individuando in tale aspetto uno dei fattori chiave per conseguire più soddisfacenti livelli occupazionali. Si può fare riferimento a mercati del lavoro settoriali o al mercato del lavoro in senso generale, in cui si confrontano la domanda e l’offerta complessiva di lavoro. Il concetto di f. del mercato del lavoro esprime, dunque, una sorta di indicatore dell’intensità e della velocità con cui le variabili fondamentali proprie di questo mercato reagiscono al verificarsi di particolari eventi. Secondo molte analisi, tanto più elevata è tale f. tanto più è agevole diminuire i tassi di disoccupazione, senza innescare effetti economici indesiderati come tensioni inflazionistiche. Nei termini più tradizionali, la f. si riferisce alla misura in cui i salari, e specificamente i salari reali, sono reattivi rispetto a variazioni di domanda e offerta di lavoro: secondo tale teoria, se i saggi salariali reali variano in senso inverso al variare del tasso di disoccupazione (cioè diminuiscono al determinarsi di un eccesso dell’offerta di lavoro rispetto alla domanda e, viceversa, aumentano al verificarsi di un eccesso di domanda di lavoro rispetto all’offerta), il mercato del lavoro raggiunge spontaneamente l’equilibrio, ossia la domanda e l’offerta di lavoro si eguagliano; se invece l’esistenza di ostacoli impedisce l’aggiustamento dei salari reali alle variazioni di domanda e offerta, il mercato del lavoro non può realizzare il suo equilibrio ed eventuali aumenti della domanda aggregata più che incrementi significativi dell’occupazione producono fenomeni inflazionistici. Questo tipo d’impostazione analitica, associata al concetto di tasso di naturale disoccupazione o a quello di NAIRU (➔ disoccupazione), è alla base di gran parte delle teorie del mercato del lavoro che si contrappongono all’impostazione keynesiana, in cui non è dato grande rilievo al ruolo del salario nella determinazione del livello d’occupazione. Al di là della f. del salario, molta importanza è stata attribuita anche al problema della f., o mobilità, dei lavoratori all’interno del mercato del lavoro. Una mobilità territoriale dei lavoratori, infatti, può determinare elevata disoccupazione anche in presenza di una domanda che, complessivamente, consentirebbe maggiore occupazione. In questa situazione si creerebbe un eccesso di domanda in alcune aree, dove esisterebbero posti vacanti, accanto a un eccesso d’offerta di lavoro (disoccupazione) in altre aree. Questi scompensi sono causati dall’impossibilità, o dalla difficoltà, per i lavoratori disoccupati di trasferirsi nelle aree dove troverebbero un impiego. Elevati costi di trasferimento, vincoli legali (soprattutto a livello internazionale), problemi di carattere socioculturale sono tutti fattori che concorrono a rendere il mercato del lavoro meno flessibile, creando situazioni in cui convivono elevata disoccupazione e pieno impiego anche in aree relativamente vicine. Un altro concetto, o tipo, di f. si riferisce soprattutto alle norme e istituzioni che regolano il mercato del lavoro e i rapporti fra lavoratori e imprese. Per es., tanto maggiori sono i vincoli e i costi cui devono sottostare le imprese per quanto concerne la possibilità di assumere o licenziare lavoratori in corrispondenza dell’andamento del ciclo economico, tanto meno esse sono disposte ad assumere lavoratori aggiuntivi nelle fasi di espansione. In questo quadro rientra anche la facilità con cui le imprese possono ricorrere a forme di lavoro cosiddette atipiche come, per es., il lavoro a tempo determinato, il lavoro part time o il lavoro interinale. Essendo queste forme di occupazione meno costose e più flessibili, consentono alle imprese di aumentare più facilmente la loro domanda di lavoro in presenza di situazioni favorevoli. Infine, la f. può riferirsi all’organizzazione del lavoro nelle imprese. In questo caso si tratta della minore o maggiore possibilità per le imprese di modificare l’organizzazione degli orari, dei turni, delle mansioni, al fine di rendere più efficiente il processo di produzione e meglio rispondere alle esigenze della situazione economica in un dato momento.

Il dibattito sulla flessibilità

In Italia è stato sempre vivace. Da un lato, le imprese e le loro organizzazioni sostengono che, per aumentare l’occupazione, è necessario perseguire il maggior grado possibile di f., rendendo così più conveniente e meno costoso l’impiego di lavoro; dall’altro lato, i lavoratori e le loro organizzazioni si oppongono a un’eccessiva f. del mercato del lavoro, ritenendo che essa possa ledere alcuni diritti fondamentali quali la sicurezza del posto di lavoro, un giusto compenso salariale ecc. L’Italia ha inserito elementi forti di f. nel mercato del lavoro attraverso la l. 196/24 giugno 1997 (detta anche legge Treu dal nome del ministro proponente) recante Norme in materia di promozione dell’occupazione. Tale legge ha istituito le figure di lavoro ‘anomale’ o a tempo determinato quali il lavoro interinale, il part time, il contratto formazione-lavoro e l’apprendistato, oltre a importanti norme sulla formazione attraverso la partecipazione a stages e tirocini in azienda. Tale legge è stata successivamente perfezionata attraverso la l. 30/14 febbraio 2003 (detta anche legge Biagi, dal nome del giuslavorista che ne ideò la struttura). La l. 30 ha introdotto ulteriori elementi di f. contrattuale rispetto alla legge Treu; in particolare vanno ricordati l’outsourcing, il job on call, il job sharing (lavoro a chiamata o intermittente, lavoro a coppia o ripartito), la formazione, il socio lavoratore, lo staff leasing, il part time, le collaborazioni coordinate e continuative e la borsa continua del lavoro. Il duplice intento della l. 30 è quello di dare alle aziende migliori strumenti di gestione organizzativa del personale e al lavoratore sufficienti tutele e diritti nei contratti atipici.

Medicina

F. cerea Disturbo motorio di origine psichica che si osserva nella catatonia, nello stupore isterico e in quello ipnotico. Si mette in evidenza imprimendo al malato dei movimenti passivi degli arti o del capo: in tal modo si avverte al livello delle articolazioni una particolare sensazione d’impasto, come se si modellasse della cera; inoltre, quale che sia l’atteggiamento impresso, anche il più scomodo, questo è mantenuto a lungo e senza la minima apparenza di fatica.

Tecnica

La f. dei sistemi di produzione industriale è un elemento essenziale dei processi di automazione e dei tentativi di integrazione di progettazione e produzione. Storicamente, l’automazione industriale ha interessato prima i processi continui (chimico, nucleare, petrolchimico) e solo successivamente quelli discreti (meccanica, elettronica). Questa differenza può essere imputata al diverso modo in cui sono legati innovazione di processo e innovazione di prodotto nei due tipi di produzione industriale. Nei processi continui il prodotto nasce prevalentemente insieme con il processo produttivo e l’innovazione di processo avviene raramente senza un’innovazione di prodotto; ovvero un nuovo processo nasce solo se nasce un nuovo prodotto. Si può dire, sinteticamente, che in tal caso il modo di produrre è intrinsecamente ‘rigido’. Nei processi discreti il legame tra prodotto e produzione è molto meno determinato: la variabilità del modo di produrre lo stesso tipo di prodotto è molto elevata dal punto di vista sia tecnologico sia organizzativo. Il fenomeno diventa ancora più accentuato se, invece del rapporto processo-prodotto, si prende in esame il rapporto processo-funzionalità del prodotto. Infatti, una caratteristica dei prodotti dell’industria manifatturiera è l’elevato livello di sostituibilità: un utente può, per es., utilizzare per il trasporto primario (finalità funzionale) mezzi (cioè prodotti) molto diversi (auto di diverso tipo), premiando nell’industria produttrice la capacità di riconfigurarsi per produrre beni diversi, adeguandosi rapidamente alle variazioni di domanda. Il legame processo-funzionalità da soddisfare diventa quindi difficile da definire e da quantizzare. Si può dire, sinteticamente, che il processo produttivo è intrinsecamente «flessibile» rispetto alle esigenze funzionali.

Il problema organizzativo

Nel complesso quadro della fabbrica automatica, il ruolo degli strumenti quantitativi di decisione e di gestione (modelli di ottimizzazione, di simulazione e di previsione) diventa essenziale per centralizzare e gestire sistemi di elevata complessità, in cui si presenta un elevato numero di possibili combinazioni operative, ognuna con diverse caratteristiche di f. e di costo. Vengono sviluppati sia modelli globali, per la valutazione delle prestazioni del sistema integrato di progettazione/produzione, sia una miriade di modelli parziali, con cui vengono trattati aspetti particolari del processo e/o di sottosistemi di dimensioni relativamente ridotte, in modo abbastanza indipendente dal contesto in cui tali parti del sistema si collocano. Questo secondo modo di affrontare i problemi corrisponde al processo in atto di un maggiore decentramento delle decisioni e una maggiore autonomia decisionale dei vari attori del processo di automazione, resa indispensabile per ottenere un’elevata flessibilità. Rimane il problema di coordinare le varie soluzioni offerte per le varie parti del sistema, in un quadro flessibile, ma unitario. Infatti è ben noto come, in un processo di ottimizzazione, un insieme di ottimi ‘locali’ solo per caso può produrre un ottimo globale, anzi in genere la ricerca di ottimi locali tende ad allontanare la soluzione da un ottimo globale. Un coordinamento delle soluzioni è quindi essenziale e può essere ottenuto costruendo da un lato strutture organizzative flessibili, che consentano un’elevata autonomia delle singole parti, e curando d’altro lato le interfacce fra parti attraverso azioni di coordinamento e opportuni protocolli di comunicazione.

F. esterna e f. interna

In tale contesto, una prima distinzione importante è tra f. esterna e interna. La f. esterna riguarda la capacità di un’unità organizzativa assegnata di far fronte adeguatamente a sollecitazioni esterne variabili in modo anche difficilmente prevedibile. La f. interna riguarda la capacità di un’unità organizzativa con risorse interne disponibili in modo aleatorio di far fronte adeguatamente a sollecitazioni esterne note e prevedibili. Nelle applicazioni industriali usuali si verifica generalmente una combinazione di questi due tipi di f., che sono però concettualmente diversi e che è opportuno considerare separatamente.

Per quanto riguarda la f. esterna vi sono due aspetti fondamentali da considerare: il range e la quantità. Il range riguarda il numero di operazioni diverse (o un’opportuna misura dell’insieme di operazioni) che l’unità organizzativa è in grado di svolgere. Per valutare le prestazioni non basta sapere che l’unità organizzativa è in grado di svolgere due operazioni diverse, ma è anche essenziale sapere il tempo necessario e i costi da sopportare per passare dallo svolgimento della prima operazione a quello della seconda. Per es., nel caso di una macchina, è necessario conoscere i tempi di predisposizione (set-up) per passare da un’operazione all’altra, nonché gli eventuali costi dovuti a perdite di materiale. Un indicatore che misuri questo aspetto è detto indicatore di mobilità. Inoltre, è anche necessario valutare la capacità da parte dell’unità organizzativa di svolgere altrettanto bene i due tipi di operazione, senza quindi dover ricorrere ad azioni correttive di vario tipo o addirittura a scarti di lavorazione. Un indicatore che misuri questo aspetto è detto indicatore di uniformità. La f. riguarda anche la capacità dell’unità organizzativa di far fronte a variazioni di carico di lavoro. Infatti, anche se l’unità fosse in grado di svolgere una sola operazione, il fatto di essere in grado di svolgerla in modo economicamente accettabile per richieste quantitativamente variabili è un importante elemento di flessibilità. Per es., un’azienda manifatturiera capace di fabbricare un solo tipo di prodotto, ma di produrne economicamente da 100 fino a 1000 unità al giorno, possiede una f. che può diventare un elemento vincente nella competizione con i concorrenti.

Per quanto riguarda la f. interna vi sono indicatori diversi a seconda del tipo di risorsa che si rende non disponibile. I principali tipi di risorse considerate sono: fisiche (per es., macchine, strumenti, apparati, parti, materiali), umane (personale per le varie professionalità richieste), finanziarie, informative, di tempo. Essere flessibili rispetto alle prime due tipologie significa essere in grado di riconfigurare l’unità organizzativa in modo da soddisfare comunque la domanda, per es., sfruttando la ricopertura nella capacità di svolgere le diverse operazioni fra soggetti diversi presenti nell’unità organizzativa. Essere flessibili rispetto a una temporanea mancanza di fondi significa, invece, aver predisposto procedure efficienti di accesso a finanziamenti esterni presso banche o altri enti finanziatori. La capacità di far fronte a un’indisponibilità di informazioni è un problema di grande rilevanza sia teorica sia applicativa e riguarda molte situazioni sostanzialmente diverse. Tale capacità viene di fatto misurata in modo differente a seconda del tipo di informazione considerata e del caso concreto in esame; casi di particolare interesse sono quelli relativi a informazioni sullo stato del sistema, sui flussi di decisione, sulle conseguenze dell’adozione di nuove tecnologie. Un aspetto di importanza crescente è quello relativo alla valutazione della capacità dell’unità organizzativa di operare, in un intervallo limitato di tempo o anche in modo permanente, con una disponibilità di tempo insufficiente rispetto alle esigenze dei compiti da svolgere, continuando a garantire un certo livello di qualità della prestazione. Nel complesso, si tratta di un insieme molto vasto di aspetti, che vanno a toccare tutte le fasi dei processi decisionali presenti in un sistema organizzato. Una delle caratteristiche dei moderni sistemi di produzione è quella di disporre di strumenti per una gestione integrata di diversi aspetti della f., considerati rilevanti per il settore di attività in cui operano.

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