Forma

Universo del Corpo (1999)

Forma

Harry Manelli
Manfredo Massironi

Forma (dal latino forma, greco μορϕή) indica in linea generale l'aspetto esteriore con cui si configura ogni oggetto corporeo o fantastico o una sua rappresentazione. Di ampia diffusione in ambito specialistico, il termine assume significati specifici a seconda delle discipline e dei contesti cui si riferisce. In particolare, nelle scienze naturali la forma costituisce l'elemento fondamentale per la descrizione e la classificazione, significando l'aspetto esteriore degli esseri viventi in quanto tipico delle varie specie. Come elemento ordinatore, la forma svolge un ruolo centrale nei primi stadi dell'attività cognitiva, nei quali tramite la percezione sono raccolte le informazioni sul mondo esterno. Questo ruolo è stato messo in luce da un indirizzo della psicologia moderna, denominato appunto psicologia della forma (Gestaltpsychologie), che ha sostenuto il carattere unitario della percezione, intesa come fenomeno non risolvibile in una serie di elementi semplici contrapposti.

Forma e sviluppo embrionale

L'embriologia studia l'uovo che diventa un animale, e lo sviluppo embrionale è il processo che ne genera e manifesta la forma. Il piano generale del corpo viene stabilito molto precocemente. Nell'uomo, per es., ciò si verifica nelle prime quattro settimane dopo la fecondazione, che rappresentano solo 1/9 dell'intera gestazione. L'uovo, dividendosi, dà origine a un gruppo di cellule apparentemente omogeneo - la massa cellulare interna della blastocisti - che in quattro settimane diventa un animale in miniatura, costituito da sistema nervoso, corda dorsale, mesoderma laterale, somiti, archi branchiali, tegumento e intestino. Tutte queste parti contengono tipi cellulari specifici nella corretta posizione reciproca. Nello sviluppo successivo si ha la crescita e il differenziamento istologico degli organi e si stabiliscono le caratteristiche specifiche della specie uomo, mentre quelle generali del tipo vertebrato, a cui la specie appartiene, compaiono molto precocemente (v. vol. 1°, III, cap. 5: Dal concepimento alla nascita; v. embrione). Lo sviluppo embrionale è un processo ordinato e gerarchico che impone una struttura, anch'essa gerarchica, all'organizzazione dell'adulto. La forma emerge come risultato di decisioni gerarchicamente ordinate nel tempo e nello spazio. La fig. 1 mostra la provenienza delle differenti regioni del corpo di un vertebrato (nel nostro caso si tratta di un anfibio). Durante la segmentazione l'uovo si divide in un gran numero di cellule, i blastomeri, che formano la blastula, nella quale le cellule sono organizzate in un foglietto, il blastoderma. Il piano generale del corpo viene stabilito dalla riorganizzazione e dalla risistemazione del blastoderma. La sequenza degli eventi che segue lo stadio di blastula modifica l'aspetto esterno e l'organizzazione strutturale della blastula sferica, ovale o a forma di disco, in modo che essa acquisisca la forma generale caratteristica del tipo a cui la specie appartiene. Questo processo è chiamato morfogenesi. Il primo cambiamento evidente del blastoderma avviene nella fase della gastrulazione, quando alcune sue parti si spostano verso l'interno. In questo processo si formano tre foglietti cellulari chiamati foglietti germinativi. Essi sono l'entoderma all'interno e l'ectoderma all'esterno, e, tra essi, il mesoderma. Le cellule di questi strati hanno appros- simativamente fra loro gli stessi rapporti spaziali che avranno i loro derivati nell'organismo adulto. L'entoderma forma il rivestimento dell'intestino e il suo spostamento verso l'interno dà origine alla cavità intestinale. L'ectoderma forma l'epidermide e il sistema nervoso, che si separa dall'epidermide quando la gastrulazione è completata. Il mesoderma, infine, forma i tessuti interposti, come i muscoli, le ossa e il sistema circolatorio. Il mesoderma dà anche origine al mesenchima, costituito da cellule che si associano ai derivati entodermici ed ectodermici per formare gli organi che hanno origine da più foglietti germinativi. Come può la complessa organizzazione morfologica dell'adulto derivare da un uovo che ne è apparentemente privo? Nel 18° secolo i preformisti, come Ch. Bonnet, sostenevano che l'organismo miniaturizzato è già presente nell'uovo (per questo erano chiamati ovisti) e che il suo sviluppo consiste semplicemente in un processo di accrescimento; i sostenitori dell'epigenesi, tra i quali C.F. Wolff, ritenevano invece che nell'uovo non esista alcuna organizzazione e che lo sviluppo comporti una creazione ex novo. L'embriologia moderna ha unito in una sintesi due posizioni così antitetiche: l'organizzazione morfologica appare ex novo (epigenesi) e l'uovo contiene istruzioni preformate sia nel nucleo sia nel citoplasma. Nel nucleo è presente il DNA del genoma, il citoplasma dell'uovo e dei blastomeri non è isotropo ma contiene molecole dell'informazione (o determinanti), localizzate in regioni specifiche. L'integrazione dello sviluppo avviene lungo assi di simmetria direttamente influenzati dalla polarità dell'uovo ed è raggiunta mediante l'azione reciproca di due processi: la localizzazione citoplasmatica e l'induzione. La prima riguarda la diversa distribuzione di molecole regolatrici fra le cellule derivanti dalla divisione di una cellula staminale: le due cellule figlie ereditano materiali differenti ed entrano in stati di determinazione diversi. La seconda consiste, invece, nella determinazione di un tessuto competente in risposta a segnali provenienti da altre regioni dell'embrione. Entrambi i processi cooperano nella scelta delle decisioni gerarchiche che portano alla formazione del piano del corpo. Esistono classi generali di meccanismi morfogenetici che obbediscono a principi generali? La prospettiva epigenetica, intesa come studio dell'organizzazione interna dell'organismo, nel tentativo di caratterizzare i vincoli che operano sul sistema, fornirebbe una comprensione a priori delle possibili trasformazioni morfologiche e dei limiti dell'ontogenesi. Un contributo notevole allo studio dei cambiamenti morfogenetici è stato dato dai modelli topologici sviluppati da R. Thom (1972) e L. Wolpert (1969). Thom ha introdotto il concetto di stabilità strutturale: la proprietà per cui una forma o un processo conserva la propria topologia (cioè la propria organizzazione relazionale interna) nel corso di determinati 'cammini' o trasformazioni. Questo concetto presuppone una rappresentazione delle strutture (forme, processi) in uno spazio astratto, nel quale sia possibile confrontare la posizione reciproca e descrivere i percorsi, i cammini che portano da una configurazione a un'altra. La forma di un embrione in un dato stadio di sviluppo, per es., è un punto di questo spazio, collegato ad altri punti del medesimo spazio da una traiettoria che descrive la morfogenesi dell'embrione. In questo 'paesaggio' alcuni cammini sono proibiti, altri sono possibili ma improbabili, altri ancora così probabili da diventare obbligati. Nello spazio astratto esistono regioni definite che comprendono tutte le configurazioni che il sistema può raggiungere, a partire da una configurazione di partenza assegnata attraverso cammini che non distruggono la topologia del sistema. Tali regioni sono delimitate da una 'superficie di catastrofe', il superamento della quale corrisponde a una brusca alterazione della topologia di partenza. Tutti i cammini che si dispiegano in una definita posizione di spazio convergono verso regioni nodali (bacini attrattori), che rendono obbligatorie certe soluzioni ogni qualvolta vengano imboccate determinate strade. L'alternativa equivarrebbe a risalire la china di una serie di configurazioni di crescente improbabilità. Eventi morfogenetici fondamentali (gastrulazione, neurulazione, formazione dei somiti) sono riconducibili a 'catastrofi elementari'. Il modello topologico di Wolpert si basa sul concetto di informazione posizionale: a ogni cellula è assegnata una posizione, e successivamente esse interpretano i loro valori di posizione. L'assegnazione della posizione, cioè la specificazione regionale, è lo stadio basilare. Questo concetto è un'estensione delle classiche teorie del gradiente e un'accezione particolare dell'idea di campo morfogenetico: si suppone che esista un sistema universale di coordinate e che i principali cambiamenti morfogenetici siano dovuti alla sua interpretazione. È possibile che i cambiamenti di interpretazione implichino soglie, e quindi 'salti' nei cambiamenti morfogenetici. Cambiamenti di interpretazione (per es. differenza di crescita) determinano le varie forme dei diversi ordini sistematici. L'embrione si divide quindi in una serie di campi di sviluppo che definiscono i territori di attivazione di vari geni, i quali a loro volta specificano l'identità delle parti del corpo, interpretando l'informazione di posizione stabilita nell'embrione precoce. Una classe particolare di geni, i geni della specificazione regionale o geni del pattern, codifica la posizione relativa delle parti del corpo. Essi sono stati identificati in metazoi appartenenti a tutti i phyla; sono omologhi e conservano lo stesso pattern spaziale di espressione. Questo rappresenta una caratteristica comune, chiamata zootipo, praticamente invariabile fra gli animali e quindi potenzialmente in grado di definirli. Un animale è un organismo che esprime lo zootipo. Il periodo di massima espressione di quest'ultimo è anche il periodo di massima somiglianza morfologica fra tutti gli embrioni di ogni phylum. Tale periodo fu scoperto da K.E. von Baer per i Vertebrati ai primi dell'Ottocento, ma in seguito si dimostrò che uno stadio di sviluppo analogo esiste in tutti gli altri phyla animali (Sander 1983). Questo stadio è detto filotipico perché in esso gli embrioni di ogni phylum non solo si somigliano, ma hanno tutti la morfologia tipica del phylum. L'embriologia descrittiva ha dimostrato quindi che tutti gli animali hanno uno stadio filotipico e l'embriologia molecolare che in quello stadio essi esprimono il pattern comune dello zootipo. Gli animali si possono definire come gli organismi che esprimono lo zootipo, perché questa espressione è associata, in tutti i phyla, al processo di costruzione del piano generale del corpo. Anche se i piani corporei sono diversi, lo zootipo resta costante e rappresenta una struttura altamente conservata durante l'evoluzione dei metazoi. Forma e percezione L'uomo, assai prima di rivolgere il suo interesse al proprio corpo, inteso come organi che lo compongono e processi che ne regolano il funzionamento, è stato attratto dalla sua forma, fino a illudersi che la scoperta delle regole e dei rapporti di quella forma, ritenuta perfetta, potessero costituire una porta di accesso alla conoscenza del mondo e della sua essenza. Allo stesso modo aveva ritenuto che le cose fossero la loro forma, ossia il loro modo di apparire. La scienza occidentale ha dovuto percorrere un lungo cammino prima di rendersi conto e dimostrare che la maggior parte delle volte la struttura del mondo fisico non è quale ci appare quando lo guardiamo. Il sole che tramonta è l'esempio più noto ed evidente del distacco fra resa percettiva e realtà fisica. Ci si potrebbe chiedere allora se le forme che il nostro sistema percettivo coglie sono mere apparenze. L'ambiguità del termine forma, o meglio la sua ambivalenza, ben si ritrova fin dall'uso latino del termine, dove forma sta per apparenza, bellezza, ma anche per schema, regola: a ben guardare, forma designa, prendendo a prestito termini kantiani, il fenomeno, ma anche il noumeno. La percezione si preoccupa del fenomeno e chi la studia ricerca le regole che governano il costituirsi del mondo fenomenico. Vediamo allora come si ipotizza l'operare della percezione. Il nostro sistema percettivo non ha lo scopo primario di farci conoscere la struttura profonda delle cose e le leggi che ne regolano il funzionamento. Scopo della percezione è garantire il successo delle nostre azioni, il raggiungimento dei nostri obiettivi, al fine di acquisire, attraverso il movimento controllato, una conoscenza dell'ambiente che garantisca la sopravvivenza. È per questa ragione che la percezione dell'uomo non differisce sostanzialmente da quella di buona parte degli animali. Il fenomeno del mimetismo, per es., funziona nello stesso modo per gli uomini e per gli animali. Nel corso dell'evoluzione si sarebbero a questo scopo selezionati i processi neurobiologici e neurofisiologici necessari a rendere l'attività percettiva funzionale alla sopravvivenza. Il risultato dell'operare (in parte ancora sconosciuto) di questi processi è che il mondo percepito si struttura in unità separate, dotate di forma, che chiamiamo oggetti, cui attribuiamo un nome, sanzionandone in tal modo l'evidenza, la riconoscibilità e la concretezza. Noi riconosciamo il permanere dell'identità di un oggetto quando, pur al mutare di alcune caratteristiche, come posizione, orientamento, dimensioni, senso, esso non cambia forma. La forma è dunque una caratteristica sostanzialmente permanente di un oggetto. La cosiddetta psicologia della Gestalt, sorta e sviluppatasi in Germania nei primi decenni del 20° secolo, aveva posto al centro dello studio della percezione il problema della forma. Gli psicologi che fondarono questa corrente (M. Wertheimer, K. Koffka e W. Köhler) ci hanno lasciato una serie di risultati sperimentali e di elaborazioni teoriche che costituiscono un punto di partenza imprescindibile per tutte le ricerche sulla percezione. Allorché ci si interroga sui fattori e sulle cause per cui percepiamo una determinata condizione stimolatoria in un modo e non in un altro, veniamo ad affrontare la principale questione posta dagli psicologi gestaltisti. Perché certi elementi presenti in ciò che stiamo osservando vengono visti come appartenenti a una struttura e separati da un'altra? Se ci chiedessimo, osservando la fig. 5A, di quali e quanti elementi essa sia costituita, tutti concorderemmo nel dire che è composta dalle parti mostrate in 5B. Non ci renderemo conto delle numerose alternative possibili, tutte teoricamente legittime, come quelle di 5C, D, E. Perché la figura di 5B s'impone in maniera così evidente? Gli psicologi gestaltisti sono giunti alla conclusione che l'attività percettiva svolge non un semplice lavoro passivo di registrazione delle stimolazioni, ma un compito attivo di organizzazione e strutturazione dei dati registrati dagli organi di senso. Questo lavoro di organizzazione, che approda alla resa percettiva, avviene secondo criteri e modalità che sono stati definiti da Wertheimer 'leggi dell'organizzazione formale'. Alcune di queste leggi sono attive nel determinare i risultati percettivi raffigurati in 5A; in particolare esse sono: la 'legge della chiusura', la quale stabilisce che parti delimitate da un contorno chiuso, a parità di altre condizioni, si costituiscono come unità figurali; è questa, per es., la ragione per cui viene scartata la soluzione di 5E. Oppure come la legge della 'continuità di direzione', per la quale una linea che presenti una traiettoria continua sarà vista procedere senza interrompersi nel punto in cui incontra o incrocia un'altra linea, ed è questa la ragione per cui i lati del quadrato non vengono visti spezzarsi come in 5C, D. Esiste inoltre una 'legge della regolarità e della buona forma', in base alla quale si strutturano come unità autonome le componenti più regolari e meno complesse. Tuttavia, il passaggio organizzativo più importante di ogni atto percettivo è la segregazione tra la figura e lo sfondo. E. Rubin delineò, all'inizio degli anni Venti del 20° secolo, le caratteristiche dello stimolo che inducono tale segregazione. Se, per es., descrivendo la fig. 6A, diciamo che è un romboide inscritto in un rettangolo, affermiamo implicitamente che l'area occupata dal romboide esiste, dal punto di vista fenomenico, due volte. Nessuno infatti vede il rettangolo interrompersi lungo il margine sinistro del romboide e riprendere dopo il margine destro. La fig. 6A risulta costituita delle due parti mostrate in 6B, ma non da quelle in 6C. Nel momento in cui queste due parti sono accostate in modo che coincidano i vertici degli angoli acuti della parte sinistra con quelli della parte destra, il romboide che si ricostituisce al centro, non può essere visto come foro, anche se esso è il risultato delle due parti che si vedono nella fig. 6C. Se il romboide viene visto come figura e il rettangolo come sfondo, si avrà che il contorno del romboide delimita solo l'interno della figura e non l'esterno (il rettangolo). Si parla, a questo proposito, di 'funzione unilaterale del margine', in quanto esso delimita e appartiene sempre e solo alla figura, mai allo sfondo. Una conseguenza importante del lavoro organizzativo che la percezione compie separando la figura dallo sfondo, sta nel fatto che cambiano le qualità fenomeniche delle parti che vanno a costituire l'una oppure l'altro. La figura ha una maggiore evidenza di concretezza e soprattutto è dotata di forma, mentre lo sfondo appare più indefinito e inconsistente. Nella fig. 7A sono presentate alcune forme all'interno di un rettangolo; nella fig. 7B sono mostrate delle configurazioni anch'esse presenti in 7A e tuttavia invisibili in quanto parti dello sfondo. Non esistono però solo regole di buona forma per riconoscere una figura o rendere conforme a norma un corpo statico (o un tempio, o una sedia), come per secoli ha fatto la cultura occidentale. Il corpo si riconosce anche attraverso i suoi movimenti. La figura umana, come del resto quella di gran parte degli animali, possiede una forma complessa e articolata che si modifica quando essa, in quanto dotata di movimento autonomo, assume posture e atteggiamenti diversi. Anche il modo ordinato e gerarchico con cui questo movimento si compie costituisce una fonte d'informazione che ci consente di ricavare la forma del corpo. Riconoscere la forma del corpo umano attraverso i suoi movimenti significa che, per quanto vasta sia la gamma delle trasformazioni cinematiche, esistono regole che conservano immutati certi rapporti delle parti, fra loro e con il tutto, pur nel flusso continuo dei mutamenti. Il nostro sistema percettivo utilizza questi invarianti, che i ricercatori hanno descritto per mezzo dell'analisi vettoriale, come informazione della presenza del corpo anche quando esso non è completamente visibile; non solo, ma ne ricava anche informazioni sulle intenzioni e le finalità della persona che si muove. Una spettacolare dimostrazione del funzionamento di questo processo è costituita dal 'movimento biomeccanico' studiato da G.Johansson (1973), che filmò un attore mentre camminava, correva, ballava ecc., in un ambiente completamente buio. L'attore, in calzamaglia nera, aveva piccole lampadine accese disposte sulle giunture principali del corpo: le spalle, i gomiti, i polsi, le anche, le ginocchia e le caviglie, per un totale di 12 punti luminosi. Se l'attore restava fermo in una qualsiasi posizione, si vedevano solo 12 punti luminosi dislocati a caso nello spazio. Non appena cominciava a muoversi erano sufficienti 100 ms di filmato perché si riconoscesse una persona. Risultavano visibili non solo il corpo dell'attore, ma anche la sua postura, il suo portamento e l'azione che stava compiendo: si vedeva cioè se ballava, camminava, zoppicava, correva, dava calci ecc. Il nostro sistema percettivo è attrezzato anche a cogliere la forma di parti del corpo particolarmente significative, come le facce. Le recenti ricerche neuropsicologiche e psicofisiologiche, condotte analizzando le risposte di singoli neuroni in animali di laboratorio, hanno messo in luce l'esistenza nel cervello delle scimmie di cellule che rispondono selettivamente a configurazioni spaziali che rappresentano facce. Ricerche ulteriori hanno messo in luce che alcune di queste cellule sono selettivamente sensibili a identità specifiche, nel senso che rispondono solo in presenza di facce conosciute.

bibl.: s.f. gilbert, Developmental biology, Sunderland (MA), Sinauer, 1994 (trad. it. Bologna, Zanichelli, 1996); b.k. hall, Evolutionary developmental biology, London, Chapman and Hall, 1992; g. johansson, Visual perception of biological motion and a model of its analysis, "Perception & Psychophysics", 1973, 14, pp. 201-11; k. sander, The evolution of patterning mechanism. Gleamings from insect embryogenesis and spermatogenesis, in Development and evolution, ed. B.C. Goodwin, N. Holder, C.C. Wylie, Cambridge, Cambridge University Press, 1983, pp. 137-59; r. thom, Stabilité structurelle et morphogénèse, Reading, Benjamin, 1972; l. wolpert, Positional information and pattern, "Journal of Theoretical Biology", 1969, 25, pp. 1-47.

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