Fotoelasticita

Dizionario delle Scienze Fisiche (1996)

fotoelasticita


fotoelasticità [Comp. di foto- e elasticità] [MCC] [OTT] Tecnica ottica, basata sulla birifrangenza meccanica, per valutare la distribuzione e l'entità delle tensioni in una struttura piana sollecitata (f. piana: v. oltre), mediante un modello di essa realizzato con un adatto materiale trasparente (modello fotoelastico); recenti sviluppi hanno consentito di affrontare l'analogo problema per una struttura spaziale qualsiasi (f. spaziale: v. oltre). L'idea di utilizzare la birifrangenza meccanica per lo studio delle tensioni nell'interno dei corpi trasparenti è dovuta a D. Brewster, che nel 1816, pochi anni dopo T.J. Seebeck (1813), osservò il fenomeno della birifrangenza meccanica nel vetro. I metodi della f. trovarono particolari applicazioni in Italia, a opera di O.M. Corbino e G.C. Trabacchi, per indagini sperimentali sulle distorsioni elastiche, delle quali V. Volterra aveva elaborato la teoria. Come materiale per i modelli fu usato prima il vetro, poi la celluloide, la xilonite, la bakelite, ecc. Oggi si preferiscono la fenolite, i1 trolitul, il trolon, miscele di resine artificiali ottenute dal fenolo, perfettamente isotrope e trasparenti con birifrangenze meccaniche di un ordine di grandezza superiore di 30 volte a quella del vetro. Applicazioni speciali si sono avute in ricerche di carattere dinamico: mediante ripresa cinematografica rapida si può seguire la propagazione di un'onda o l'avanzamento di una lesione e dello stato di tensione contiguo. Per tali applicazioni si fa uso di materiale di alta sensibilità e modulo elastico basso (gelatina) per ridurre la velocità dell'onda. (a) F. piana: un modello della struttura piana in esame, di uno dei materiali trasparenti nominati sopra, viene fatto attraversare da luce polarizzata in un polariscopio, cioè posto tra due polarizzatori (fig. 1); la luce emergente, convenientemente raccolta su uno schermo, forma su questo un'immagine (v. oltre) dalla quale si risale alle tensioni nel-l'interno del modello e da queste, in base a principi di similitudine meccanica, a quelle della struttura effettiva. Due circostanze sono alla base del metodo di esplorazione fotoelastica nei sistemi piani: la prima è che lo sforzo di un sistema piano risulta completamente determinato non appena siano note punto per punto le due direzioni principali di tensione (fra loro ortogonali) e i valori delle tensioni a esse relative, e la seconda è il determinarsi sul modello del fenomeno della birifrangenza meccanica; un corpo isotropo, che per una causa qualsiasi sia divenuto sede di uno sforzo, diventa infatti provvisoriamente otticamente anisotropo e birifrangente. Nel dispositivo della fig. 1, un fascio parallelo di luce non polarizzata monocromatica, di pulsazione ω, attraversa il polarizzatore; la luce ne emerge polarizzata linearmente nella direzione x; in tali condizioni (polarizzatori incrociati), l'intensità luminosa emergente dall'analizzatore è nulla; se tra i polarizzatori è inserita la lamina fotoelastica, l'ampiezza della luce emergente da c è proporzionale a sin(2α)sin[ω(t₁-t₂)/2] sin{ω[t-(t₁-t₂)/2]} , dove α è l'angolo tra la direzione del polarizzatore e uno degli assi ottici del sistema anisotropo costituito dalla lamina, t₁ e t₂ sono i tempi di transito delle due componenti polarizzate secondo i due piani principali. Poiché la birifrangenza, cioè la differenza tra gli indici ordinario no e straordinario ns del materiale fotoelastico, è proporzionale alla differenza delle sollecitazioni principali σx e σy, cioè no-ns=k(σx-σy), si ha che ω(t₁-t₂)=2πs(σx-σy)/F, essendo s lo spessore del materiale e F una costante nota come costante di frangia del materiale; pertanto, l'ampiezza della radiazione emergente dal sistema ottico è nulla, nel caso di polarizzatori incrociati, nei luoghi di punti per cui α=nπ/2, con n=0,1,2,..., cioè quando la direzione di polarizzazione dell'analizzatore o del polarizzatore coincide con uno dei piani principali del materiale anisotropo (linee isocline), oppure nei luoghi di punti per cui σx-σy=nF/s, con n=0,1,2,..., cioè laddove la differenza delle tensioni principali è un multiplo intero della costante F/s (linee isocromatiche). Quest'ultima condizione, poiché F dipende dalla lunghezza d'onda della radiazione utilizzata, si presenta, operando con luce bianca, come sistemi di frange, almeno per gli ordini più bassi, diversamente colorate: da ciò il termine usato per indicarle. Ciò posto, se si fanno rotare i due nicol di un medesimo angolo α in modo da mantenerli sempre incrociati, l'osservatore vede disegnarsi sullo schermo un'altra famiglia di linee isocline: così, facendo variare α attraverso una successione di valori abbastanza vicini, si determina punto per punto l'andamento delle linee medesime e da queste, con semplici costruzioni grafiche, quello delle due famiglie, fra loro ortogonali, dette linee isostatiche (ricordiamo che linea isostatica è una linea tangente in ogni suo punto a una delle direzioni principali di tensione). È così risolto il problema della determinazione, punto per punto, delle direzioni principali. Per la determinazione delle tensioni principali ci si avvale delle linee isocromatiche, ciascuna delle quali corrisponde, in base a quanto è stato detto poco sopra, a un ben determinato valore della differenza fra le due tensioni principali (si tenga presente che, con l'inserzione di una lamina in quarto d'onda fra ciascuno dei due nicol e la lamina in esame, si riesce a far scomparire le linee isocline, mentre le isocromatiche restano inalterate e possono essere chiaramente osservate). Basterebbe quindi (ma si può procedere anche diversamente) effettuare la taratura dei colori, cioè determinare la corrispondenza fra i diversi colori e i diversi valori della differenza fra le tensioni, per poter ricavare i valori di tale differenza per ciascuna delle isocromatiche. Una volta che questa differenza sia, in un modo o nell'altro, nota, basterà determinare la somma delle medesime tensioni per poter calcolare, per addizione e sottrazione, separatamente le due tensioni principali. Nella fig. 2, in A sono mostrate le linee isocromatiche nel modello fotoelastico di un plinto di fondazione; in B la configurazione delle isocline, nello stesso modello, corrispondenti a diversi valori dell'angolo d'intersezione con le isostatiche, e in C la configurazione delle isostatiche, rilevata per inviluppo delle linee isocline. Anche per la determinazione della somma sono stati proposti vari metodi. Uno dei più semplici consiste nell'osservare che in un punto P dove si abbiano le tensioni principali, σ₁ e σ₂, il sistema subisce una variazione di spessore misurata da d=μ(σ₁+σ₂)s/E, dove μ è il coefficiente di Poisson, E il modulo di Young, s lo spessore iniziale del sistema. Misurando d e conoscendo μ, E e s, si ricava σ₁+σ₂. Per i comuni valori di σ₁ e σ₂ i valori di d risultano sempre molto piccoli (dello stesso ordine di grandezza delle dilatazioni termiche) e per la loro valutazione occorrono speciali cautele ed estensimetri molto delicati, con i quali peraltro si ritiene di poter ottenere σ₁+σ₂ con un errore massimo del 5÷7 %. La somma delle tensioni principali può essere dedotta anche utilizzando fenomeni d'interferenza che si manifestano tra i raggi riflessi dalle facce anteriore e posteriore di un modello attraversato da un fascio di luce monocromatica (anche a modello scarico si hanno frange di interferenza, dovute al non esatto parallelismo delle facce). La sollecitazione provoca un mutamento dell'ordine delle frange (fig. 3); mediante procedimento fotografico vengono sovrapposte le due serie di frange (a modello scarico e a modello carico) e si ottengono alcune bande più chiare o più scure che rappresentano direttamente le linee isopachiche (σ₁+σ₂=cost). Il problema della f. piana è risolto completamente con la determinazione di σ₁+σ₂. (b) F. spaziale: si propone di determinare lo stato di tensione di un solido qualsiasi, comunque sollecitato; il principio è lo stesso che per la piana, ma le sue applicazioni risultano assai più complesse. I primi tentativi miravano semplicemente a utilizzare i risultati della f. piana allo scopo di affrontare il problema spaziale in casi particolari (aste di tralicci spaziali, pareti di travi-cassone, ecc.). Una f. spaziale autonoma si può considerare nata intorno al 1936. Tra i principali metodi proposti ricorderemo quello, noto come metodo di fissaggio (ingl. fixation method), consistente nel "fissare" con opportuno trattamento termochimico la deformazione e l'anisotropia, in guisa che esse non scompaiano quando siano rimosse le forze esterne e permangano anche quando, con opportune precauzioni, si tagli il modello in lamelle, lo studio fotoelastico di ciascuna delle quali può essere ricondotto a un problema di f. piana. Il metodo per luce diffusa è fondato invece sul principio di portare a coincidere con la generica sezione piana del corpo una lama di luce polarizzata, spostabile in modo da esplorare l'intero modello attraverso l'osservazione di conseguenti fenomeni d'interferenza.

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