Forma degli atti giuridici

Diritto on line (2014)

Alessandro Saccomani

Abstract

Vengono sinteticamente esaminate le diverse nozioni di “forma”, con specifico riguardo agli atti giuridici ed ai loro elementi, nonché in rapporto sia con il principio generale di libertà delle forme, sia con i vincoli – normativi o volontari – ad substantiam, ad probationem e ad regularitatem.

Le nozioni di ‘forma’

Il termine ‘forma’ non individua un concetto giuridico puro, trovando differenti usi, significati e nozioni sia nel linguaggio comune, sia in quello proprio di pressoché tutte le scienze, tecniche ed arti (per una raffinata ed approfondita analisi storica, scientifica e semantica, si veda Ormanni, A., Forma del negozio giuridico, in Nss.D.I., VII, Torino, 1961, 556 ss. e Giorgianni, M., Forma degli atti, in Enciclopedia del Diritto, Milano, 1968, 988 ss.).

In ambito giuridico, con il termine ‘forma’ si indica – in estrema sintesi – sia il modo e/o la figura esteriore con cui l’atto giuridico si presenta, sia il mezzo con cui il contenuto di un atto è immesso nell’intersoggettività giuridica; attraverso la forma, la volontà, da mero fenomeno psichico, si sostanzia in atto giuridico, e – unitamente a quest’ultimo – diviene riconoscibile agli altri consociati (Betti, E., Teoria generale del negozio giuridico, Napoli, 2002, 125 ss.).

Il termine ‘forma’ è dunque essenzialmente riconducibile (i) all’aspetto manifestativo dell’atto, che mantiene autonoma rilevanza rispetto al cd. ‘contenuto sostanziale’, ovvero (ii) alle modalità attraverso cui l’atto deve essere compiuto per spiegare certi effetti, o al mezzo espressivo mediante il quale l’esistenza, la validità, l’efficacia e/o finanche il contenuto dell’atto devono trovare riscontro (Palazzo, A., Forme del negozio giuridico, in Dig. civ., VIII, Torino, 1992, 442 ss.; Ormanni, A., Forma del negozio giuridico, in Nss.D.I., VII, Torino, 1961, 555 ss.).

Per quel che concerne la prima accezione (i), la ‘forma’ è la manifestazione dell’atto, e quindi rappresenta l’essenza stessa della sua esistenza, talvolta finanche coincidendo proprio con il “tipo giuridico” che appunto si formalizza (Betti, E., Teoria generale del negozio giuridico, Napoli, 2002, 125 ss.; Santoro Passarelli, G., Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1966, 135 ss.; Scognamiglio, R., Contributo alla teoria del negozio giuridico, Napoli, 2008, 219 ss.). Per quel che concerne la seconda accezione (ii), la ‘forma’ è invece un requisito che deve essere soddisfatto affinché l’ordinamento giuridico riconosca validità ed efficacia all’atto compiuto, ovvero alla prova del suo perfezionarsi e/o del suo contenuto (Di Giovanni, F., La forma, in Gabrielli, E., a cura di, I contratti in generale, II, Torino, 2006, 887 ss.).

Siffatte nozioni sono concettualmente autonome, ma risultano intimamente connesse, anche considerato – da un lato – che ogni atto giuridico per venire ad esistenza deve avere una forma e – dall’altro – che la scelta della forma mediante la quale perfezionare un atto incide anche sulla validità e sugli effetti che quell’atto produce e/o può spiegare (Palazzo, A., Forme del negozio giuridico, in Dig. civ., VIII, Torino, 1992, 442 ss.; Venosta, F., Sub art. 1350 c.c., in Alpa, G.–Mariconda, V., a cura di, Codice Civile Commentato, Milano, 2009, 633 ss.).

Il principio di libertà delle forme

In ossequio al cd. ‘principio di liberta delle forme’, che trova fondamento – da un lato – nell’autonomia negoziale e – dall’altro – nel combinato disposto degli artt. 1325 e 1350 c.c., gli atti giuridici si perfezionano, sono validi ed efficaci qualunque sia la forma mediante la quale sono stati compiuti, fatte salve le fattispecie rispetto alle quali la legge ne stabilisce una determinata (e principalmente quella scritta) a pena d’invalidità, ovvero anche al fine di raggiungere specifiche finalità e/o di spiegare certi effetti.

La previsione ex lege di vincoli formali costituirebbe «una deroga penetrante – non solo [appunto] al principio della libertà di forme … – ma alla stessa autonomia privata, posto che … [l’imposizione di una] … forma non solo condiziona il sorgere dell’atto, ma viene altresì ad impedire che le parti possano eseguirlo, confermarlo, ovvero accertarlo. Il sistema dovrebbe essere perciò inteso come veramente eccezionale, cosicché non dovrebbe indulgersi alla tendenza di estenderlo al di là dei casi effettivamente disciplinati …»; di conseguenza, siffatta natura eccezionale delle norme che richiedono una specifica forma in relazione al compimento di atti giuridici comporterebbe il divieto «… non solo … [del] … ricorso all’analogia, ma anche all’interpretazione estensiva, che costituisce … un comodo scudo per eludere il discorso dell’art. 14 disp. prel.» (Giorgianni, M., Forma degli atti, in Enc. dir., Milano, 1968, 988 ss.).

A tal riguardo, si è però evidenziato che l’ordinamento giuridico non prevedrebbe una norma positiva in ossequio alla quale vi è libera scelta circa la forma e dunque non si potrebbero qualificare come eccezionali le disposizioni che stabiliscono forme specifiche per determinati atti e/o negozi giuridici. In altri termini, l’art. 1325 c.c. esprimerebbe due norme: «L’una descrive una fattispecie debole, risultante dalla combinazione di tre requisiti (accordo, causa, oggetto); l’altra una fattispecie forte, risultante dalla combinazione di quattro requisiti (accordo, causa, oggetto, forma)». Pertanto, la norma di cui all’art. 1325, n. 4, c.c. sarebbe unica ed esclusiva, dal momento che l’altra «norma descrittiva del modello di fattispecie debole non è una norma sulla forma: ed infatti essa elenca accordo, causa ed oggetto».

In una simile prospettiva, «non si danno dunque due norme sulla forma – l’una regolare, l’altra eccezionale –; ma una sola norma, la quale, in se considerata, non è nè regolare nè eccezionale. Mancando il termine di raffronto, la norma non può assumere alcuna qualifica di relazione: non si paragona ad altre, e così rimane una tra le norme dell’ordinamento. Nella descrizione legislativa della fattispecie debole (accordo–causa–oggetto), non c’è una norma sulla libertà di forma, ma pure assenza di una norma sulla forma (tabula absentiae)». Di conseguenza, da un lato, l’art. 1325, n. 4, c.c., non essendo qualificabile come norma eccezionale, «non si [sottrarrebbe] né all’analogia legis, né all’analogia juris», e, dall’altro, il principio dell’autonomia privata di cui all’art. 1322 c.c. resterebbe «circoscritto … nella determinazione del contenuto del contratto», e quindi non regolerebbe la scelta della ‘forma’ (Irti, N., Idola libertatis. Tre esercizi sul formalismo, Milano, 1985, 19 ss.).

Tuttavia, non deve trascurarsi che, ai sensi e per gli effetti del combinato disposto degli artt. 1325 e 1350 c.c., qualsiasi forma – di per sé ed in via generale – consente di perfezionare un valido ed efficace atto giuridico; quindi, la norma positiva che statuisce il principio della liberta delle forme si ricava da quanto previsto dall’art. 1325, nn. 1, 2 e 3, c.c., con cui si «allevia [anche] l’onere della forma» di cui all’art. 1325, n. 4, c.c. In altri termini, « In ordine alla forma, [l’ordinamento] ne ha imposto l’onere, ma alleviandolo con la norma implicitamente ammissiva della libertà della stessa forma» (De Cupis, A., Sul contestato principio di libertà delle forme, in Riv. dir. civ., 1986, II, 204 ss.).

L’art. 1325 c.c. (anche appunto in combinato disposto con l’art. 1350 c.c.) esprime allora due norme, di cui (1) una «prevede quale requisito del contratto la forma, quando questa è prevista a pena di nullità» e (2) l’altra «che, non prevedendo il requisito della forma, (implicitamente) lo esclude in tutti gli altri casi ». Il reciproco rapporto tra le due predette norme è dunque manifesto: « Da una parte quella espressa sub 2) che, riferendosi alla generalità dei contratti (mentre … l’altra riguarda soltanto quelli in cui la forma è disciplinata sotto pena di nullità, e perciò contiene certamente una previsione più limitata, rispetto alla prima), rappresenta la regola; dall’altra quella indicata sub 1), che rappresenta l’eccezione, risultando altresì la sua natura derogatoria dalla circostanza che essa comprende un ulteriore e “specificativo” elemento rispetto a quelli che ha in comune con la fattispecie dell’altra norma più ampia e generale, alla quale è perciò subordinata» (Grasso, B., La forma tra «regola» ed «eccezione» (a proposito di un libro recente), in Riv. dir. civ., 1986, 52 ss.).

Del resto, se si pone l’attenzione sull’interrelazione tra tutela dell’autonomia privata, elementi dell’atto giuridico da perfezionare, ed interessi coinvolti o perseguiti (Guastini, R., In tema di libertà delle forme (a proposito di un libro recente), cit., 541 ss.), si osserva come la forma legale eventualmente prevista dall’ordinamento trovi ricorrente fondamento in rapporto con le peculiari qualità dei soggetti, ovvero con alcune tipologie di natura, oggetto, effetti e/o finalità dell’atto (Perlingeri, P., Forme dei negozi e formalismo degl'interpreti, Napoli, 1987, 322 ss.). L’art. 1325, n. 4, c.c. rappresenta dunque un «frantume di norma che si integra e si colora di volta in volta dalla disciplina del singolo atto» (Perlingeri P., Forme dei negozi e formalismo degl'interpreti, Napoli, 1987, 45 ss.).

Inoltre, poiché l’autonomina privata è tradizionalmente uno tra i principi cardine e fondamentali dell’ordinamento, deve ritenersi che se vi è piena libertà rispetto al contenuto di un atto, la medesima libertà deve anche riguardare la scelta del ‘contenente’ più idoneo per perseguire appunto gli interessi che in esso si formalizzano (Palazzo, A., Forme del negozio giuridico, cit., 444 ss.; Ferri, G.B., Forma e autonomia negoziale, in Q, 1987, 322 ss.).

In una prospettiva sistematica che tenga conto anche dei profili applicativi del diritto, il contrasto tra i due orientamenti sopra sintetizzati risulta comunque molto più sfumato e meno critico; invero, deve sottolinearsi – da un lato – che alcune norme che prevedono forme vincolate sono comunemente oggetto d’interpretazione estensiva e/o di applicazione analogica (Sacco, R., in Sacco, R.–De Nova, G., Il contratto, I, Torino, 2004, 709 ss.; Vitucci, P., Applicazioni e portata del principio di tassatività delle forme solenni, in AA.VV., La forma degli atti nel diritto privato. Studi in onore di Michele Giorgianni, Napoli, 1988, 809 ss.), e, dall’altro, che la diatriba tra le due predette posizioni – oltrepassato il velo delle enunciazioni di principio – si risolve essenzialmente nell’impiego consapevolmente equivoco del termine ‘forma’, che, se inteso come modalità della manifestazione della volontà, riguarda una caratteristica di ogni atto, rispetto alla quale ha senso non la qualificazione di ‘libera’, ma piuttosto quella di ‘espressa’ o ‘concludente’ (Benedetti, G., La categoria generale del contratto, in Riv. dir. civ., 1991, I, 658 ss.; Venosta, F., La forma dei negozi preparatori e revocatori, Milano, 1997, 43 ss.), e che, se inteso come ‘contenente’ dell’atto da perfezionare (Modica, L., Vincoli di forma e disciplina del contratto. Dal negozio solenne al nuovo formalismo, Milano, 2008, 15 ss.; Prosperi, O., Forme complementari e atto recettizio, in Riv. dir. comm., 1976, I, 196 ss.), si sostanzia appunto nella cd. ‘forma vincolata’ stabilita da specifiche norme per determinate fattispecie (Addis, F., Lettera di conferma e silenzio, Milano, 1999, 14 ss.; Cian, G., Forma solenne e interpretazione del negozio, Padova, 1969, 2, 8 ss.), che – di per sé ed in via generale – non si contrappone come eccezione a quella libera e dunque può tendenzialmente trovare applicazione analogica e/o interpretazione estensiva, purché ovviamente sia rinvenibile una eadem ratio (Irti, N., Replica ai difensori degli Idola Libertatis, in Irti, N., a cura di, Studi sul formalismo negoziale, Padova, 1997, XIV ss.).

In quest’ottica, perde interesse e valore dissertare sul rapporto tra il principio della liberta delle forme e le disposizioni che impongono forme per certi atti in termini di regola ed eccezione (Cataudella, A., I contratti. Parte generale, Torino, 2000, 102 ss.), acquisendo invece risalto ed importanza il ricollegare la forma vincolata agli effetti dell’atto assoggettato alla previsione formale; del resto, le previsioni ex lege di forme ad substantiam hanno origine in relazione agli effetti che certi atti sono destinati a produrre e/o agli interessi da questi perseguiti o sui quali possono potenzialmente incidere (Modica, L., Vincoli di forma e disciplina del contratto, cit., 23 ss. Contra Giorgianni, M., Forma degli atti, cit., 988 ss.).

Infatti, da un’attenta lettura delle decisioni giurisprudenziali in materia, a fronte di una pacifica adesione al principio di libertà delle forme, si rileva come – esaminando le singole fattispecie oggetto di pronuncia – si ricavano altre e diverse argomentazioni, tendenzialmente ricollegate con gli effetti perseguiti dall’atto e/o con peculiari esigenze di certezza e/o tutela ad essi correlati, per cui consegue o viene negata l’applicazione analogica, ovvero l’interpretazione estensiva delle norme che impongono forme vincolate. Ad esempio, la Corte di Cassazione ha precisato sia che «le norme che prevedono che determinati contratti o atti debbano essere realizzati con determinate forme sono di stretta interpretazione, insuscettibili, cioè, di applicazione analogica» (Cass., S.U., 22.3.1995, n. 3318), sia che «la forma scritta (a pena di nullità) ai sensi dell'art. 1351 … trova applicazione analogica» (Cass., 17.9.1981, n. 5144) in relazione a fattispecie «sostanzialmente» equiparabili (Cass., 9.5.2011, n. 10163).

Quindi, sebbene il principio di libertà delle forme rappresenti uno tra i pilastri fondamentali dell’ordinamento giuridico, va progressivamente delineandosi un marcato formalismo, che – in relazione agli effetti perseguiti o a peculiari esigenze di certezza e/o tutela, tendenzialmente riconducibili a principi altrettanto fondamentali – vincola il valido ed efficace perfezionarsi di determinati atti ad una certa forma, sia in forza di norme di legge, sia sulla base dell’applicazione analogica e/o dell’interpretazione estensiva di previsioni disciplinanti altre fattispecie (Roppo, V., Il contratto, Milano, 2001, 220 ss.; Bianca, C. M., Diritto civileIl contratto, III, Milano, 2000, 278 ss.; Sacco R., in Sacco, R.–De Nova, G., Il contratto, I, Torino, 2004, 574 ss.).

A tal proposito, occorre evidenziare che le disposizioni normative che impongono specifiche forme per il compimento di alcuni atti possono – in estrema sintesi e fatte salve le ipotesi di forma ad probationem o ad regularitatem – essere ricondotte a due ampie categorie: a) vi «sono … dei casi in cui, supposto uno standard medio di certezza univocità e ponderazione, raggiungibile anche senza l’ausilio della forma, il legislatore ritiene che tale standard debba essere reso più elevato, in considerazione di svariate circostanze», quali «l’importanza o la particolare natura degli effetti del negozio, in quanto ad esempio riguardino diritti reali immobiliari, con riferimento ai quali concorrono anche esigenze pubblicitarie», o «la durata di tali effetti (ad es., nel sistema del Codice, locazione immobiliare ultranovennale; rendita perpetua o vitalizia)», o «la loro particolare importanza, intensità o complessità (ad es., artt. 162, 782, 918, 1284, 1978, 2096, 2125)», o «le qualità soggettive dei contraenti (ad es., pubblica amministrazione)» (Venosta, F., Sub art. 1350 c.c., cit., 633 ss.), o il tipo di atto da perfezionare (Di Giovanni, F., Il tipo e la forma, Padova, 1992); b) vi «sono poi altri casi in cui il vincolo di forma opera, per così dire, in senso opposto», ossia non «nel senso di innalzare lo standard di certezza univocità e ponderazione rispetto a quello che è reputato sufficiente in via generale, bensì nel senso di compensare una situazione nella quale, in assenza della forma, non sarebbe raggiungibile neppure quello standard minimo che si reputa necessario perché l'ordinamento possa sanzionare giuridicamente l'assunzione di un vincolo, anche se di non eccezionale rilevanza economico–sociale …» (Venosta, F., Sub all’art. 1350 c.c., cit., 633 ss.), come – ad esempio – nel cd. “diritto dei consumatori” (ex multis Alpa, G., Il diritto dei consumatori, Roma–Bari, 2002; Roppo, V., Contratto di diritto comune, contratto del consumatore, contratto con asimmetria di potere contrattuale: genesi e sviluppi di un nuovo paradigma, in Riv. dir. priv., 2001, 769 ss.; Ghidini, G.–Cerasani, C., Consumatore (tutela del), in Enc. dir. – Aggiornamento, Milano, 2000, V, 275 ss.)

Forma ad probationem

In relazione a certi atti (prevalentemente negoziali), il diritto positivo stabilisce peculiari vincoli formali non affinché essi possano validamente ed efficacemente perfezionarsi (cd. forma ad substantiam), ma affinché di essi possa essere offerta compiuta prova, laddove insorgano controversie che debbano essere risolte in via giurisdizionale (cd. forma ad probationem). In altri termini, gli atti rispetto ai quali è richiesta una determinata forma ad probationem esistono e sono validi ed efficaci anche laddove non formalizzati in ossequio ai requisiti previsti dalla legge; tuttavia, di essi e del loro contenuto – laddove ovviamente siano formulate contestazioni al riguardo – non potrà fornirsi adeguata e compiuta prova giudiziale (salvo che per confessione ex artt. 2730 e 2735 c.c., o giuramento ex art. 2739 c.c.), venendo pertanto meno la loro concreta tutelabilità remediale. Ad esempio, è prevista la forma scritta ad probationem per il contratto di assicurazione (art. 1888 c.c.), per il patto di non concorrenza tra imprenditori (art. 2596 c.c.), per il trasferimento di azienda commerciale (art. 2556 c.c.) e - fatti salvi i casi in cui è richiesta quella ad substantiam ex art. 1350, n. 12, c.c. - per la transazione (artt. 1965 e 1967 c.c.).

A tal proposito, occorre altresì evidenziare che, per le fattispecie – come il contratto di lavoro in prova ex art. 2096 c.c. – per cui il diritto positivo non stabilisce espressamente se i vincoli di forma siano previsti ad subsantiam o ad probationem, sembra doversi tendenzialmente preferire la prima accezione (Cass., 19.6.1985, n. 3699), sempre ovviamente che le peculiari caratteristiche riscontrabili in simili ipotesi non consentano di propendere per la seconda (Galgano, F., Il negozio giuridico, in Tratt. Cicu-Messineo-Mengoni, 1988, III, 1, 120 ss.). Invero, anche secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, «la forma … costituisce elemento essenziale per la validità dell'atto, in difetto di disposizione che ne preveda la rilevanza solo sul piano probatorio» (Cass., S.U., 30.12.1999, n. 943).

Forma vincolata, accidentalia ed essentialia

I vincoli di forma previsti ad substantiam riguardano tendenzialmente solo gli elementi essenziali degli atti (Bianca, C. M., Diritto civileIl contratto, III, Milano, 2000, 283 ss.; in giurisprudenza, ex multis, Cass., 27.2.2008, n. 5197; Cass., 25.6.2005, n. 13703; Cass., 21.6.1999, n. 6214; Cass., 16.1.1996, n. 301; Cass., 13.3.1992, n. 3048; Cass., 18.10.1988, n. 5663; Cass., 24.6.1982 n. 3839).

In altri termini, il requisito di forma stabilito per il perfezionarsi di un certo atto risulta soddisfatto allorché tutti i suoi elementi essenziali e le loro successive modificazioni (Cass., 13 ottobre 1982, n. 5290; Cass., 11 luglio 1989, n. 3266) rispettino siffatta imposizione, eventualmente anche mediante un’idonea clausola di rinvio (Nicolò, R., La relatio nei negozi formali, in Riv. dir. civ., 1972, I, 117 ss.); quelli non essenziali possono invece ‘formalizzarsi’ liberamente (Cass., 25.6.2005, n. 13703; Cass., 27.11.1986, n. 6990).

Forma vincolata, atti preparatori ed atti accessori

La legge dispone espressamente che determinati atti preparatori e/o accessori, come ad esempio il contratto preliminare (art. 1351 c.c.), la procura (art. 1392 c.c.), la dichiarazione di nomina e l’accettazione della persona nominata nel contratto per persona da nominare (art. 1403 c.c.), devono perfezionarsi con la medesima forma prevista per compiere l’atto principale cui fanno riferimento. Siffatta regola trova applicazione estensiva a tutte quelle ipotesi che possono, anche per analogia, ricondursi alle fattispecie disciplinate dalla legge, come ad esempio in relazione al contratto preliminare unilaterale (Cass., 21.1.1987, n. 529), alla promessa unilaterale (Cass., 17.9.1981, n. 5144), al «mandato, con o senza rappresentanza … ad acquistare [o] a vendere beni immobili» (Cass., 24.1.2003, n. 1137; contra 10.11.2000, n. 14637; Cass., 30.5.2006, n. 12848), al negozio fiduciario (Cass., 9.5.2011, n. 10163; Cass., 7.4.2011, n. 8001; Cass., 13.4.2001, n. 5565), al patto di opzione (Cass., 13.12.1994, n. 10649; Cass., 11.10.1986, n. 5950), al contratto di prelazione (Cass., 24.3.1998, n. 3091; Cass., 13.5.1982, n. 3009), alla contemplatio domini (Cass., 23.7.2009, n. 17346; Cass., 13.4.2005, n. 7640; Cass., 30.1.2007, n. 1959) ed alla ratifica (Cass., 16.11.2006, n. 24371); restano invece sciolti da ogni vincolo formale la procura a compiere atti non negoziali (Cass., 16.8.1993, n. 8711), il mandato ad accertare i confini di un fondo (Cass., 27.9.1993, n. 9727) e quello «senza rappresentanza, sottostante ad una interposizione reale ovvero ad un negozio fiduciario, aventi per oggetto la costituzione di una società di capitali» (Cass., 2.7.1990, n. 6764), nonché «l'accordo preliminare diretto alla cessione di cubatura» (Cass., 24.9.2009, n. 20623).

Forma vincolata, atti revocatori, atti risolutori ed atti estintivi

Il vincolo di forma imposto dalla legge per perfezionare determinati atti si estende anche a tutti quelli che latu sensu ne determinano la risoluzione, il recesso, la cessazione, l’estinzione, la revoca e/o la rinuncia (Venosta, F., La forma dei negozi preparatori e revocatori, cit., 200 ss.; Breccia, U., La forma, Milano, 2006, 669 ss. In giurisprudenza, ex multis, Cass., S.U., 28.8.1990, n. 8878; Cass., 6.4.2009, n. 8234; Cass., 27.11.2006, n. 25126; Cass., 4.7.2006, n. 15264; Cass., 19.10.1998, n. 10328 e Cass., 15.5.1998, n. 4906; Cons. St., sent. 3.2.1996, n. 97).

Forma vincolata, atti ripetitivi ed atti ricognitivi

In relazione agli atti per i quali la legge impone una certa forma, occorre anche rilevare che siffatti vincoli possono ritenersi rispettati laddove il richiesto “contenente” formalizzi l’estrinsecazione della volontà di compiere quel determinato atto, oltre – solo qualora sia normativamente richiesto – all’impiego di particolari parole, termini e/o formule (come ad esempio ‘cambiale’ ex artt. 1 e 2 dell’allegato al R.D. n. 1669 del 14.12.1933, ed ‘assegno bancario’ ex artt. 1 e 2 dell’allegato al R.D. n. 1736 del 21.12.1933). Quindi, deve ritenersi che gli atti ripetitivi e ricognitivi di un atto non perfezionato rispettando i vincoli di forma previsti dalla legge per la sua validità e/o efficacia, anche se soddisfano i requisiti formali richiesti per quest’ultimo e addirittura ne ripetono e/o reiterano il contenuto, non valgono a sanare il relativo vizio di forma, ma piuttosto, a tutto voler concedere e purché ne contengano tutti gli elementi essenziali, possono loro stessi costituire il compimento di quel certo atto (Cass., 7.4.2005, n. 7274; Cass., 18.4.1994, n. 3706; Cass., 13.10.2004, n. 20198).

Forma volontaria o convenzionale

L’art. 1352 c.c. consente di stabilire (per iscritto) la forma con la quale devono perfezionarsi futuri atti, pure unilaterali (ex multis Cass., 9.8.2012, n. 14343; Cass., 13.7.2001, n. 9554; Cass., 12.6.1998, n. 5922), e prevede che - laddove non sia diversamente pattuito – i vincoli di forma convenzionali debbano presumersi come requisiti da soddisfare ad substantiam.

Siffatta norma sembra dunque avere portata prevalentemente esegetica (Cass., 11.3.2004, n. 5024; Cass., 28.4.1998, n. 4347; Cass., 28.11.1994, n. 10121; Cass., 19.10.1983, n. 6142), poiché impone una certa interpretazione “oggettiva” del patto sulla forma, per il caso in cui la ricostruzione del significato di tale accordo non possa emergere mediante il ricorso ai criteri d’interpretazione “soggettiva” ex artt. 1362 – 1365 c.c. (Liserre, A.–Jarach, A., La forma, in Tratt. Bessone, XIII, t. III, Torino, 1999, 472 ss.; Favale, R., Forme extralegali e autonomia negoziale, Napoli, 1994, 161 ss. In giurisprudenza, Cass., 11.3.2004, n. 5024; Cass., 28.4.1998, n. 4347; Cass., 22.3.1967, n. 639. Contra Di Giovanni, F., La forma, in Gabrielli, E., a cura di, I contratti in generale, II, Torino, 2006, 806 ss.; Roppo, V., Il contratto, cit., 248 ss.).

Invero, «se la volontà è esplicita non vi è materia per alcuna presunzione, e siamo a ben vedere fuori del campo di applicazione della norma; se invece non è esplicita, essa va accertata secondo i comuni criteri ermeneutici soggettivi; se poi anche questi non sono sufficienti sopravviene l’art. 1352, il quale fissa in via presuntiva il significato legale della clausola, ma anche questa operazione appartiene in definitiva all’interpretazione, in quanto una presunzione che può essere vinta solo con l’utilizzo di (diversi) criteri interpretativi non può non avere, anch’essa, natura interpretativa», anche considerando che il «“fatto” che deve essere provato per vincere la presunzione non è che una volontà delle parti volta ad attribuire alla clausola un significato diverso da quello che risulterebbe dalla presunzione», eventualmente pure mediante il ricorso alla prova per testi avente ad oggetto non l’esistenza del patto (Cass., 24.6.2002, n. 9164), bensì «il significato di un accordo scritto» (Venosta, F., Sub art. 1352 c.c., cit., 690 ss.).

Per quel che concerne i rapporti dell’art. 1352 c.c. con i criteri d’interpretazione oggettiva ex artt. 1367 – 1371 c.c., pare doversi ritenere che l’applicazione del primo escluda – anche quale norma speciale – quella degli altri (Liserre, A.–Jarach, A., La forma, cit., 73 ss.; Bianca, C. M., Diritto civileIl contratto, cit., 298 ss.; Favale, R., Forme extralegali e autonomia negoziale, cit., 192 ss.).

Quanto agli effetti del patto sulla forma, mentre non sembrano porsi problemi con riguardo alle ipotesi d’intese volte ad imporre certi vincoli formali ad probationem, ovvero per altre specifiche finalità (Cass., 29.1.1988, n. 833; Cass., 27.3.1982, n. 1922), occorre rilevare che è controverso in dottrina (cfr., per il riepilogo delle diverse opinioni, Venosta, F., Sub art. 1352 c.c., cit., 690 ss.) se l’atto compiuto in violazione del formalismo convenzionale ad substantiam sia invalido (Perlingeri, P., Forme dei negozi e formalismo degl'interpreti, cit., 145 ss.; Giorgianni, M., Forma degli atti, in Enciclopedia del Diritto, Milano, 1968, 1003 ss.; Breccia, U., La forma, cit., 644 ss.), nullo (Messineo, F., Contratto (diritto privato – teoria generale), in Enc. dir., Milano, 1961, 841 ss.; Maffeis, D., Autonomia privata, formalismo volontario e nullità del contratto, in Contratti, 1996, 418 ss.), inefficace (Liserre, A.–Jarach, A., La forma, cit., 477 ss.; Bianca, C. M., Diritto civileIl contratto, III, Milano, 2000, 299 ss.), o addirittura inesistente (Scognamiglio, R., Sub art. 1352 c.c., Comm. Scialoja-Branca, Bologna–Roma, 1970, 459 ss.; Mirabelli, G., Dei contratti in generale, in Comm. c.c., IV, 1, Torino, 1980, 191 ss.). La dottrina maggioritaria tendenzialmente esclude la rilevabilità d’ufficio e la legittimazione dei terzi a far valere il vizio dell’atto stipulato in violazione del patto sulla forma (Nuzzo, M., Sulla rilevabilità d’ufficio del difetto di forma convenzionale, in Giust. Civ., 1980, 2239 ss.; Benedetti, A. M., Autonomia privata procedimentale, Torino, 2002, 348 ss.; Scognamiglio, R., Sub art. 1352 c.c., Comm. Scialoja-Branca, cit., 459 ss. Contra Maffeis, D., Autonomia privata, formalismo volontario e nullità del contratto, in Contratti, 1996, 418 ss.).

La giurisprudenza è essenzialmente concorde nel qualificare come nullo (Cass., 9.2.1980, n. 909; Cass., 13.7.2001, n. 9554; Cass., 12.6.1998, n. 5922; Cass., Cass., civ. 13.1.1988, n. 148; Cass., 22.12.1987, n. 9587) il contratto e/o l’atto stipulato in violazione del patto di forma ad substantiam, purché non possa rinvenirsi una modifica, rinuncia e/o revoca ai vincoli formali convenzionalmente stabiliti (Cass., 14.4.2000, n. 4861; Cass., 9.1.1991, n. 100; Cass., 22.2.1990, n. 1306), anche sulla base di comportamenti concludenti (Cass., 22.3.2012, n. 4541; Cass., 5.10.2000, n. 13277; Cass., 22.8.2003, n. 12344; Cass., 14.5.1996, n. 4471; Cass., 22.1.1988, n. 499; Cass., 6.11.1982, n. 5839; Cass., 9.2.1982, n. 766. Contra Cass., 14.4.2000, n. 4861).

Per quel che concerne la forma dell’accordo ex art. 1352 c.c., quest’ultima norma stabilisce che il patto deve essere formalizzato per iscritto: a) ad substantiam e dunque a pena di nullità, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale (ex multis Cass., 24.6.2002, n. 9164; Cass., 14.4.2000, n. 4861; Cass., 5.10.2000, n. 13277. Contra Cass., 8.8.1997, n. 7354); b) affinché possa operare la presunzione di legge di cui al medesimo art. 1352 c.c., secondo dominante dottrina (Verdicchio, V., Forme volontarie ed accordo contrattuale, Napoli, 2002, 355 ss.; Perlingeri, P., Forme dei negozi e formalismo degl'interpreti, cit., 151 ss. Contra Benedetti, A. M., Autonomia privata procedimentale, Torino, 2002, 353 ss.; Favale, R., Forme extralegali e autonomia negoziale, cit., 341 ss.).

Forma integrativa ad regularitatem

Alcuni vincoli di forma disposti dalla legge in relazione al compimento di peculiari atti giuridici sarebbero previsti non ad substantiam, nè ad probationem, bensì ad regularitatem, ossia affinché siano raggiunte specifiche finalità e/o perseguiti determinati ulteriori effetti. Ad esempio: a) la forma solenne per la costituzione di associazioni e fondazioni ex art. 14 c.c. sarebbe stabilita per ottenere lo status di ‘persona giuridica’ (Galgano, F., Delle associazioni non riconosciute e dei comitati, in Comm. Scialoja-Branca Scialoja, Bologna–Roma, 1967, 141 ss.); b) la forma scritta ex art. 1524 c.c. sarebbe stabilita per l’opponibilità del patto di riservato dominio ai creditori dell’acquirente (Liserre, A., Forma degli atti, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988, 2 ss.); c) la forma scritta ex art. 2787 c.c. sarebbe stabilita per la prelazione del creditore pignoratizio in relazione ad un credito di importo superiore ad € 2,58, ossia per l'opponibilità rispetto ai terzi creditori o aventi causa (Giorgianni, M., Forma degli atti, cit., 999 ss.); d) la forma scritta con autentica notarile delle sottoscrizioni dell’atto di trasferimento delle partecipazioni di società a responsabilità limitata ex art. 2470 c.c. sarebbe stabilita per consentirne il deposito (entro trenta giorni ed a cura del notaio autenticante) presso l'Ufficio del Registro delle Imprese (Stolfi, G., Appunti sull'art. 2479 c.c., in Giust. Civ., 1973, I,1, 539 ss.; Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, Circolare n. 15/IR, 22.2.2010, 3 ss.).

Fonti normative

Art. 14 disp. prel. c.c.; art. 14 c.c.; art. 162 c.c.; art. 782 c.c.; art. 918 c.c.; art. 1284 c.c.; art. 1322 c.c.; art. 1325 c.c.; art. 1350 c.c.; art. 1351 c.c.; art. 1352 c.c.; artt. 1362 – 1365 c.c.; artt. 1367 – 1371 c.c.; art. 1392 c.c.; art. 1403 c.c.; art. 1524 c.c.; art. 1888 c.c.; art. 1965 c.c.; art. 1967 c.c.; art. 1978 c.c.; art. 2096 c.c.; art. 2125 c.c.; art. 2470 c.c.; art. 2479 c.c.; art. 2556 c.c.; art. 2596 c.c.; art. 2730 c.c.; art. 2735 c.c.; art. 2739 c.c.; art. 2787 c.c.; artt. 1 e 2, allegato al R.D. n. 1669 del 14.12.1933; artt. 1 e 2, allegato al R.D. n. 1736 del 21.12.1933.

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