FORESTA

Enciclopedia Italiana (1932)

FORESTA (dal lat. med. forestis, derivato probabilmente da foris, riferito alla selva riservata al sovrano; fr. forêt; sp. bosque, monte; ted. Wald; ingl. wood)

Aldo PAVARI
Romualdo Trifone

È l'associazione o consorzio di piante legnose esclusivamente d'alto fusto distribuite su una vasta superficie di terreno; il bosco (v.), invece, più genericamente comprende anche i boschi cedui, siano o no forniti d'un certo numero di piante d'alto fusto. Nelle foreste naturali alle piante d'alto fusto sono però generalmente commiste altre associazioni di piante arbustive, fruticose ed erbacee. La costituzione floristica di tali associazioni è oltremodo variata; esse però si riconducono sempre alla foresta come tipo di vegetazione in confronto agli altri tipi che formano il mantello vegetale della terra, cioè il deserto, la steppa, la prateria, la savanna, la tundra, la torbiera, la boscaglia ecc. Di tutti questi tipi di vegetazione la foresta è il più esigente; non può cioè vivere all'infuori di determinati minimi d'umidità e di calore.

Nelle regioni ove si verificano tali minimi, la foresta è la formazione definitiva, cioè rappresenta lo stadio più elevato della successione progressiva, attraverso la quale il suolo nudo si copre di vegetazione. La precisazione dei limiti termici e udometrici entro i quali può vegetare la foresta è ancora dibattuta. Infatti lo studio dei limiti polari e alpini della foresta (limiti dovuti a deficienza di calore) e dei limiti xerotermici (dovuti a deficienza di umidità) dimostra che molti fattori interferiscono a modificare l'azione combinata della temperatura e dell'umidità: così per es. i venti, la costituzione del suolo, ecc. Comunque si può asserire che la foresta non può esistere dove la temperatura media del mese più caldo è inferiore a 10° e dove le precipitazioni annue sono inferiori a 400 millimetri, di cui almeno 50 mm. nel periodo di vegetazione. Questi dati, ripetiamo, hanno un valore assai relativo e di larga approssimazione; infatti occorre tener conto di due leggi importanti: la legge del minimo, per cui il fattore climatico decisivo è quello che si trova nella quantità minima; la legge di correlazione, per cui la foresta esige tanto maggiore copia d'umidita, quanto più caldo è il clima e viceversa (l'indice d'aridità di De Martonne espone appunto il rapporto fra precipitazione e temperatura). Nello studio dei limiti polari e alpini della foresta s'è inoltre accertato che il complesso dei fattori climatici, cioè il carattere del clima o tipo climatico, riveste la maggiore importanza, in confronto all'influenza d'un dato elemento del clima. Così H. Brockmann Jerosch ha pensato che i limiti alpini della foresta scendono nei climi a tipi oceanico, mentre salgono in quelli a tipo continentale.

Entro l'area in cui è possibile la vita della foresta, essa risulta costituita dalle più svariate associazioni vegetali; ma a loro volta, ognuna di queste associazioni può ricondursi ad alcune formazioni forestali che caratterizzano determinati tipi climatici. Queste formazioni hanno la stessa fisionomia vegetale, pur avendo costituzione floristica molto diversa, e ciò perché, in regioni geografiche anche assai distanti, l'analogia del clima porta a formazioni vegetali analoghe.

Sebbene alcuni moderni cultori di fitosociologia (J. Braun-Blanquet. J. Pavillard, ecc.) contestino il valore di questi concetti e vogliano limitare la sistematica delle associazioni vegetali, foreste comprese, a un raggruppamento strettamente floristico, tuttavia la classificazione delle foreste in formazioni ecologicamente analoghe ha grande interesse sia scientifico sia pratico ed è generalmente ammessa. Tra i più moderni e chiari sistemi di classificazione ricordiamo quello di E. Rübel e H. Brockmann Jerosch, il quale parte dalla constatazione, che il clima oceanico, con la sua temperatura mite, la regolarità dell'andamento stagionale, l'abbondanza e l'uniformità della distribuzione delle piogge e l'alta umidità atmosferica, è quello che rende quanto mai rigogliosa e uniforme la vegetazione forestale, con predominanza di specie sempreverdi. Nelle regioni equatoriali calore e umidità abbondano, cosicché il rigoglio della foresta e la ricchezza di specie di cui essa è composta raggiungono il massimo; se si procede dall'equatore verso i poli, con lo scemare del calore, la foresta assumerà via via altri aspetti, cioè sarà rappresentata da formazioni sempre meno rigogliose e ricche, fino a cessare in corrispondenza al limite polare della vegetazione forestale. Procedendo dalla costa all'interno, cioè dal clima oceanico al continentale, gli estremi stagionali si fanno più distanti, la distribuzione delle piogge diviene irregolare, sia nella quantità sia nel tempo, e allora alla foresta sempreverde del clima oceanico, si sostituisce la foresta a foglie caduche (decidua), la cui vegetazione subisce un periodo annuo di riposo dovuto o alla deficienza di calore o a quella d'umidità. I rilievi montuosi alterano la suddetta distribuzione delle formazioni forestali; infatti l'altitudine agisce in senso analogo, se non identico, a quello della latitudine. Si verifica cioè un succedersi di formazioni forestali in corrispondenza alla crescente altitudine, sino a toccare il limite alpino della vegetazione forestale. Avviene poi che i rilievi montuosi situati in regioni aride, e perciò prive di foreste, possano esser coperti da zone più o meno ampie di vegetazione forestale, grazie all'aumento del fattore acqua e alla diminuzione del fattore calore.

Le principali formazioni forestali a cui possono ricondursi le svariatissime associazioni esistenti sul globo sono, secondo il sistema di E. Rütbel e H. Brockmann Jerosch, le seguenti: 1. Pluviisilvae, foreste tropicali dei climi oceanici, in cui le specie dominanti sono alberi sempreverdi, spesso cauliflore, con apici vegetativi non protetti, foglie lucenti, per lo più non provviste di peli. Ricchissime di specie, queste foreste presentano un gran numero di piani di vegetazione e sona caratterizzate inoltre da grande abbondanza e sviluppo di liane e d'epifite. 2. Laurisilvae, foreste sempreverdi dei climi oceanici, in cui il calore agisce come fattore minimo. Esse si spingono perciò dalla zona subtropicale sin quasi al limite polare della vegetazione forestale, restringendosi, verso questi limiti, a un'angusta striscia costiera. Sono formate da alberi dicotiledoni sempreverdi, con foglie a struttura igrofila, disposte normalmente alla luce solare e con apici vegetativi protetti (gemme). La famiglia delle Lauracee v'è largamente rappresentata. In alcune regioni (p. es. sulla costa Pacifica dell'America Settentrionale) alle foreste d'alberi dicotiledoni si sostituiscono foreste di conifere per lo più a foglie squamiformi (Taxus, Tsuga, Thuya, Chamaecyparis, ecc.). Queste foreste costituiscono una transizione alle Aciculisilvae. 3. Hiemisilvae, foreste decidue, che vegetano nella stagione delle piogge, ed entrano in riposo nelle stagioni secche. Si trovano su vastissime estensioni nei climi continentali tropicali. Gli alberi hanno foglie per lo più piccole e suddivise; oltre alle gemme, alcune specie possiedono getti apicali in cui le giovani foglie sono protette da uno spesso tomento. 4. Durisilvae, dette anche foreste sempreverdi xerofile-sclerofille, per l'adattamento delle specie che le costituiscono ai climi caldo-aridi e per la consistenza delle foglie. Queste sono generalmente piccole, coperte di pruina o di tomento; in alcune specie mancano quasi del tutto, e l'assimilazione è demandata ai tessuti dei rami (Casuarina). Le Durisilvae nelle zone subtropicali sostituiscono le Laurisilvae quando il clima da oceanico diventa continentale. Sono quindi le foreste continentali delle zone subtropicali o temperato-calde; esempî tipici la foresta mediterranea e quella australiana, con predominanza di Casuarina e di Eucalyptus. 5. Aestatisilvae, dove predominano alberi a foglia decidua che si spogliano in inverno, nel periodo del riposo vegetativo. Caratterizzano i climi temperato-caldi e temperato-freddi (es. foreste di faggi, querce, ecc.). 6. Aciculisilvae o foreste di conifere, caratterizzate da foglie generalmente persistenti (eccettuati i generi Larix, Pseudolarix, ecc.), aciculari o lineari a struttura raramente bilaterale, per lo più isolaterale. Predominano nei climi temperato-freddi e freddi e vanno a formare le ultime foreste, verso i limiti polari, nelle regioni continentali; spesso costituiscono anche le ultime formazioni forestali ai limiti alpini della vegetazione silvana. Tra questi tipi principali di foreste si verificano numerosi tipi di transizione. Dalle foreste alle formazioni con predominanza di piante erbacee o suffruticose (steppe, tundre, ecc.) s'hanno poi altri tipi di transizione a boscaglia, a savanna, ecc.

Sebbene ridotte dall'azione dell'uomo in confini assai più ristretti di quelli loro assegnati dalle leggi naturali, le foreste occupano ancora oggi una vasta estensione della superficie terrestre. Le statistiche al riguardo, precise per alcuni paesi, sono approssimative o addirittura inattendibili per altri. In Europa i paesi più ricchi di foreste sono: l'Unione Russa dei Sovieti con circa 137 milioni di ettari, la Svezia con 23.500.000, la Finlandia con 18.589.000, la Germania con 13 milioni (Italia: 5.545.000 ettari). Ma queste cifre impallidiscono di fronte a quelle enormi che indicano le immense distese di foreste esistenti nell'America del Nord, dove il Canada ne possiede 250 milioni di ettari e gli Stati Uniti ne possiedono, malgrado le grandi devastazioni del passato e del presente, circa 190 milioni di ettari. Nell'America Meridionale, secondo R. Zon (The forest Resources of the World, Washington 1910), le foreste coprono 769 milioni di ettari, di cui 395 nel solo Brasile, dove numerose regioni forestali sono ancora inesplorate. Rinunziamo a dar cifre sull'esistenza delle foreste negli altri continenti, per i quali abbiamo dati incompleti e contraddittorî.

Il fatto più saliente che caratterizza l'odierna situazione forestale del mondo è questo: una superficie relativamente piccola di foreste nei paesi di più progredita civiltà, protette da leggi e razionalmente gestite da corpi tecnici specializzati e perciò con produzione in continuo incremento quantitativo e qualitativo; una superficie enormemente maggiore di foreste sfruttate senza regola e misura, oppure inutilizzate perché inaccessibili, o comunque sfavorevolmente ubicate rispetto al mercato. Questa è però l'immensa riserva alla quale attingeranno le future generazioni. Certo è che attualmente lo sbilancio tra il consumo mondiale di legname e l'accrescimento annuo delle foreste utilizzabili esiste; R. Zon lo stima non inferiore a 2 milioni e mezzo di tonnellate all'anno. Il legno, il principale prodotto delle foreste, si rivela infatti ogni dì maggiormente indispensabile alla vita dei popoli e al progresso della civiltà. Né il carbon fossile, né i metalli, né l'elettricità hanno detronizzato il legno, poiché i suoi usi, le sue applicazioni si moltiplicano e ne richiedono quantità sempre crescenti. Di qui la necessità che la foresta sia conservata, protetta, difesa, coltivata. La foresta non fornisce soltanto il legno: altre ricchezze essa largisce all'umanità. come frutti, semi, resine, succhi, gomme, lattici, cortecce tanniche e coloranti, sughero, senza contare prodotti secondarî, come i funghi, le erbe, lo strame.

Tutti questi prodotti, che rappresentano l'utilità diretta della foresta, non raggiungono però forse l'immenso valore che essa possiede, per la sua azione sull'ambiente fisico nel quale l'uomo svolge la sua vita. Questa utilità indiretta della foresta s'esplica sul clima e sul terreno, e, per conseguenza, sulla circolazione idrica superficiale e sotterranea. Quanto all'azione della foresta sul clima, le opinioni non sono concordi, data la complessità del problema e le difficoltà gravissime di documentare sperimentalmente tale azione. I due metodi seguiti nelle indagini sono quello storico e quello comparativo; il primo è lo studio delle variazioni del clima d'una determinata regione già boscata e poi diboscata, o viceversa; il secondo è il raffronto tra il clima di plaghe attigue, di cui una boscosa e l'altra no. Ambedue i metodi soffrono di gravi deficienze, perché quello storico deve risalire a epoche lontane, in cui è difficile rintracciare fonti attendibili di notizie e di dati, mentre col metodo comparativo, se si collocano gli osservatori a notevole distanza dalla foresta, viene a mancare, specialmente nelle regioni montuose, quell'identità di condizioni che è indispensabile per il raffronto. Si può tuttavia asserire che la foresta influisce notevolmente a modificare il clima locale, cioè le condizioni di temperatura e d'umidità dell'atmosfera all'interno del bosco e che tale influenza essa può estendere soltanto alle sue immediate vicinanze. L'azione della foresta sul clima locale si concreta in una forte attenuazione della violenza del vento, nel ravvicinamento degli estremi di temperatura annua e soprattutto stagionale, nell'aumento dell'umidità atmosferica e in un lieve e non sempre constatato aumento delle precipitazioni acquee. Già Ippocrate attribuiva alla foresta la facoltà di conferire al clima un tipo più fresco e più umido, aumentando soprattutto la quantità di pioggia e migliorandone la distribuzione; tale asserzione, ripetuta attraverso i secoli, non è stata però sino a oggi confermata in modo indiscutibile. Comunque è probabile che, in grandi masse e sotto determinate condizioni, la foresta possa agire nel senso suindicato.

Ben più poderosa è però l'azione della foresta sulla circolazione idrica superficiale e sotterranea, in quanto riduce l'evaporazione del suolo e frena il ruscellamento delle acque, favorendone la penetrazione in profondità e perciò agendo beneficamente sulle sorgenti. L'attenuazione delle punte del deflusso idrico dovuta alla foresta conferisce alla medesima il cosiddetto "potere regimante" che, se non può del tutto impedire le inondazioni di potenza eccezionale, costituisce una delle più benefiche influenze che alla foresta debbono essere riconosciute. Del tutto incontrovertibile è poi il potere delle foreste di diminuire la portata solida dei corsi d'acqua, poiché, impedendo il ruscellamento e l'erosione del suolo, riduce al minimo il trasporto dei materiali nel letto dei fiumi. Basterebbe questo solo immenso beneficio, universalmente riconosciuto e documentabile, per giustificare la necessità di un'adeguata copertura forestale della montagna. Quanto alle condizioni igieniche, l'influenza della foresta va considerata a seconda delle varie formazioni forestali e dei vari climi. La foresta su litorali malarici ostacola il risanamento di queste plaghe, mentre è efficace per la difesa dal vento delle colture retrostanti. La foresta di montagna ha una benefica influenza per le già ricordate azioni sul clima locale, intensificando le ben note virtù terapeutiche del soggiorno in montagna. Le foreste resinose poi, con i loro balsamici effluvî, sono di riconosciuta utilità per le malattie dell'apparato respiratorio. (V. tavv. CXLV e CXLVI).

Bibl.: A. Di Berenger, Selvicoltura, Napoli 1887; W. Schimper, Pflanzengeographie auf physiologischer Grundlage, Jena 1908; H. Mayr, Waldbau auf naturgesetzlicher Grundlage, Berlino 1909; E. Rübel, Ökologische Pflanzengeographie, Jena 1913; H. Brockmann-Jerosch, Waldgrenze und Klimacharakter, Zurigo 1919; J. Pavillard, Espèces et associations, Montpellier 1920; K. Rubner, Die pflanzengeographischen Grundlagen des Waldbaus, Neudamm 1925; J. Pavillard, Les tendences actuelles de la phytosociologie, Montpellier 1927; E. De Martonne, Traité de géographie physique, Parigi 1927; J. Braun-Blanquet, Pflanzesoziologie, Berlino 1928; J. W. Toumey, Foundations of silviculture upon an ecological Basis, New York 1928; A. Dengler, Waldbau auf ökologischer Grudnlage, Berlino 1930.

Legislazione forestale italiana.

Unificata politicamente l'Italia, si presentò, anche per la materia forestale, il problema dell'unificazione legislativa. Questa però avvenne solo dopo 15 anni di continui tentativi di conciliazione delle più opposte tendenze e dopo l'avvento della Sinistra al governo della nazione. Ma la nuova legge (20 giugno 1877, n. 3917) si ridusse a dettare norme per conservare la stabilità del terreno e del regime delle acque più che per difendere e favorire la silvicoltura e gli altri fattori dell'economia montana. La successiva attività legislativa fu diretta a colmare queste deficienze. Dopo il vano tentativo del 1888 per incoraggiare il rimboschimento, la legge Luzzatti 2 giugno 1910, n. 277, mirò non solo a tutelare e difendere la silvicoltura, ma anche a costituire un apposito demanio forestale di stato. Poi fu la volta del pascolo: dopo un decreto-legge Cavasola del 6 maggio 1915, n. 589, ne venne uno Raineri del 4 ottobre 1917, n. 1605, nel quale bosco e pascolo furono considerati con particolare attenzione. Restava la coltura agraria di montagna, che, considerata come il concorrente più pericoloso del bosco e come la minaccia più grave per la stabilità del terreno, era stata sempre avversata e non aveva trovato incoraggiamenti. Il r. decr. 30 dicembre 1923, n. 3267, riformò e riordinò tutta la legislazione in materia di boschi e di terreni di montagna, ma fu ben presto oggetto di modificazioni e di aggiunte circa la misura delle pene pecuniarie, la conciliazione delle contravvenzioni, l'utilizzazione dei boschi non vincolati e la trasformazione di essi in altre qualità di coltura (r. decr. legge 3 gennaio 1926, n. 23); il pascolo delle capre e la restrizione di esso (r. decr. legge 16 gennaio 1927, n. 100; r. decr. 12 agosto 1927, n. 1768); nonché la gestione del demanio forestale dello stato (r. decr. legge 17 febbraio 1927, n. 324; r. decr. 12 agosto 1927, n. 1546). Con una parte del r. decr. 1926, furono mutati radicalmente i principî informatori di tutta la legislazione forestale italiana. Giacché, mentre questa si era ridotta a imporre delle limitazioni (vincoli) alla proprietà terriera, senza tener conto dell'esistenza o meno del bosco, solo quando il pubblico interesse di assicurare la stabilità del terreno e il regime delle acque lo richiedeva, o ai soli boschi, quando essi per la loro ubicazione potevano difendere terreni e fabbricati dalla caduta di valanghe, dal rotolamento di sassi, dal sorrenamento e dalla furia dei venti o potevano essere ritenuti utili all'igiene locale o alla difesa militare, il r. decr. legge precitato impose un particolare regime a tutti gli altri boschi rimasti fuori dalle predette categorie, per evitare che la nazione venisse ancora più depauperata delle sue risorse di legname.

Mettendo da parte le disposizioni relative ai pascoli montani, alla coltura agraria e soprattutto alla sistemazione idraulico-forestale dei bacini montani, per la quale lo stato si riserva un'azione intensa e diretta; tutto ciò che in materia di boschi è contenuto nella legislazione riguarda o le limitazioni generali al diritto di proprietà sui boschi, o la tutela economica e tecnica sui boschi dei comuni o di altri enti, o la gestione delle foreste demaniali dello stato, o, infine, gl'incoraggiamenti per accrescere il patrimonio silvano della nazione.

Le limitazioni al diritto di proprietà sono imposte per preservare la stabilità del terreno e la regolarità del regime delle acque (vincolo idrogeologico) e colpiscono non solo i boschi, ma tutti i terreni comunque coltivati che si trovino in una data altitudine e pendenza; o per difendere terreni e fabbricati dalla caduta di valanghe, dal rotolamento di sassi e simili o per assicurare al paese la maggiore possibile riserva di legname. I vincoli della prima categoria sono, oltre che dalla legge, regolati dal r. decr. 16 maggio 1926, n. 1126, e dalle prescrizioni di massima, e toccano fondi indicati in appositi elenchi (legge 1877) o per zone di bacini idrografici secondo la revisione ordinata dal r. decr. 1923 predetto; quelli della seconda sono imposti e regolati localmente caso per caso a richiesta degl'interessati; quelli della terza importano un controllo nell'esecuzione dei tagli dei boschi non gravati dalle precedenti limitazioni.

La tutela che lo stato esercita sul patrimonio boschivo dei comuni e di altri enti consiste in linea di massima nell'esigere che i piani dei tagli siano preparati o approvati dall'amministrazione forestale e possibilmente siano compilati sulla base di un piano economico di governo e di utilizzazione dei boschi già prima sottoposti all'approvazione dell'autorità forestale. Per meglio raggiungere questa forma di tutela lo stato dà dei contributi allo scopo di favorire la compilazione di detti piani e di incoraggiare gli enti interessati ad assumere, da soli o riuniti in consorzî, personale tecnico per la gestione diretta dei loro patrimonî silvani o per la costituzione di aziende speciali dei patrimonî stessi, e prevede altresì l'ipotesi della formazione di distretti amministrativi per la gestione da parte dell'amministrazione forestale dei beni suddetti.

L'azienda delle foreste demaniali (r. decr. legge 17 febbraio 1927, n. 324) ha per scopo di conservare, ampliare e migliorare il patrimonio forestale dello stato e di sviluppare le attività utili per l'incremento e il miglioramento dell'economia delle regioni boschive. Essa è considerata come un ente autonomo avente rappresentanza e amministrazione proprie (r. decr. 12 agosto 1927, n. 1546), che agisce sotto il controllo contabiìe di un ufficio speciale della Corte dei conti. Gl'incoraggiamenti alla silvicoltura sono costituiti innanzi tutto dall'assistenza e consulenza tecnica da parte dell'amministrazione forestale, da esenzioni fiscali, da contributi dello stato nelle spese d'impianto di nuovi boschi e di ricostruzione di boschi estremamente deteriorati, e dalla concessione di mezzi giuridici per agevolare e sorreggere l'opera dei singoli.

La Milizia forestale. - Istituita con r. decr. legge 16 maggio 1926, n. 1066, convertito nella legge 9 giugno 1927, n. 1156 (in parte modificato con l'altro decreto 13 dicembre 1928, n. 3141), oltre a provvedere all'amministrazione delle foreste demaniali, al miglioramento e allo sviluppo dei pascoli e dei boschi in generale e alla tutela del patrimonio silvo-pastorale dei comuni e di altri enti, deve curare, per la parte forestale, la sistemazione dei bacini montani, nonché esercitare la sorveglianza sulla caccia, sulla pesca, sui tratturi e sulle trazzere, organizzare il servizio di mobilitazione forestale e concorrere nei servizî di pubblica sicurezza e di polizia militare (v. milizia).

Bibl.: R. Trifone, Concetto e limiti del diritto forestale, in Annali R. Istituto forestale di Firenze, V (1920); id., La legislazione forestale nelle terre redente, a cura dell'Istituto predetto, 1919; id., Precedenti storici del sistema italiano del vincolo forestale, in Atti I Convegno tecnico-forestale italiano, Firenze 1922; id., La consuetudine come fonte del diritto forestale, in Rivista di diritto agrario, 1922; id., I Consorzi nel campo forestale, ibid., 1923; id., I criteri informativi della nuova legge sui boschi e i terreni di montagna, in Problemi italiani, I, 1922; A. Serpieri, Lo stato, gli altri enti e i privati nelle attività forestali, in Atti IV Congresso forestale italiano e I dei probelmi idraulici della montagna, Udine 1923; id., Direttive e modalità della politica forestale italiana, in Annali Istituto sup. forestale, VIII, 1923. Inoltre gli scritti pubblicati nella rivista Italia forestale, Firenze 1926 e nella rivista Alpe.

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