Fotogrammetria

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Metodo di rilevamento planimetrico e altimetrico del terreno, che impiega determinate vedute fotografiche del terreno stesso. Si parla di f. terrestre e di f. aerea (o aerofotogrammetria) a seconda che la camera fotografica sia posta in stazione sul terreno oppure sia montata su un aeromobile. La f., che è essenzialmente un metodo di misura indiretto, può far uso oltre che di immagini fotografiche, di immagini utilizzanti radiazioni elettromagnetiche, e può fornire informazioni significative circa l’ambiente fisico. La pratica ha dimostrato che la precisione dei rilevamenti fotogrammetrici, sia terrestri, sia aerei, non è inferiore a quella dei rilievi tacheometrici alla medesima scala, con il vantaggio che la f. è possibile anche in zone parzialmente inaccessibili e la rappresentazione del terreno risulta con essa più particolareggiata.

fig. 1

Oltre che per rilievi topografici, la f. è utilizzata in campo industriale, in campo metallurgico per il controllo delle saldature, per la gestione del territorio, la pianificazione urbanistica e territoriale, il censimento forestale e agricolo; nei rilievi di opere d’arte (fig. 1), anche a scopo di salvaguardia; nei rilievi di fondi marini in prossimità delle coste; in medicina, per la localizzazione di strutture profonde, normali o patologiche (röntgenfotogrammetria) ecc.

Procedimento

fig. 2

Il procedimento consta di due distinte operazioni: la presa e la restituzione; quest’ultima è il complesso di operazioni atte a ricostruire nella sua vera forma l’oggetto fotografato, individuandone il rilievo sia planimetrico sia altimetrico. Tale procedimento, realizzato mediante apparecchi di tipo diverso, si fonda sulla possibilità di considerare le immagini fotografiche come prospettive dell’oggetto, aventi per centro di vista il secondo punto nodale dell’obiettivo. Detto infatti L il sistema obiettivo della camera fotografica (fig. 2), supponiamo, per semplicità, la pellicola fotografica labcd ortogonale all’asse OC dell’obiettivo (disposto orizzontalmente). Se A è un punto dell’oggetto fotografato e B la sua proiezione sul piano orizzontale contenente l’asse dell’obiettivo, l’immagine B′ di B si troverà sull’orizzontale di riferimento x della pellicola l a una distanza dal punto principale O che è proporzionale alla distanza di B dall’asse ottico nel rapporto OE2/E1C (E1, E2 punti principali nodali del sistema obiettivo). Nello stesso rapporto sono pure l’altezza AB′ dell’immagine (capovolta e invertita sulla lastra) e l’altezza effettiva AB dell’oggetto. La corrispondenza tra i punti dell’oggetto e della sua immagine, quando si consideri una pellicola fittizia ottenuta spostando la pellicola l parallelamente a sé stessa dalla parte opposta rispetto al centro dell’obiettivo e ruotandola di 180°, si muta in una prospettiva con E1 punto di vista e Ō punto principale. Nota la distanza E1Ō (pari alla distanza focale dell’obiettivo, per essere i punti fotografati sempre molto lontani), dalla lettura della lunghezza di OB′ e di AB′ sul fotogramma si possono ricavare gli angoli ϑ e α (angoli di posizione) relativamente a quanti punti si vogliano del terreno (con un solo fotogramma si hanno cioè tutti gli elementi che fornisce un goniometro a cannocchiale). Se si hanno due distinti fotogrammi presi da due punti diversi S e S′ma di posizione relativa nota, se cioè sono noti la distanza tra i due punti di presa (base fotogrammetrica o asse nucleare) e l’orientamento relativo dei due fotogrammi, è possibile determinare gli angoli ϑ e ϑ′ relativi a uno stesso punto A del terreno in S e S′, e quindi individuare planimetricamente A con il metodo dell’intersezione in avanti. Il rilievo altimetrico segue poi immediatamente dalla lettura dell’angolo α. Per poter riferire il rilievo eseguito a un generico sistema di coordinate è necessario realizzare due orientamenti fondamentali: quello interno, che serve per precisare la posizione della pellicola fotografica rispetto al punto di presa (punto di vista della prospettiva fotografica), e quello esterno, che serve a precisare la posizione della pellicola fotografica rispetto al terreno. Una volta precisati gli orientamenti predetti, la restituzione può essere ottenuta per via analitica misurando sui due fotogrammi le coordinate delle immagini di uno stesso punto del terreno (immagini omologhe) e ricavando poi le coordinate del detto punto rispetto al sistema generale di riferimento del terreno fotografato. Oggi la restituzione è esclusivamente automatica e si ottiene per mezzo di apparecchi restitutori che possono servire comunque siano state prese le fotografie (detti allora restitutori universali) oppure soltanto per riprese aeree (restitutori aerofotogrammetrici).

F. terrestre e aerea

fig. 3

Nella f. terrestre le operazioni di presa effettuate in passato con fototeodoliti vengono oggi effettuate con camere fotografiche, come nella f. aerea. In questa si impiegano camere fotografiche di tipo rigido, generalmente fissate sull’aeromobile con interposizione di adatti organi ammortizzatori. Si possono avere tre specie fondamentali di riprese: nadirali (o più precisamente ‘quasi nadirali’), panoramiche e oblique; si utilizzano anche fotografie da satellite. Le prime sono ottenute con l’asse della camera all’incirca verticale; nelle seconde l’obiettivo o un dispositivo interno alla camera effettua una rotazione intorno a un asse orizzontale, in modo da riprendere un angolo anche fino a 180°; nelle terze l’asse è inclinato di più di 10°-20° rispetto alla verticale, anche fino a 50°-60°. Con le fotografie nadirali e se il terreno è piano e orizzontale, le distanze misurate sui fotogrammi sono in rapporto di similitudine con le distanze reali sul terreno (la scala di similitudine è data dal rapporto tra la distanza focale dell’obiettivo e la quota del velivolo); per la restituzione è sufficiente una sola f. e l’apparato che la realizza si chiama raddrizzatore. Se il terreno, come generalmente accade, non è piano o se la f. è panoramica oppure obliqua, occorrono due fotogrammi della stessa porzione di terreno, presi da due punti distinti S e S′. In pratica i fotogrammi sono presi per ‘strisciate’ parallele e rettilinee con volo orizzontale (fig. 3) effettuato nei due sensi opposti o sempre nello stesso senso. Due successivi fotogrammi devono ricoprirsi di poco più della metà. In genere il ricoprimento è del 60-70%. Si deve avere anche il ricoprimento laterale delle strisciate del 20-30%. Importante è il rapporto tra la base b (distanza tra due punti di presa successivi S ed S′) e la quota di volo h; tale rapporto viene scelto tra 0,25 e 0,50 circa. Per ricostruire quello che si chiama il modello ottico del terreno (cioè una figura tridimensionale a quella del terreno fotografato) è necessario dapprima ripristinare l’orientamento esterno. Dei 12 elementi a ciò necessari per i due fotogrammi, un primo gruppo di 5 (tutti angoli) serve a ottenere l’orientamento relativo (e cioè a far sì che i due fotogrammi acquistino la stessa posizione reciproca che le lastre avevano al momento della presa), mentre il gruppo dei restanti 7 elementi (una traslazione lungo la base della camera, tre traslazioni e tre rotazioni di tutto il complesso dei due fotogrammi già fissati reciprocamente rispetto a tre assi cartesiani) serve a ottenere l’orientamento assoluto (e cioè a far sì che i due fotogrammi nel restitutore assumano una posizione simile a quella che avevano le lastre rispetto al terreno). Per alcune applicazioni fotogrammetriche è sufficiente ottenere il solo orientamento relativo, il che naturalmente facilita le operazioni; per altre, e specialmente per le applicazioni topografiche, sono necessari entrambi: la suddivisione, tuttavia, è sempre utile per le modalità di impiego dei restitutori.

fig. 4

Una via per arrivare al modello ottico o stereomodello consiste nel determinare, con riferimento ad almeno tre punti del terreno di cui si conoscono le coordinate, l’orientamento esterno di ciascuno dei fotogrammi e quindi accoppiarli perfezionando per gradi il modello ottico ottenuto; questo procedimento si attua nel fotocartografo Nistri e nei fotocartografi multipli, che impiegano due proiettori dai quali vengono proiettati i due fotogrammi parzialmente ricoprentisi (fig. 4). La posizione dei proiettori deve riprodurre in scala opportuna quella dei fotogrammi al momento della presa (orientamento relativo). Spostando il cursore c, e quindi lo schermo mobile b, si individua su di esso il punto di intersezione A dei raggi luminosi provenienti dai punti A′ e A″ dei due fotogrammi a proiettati dai proiettori. Spostando poi i cursori d ed e si individuano tutti i punti che sono nelle stesse condizioni di A (alla stessa quota) e attraverso una punta scrivente f, collegata elettricamente, si traccia su un foglio g il luogo dei punti corrispondenti ad A, ossia la curva di livello h. L’identificazione dei punti A di rappresentazione si fa con il sistema degli anaglifi o con quello del brillamento.

Un’altra via è seguita nei restitutori detti stereoscopici, o fotostereografi. Questi si fondano sulla proprietà che lo spostamento orizzontale dell’immagine di punti omologhi nei due fotogrammi (parallasse lineare) è inversamente proporzionale alla distanza del punto dal piano verticale comune ai due fotogrammi (effetto stereoscopico). Per eseguire l’orientamento relativo è sufficiente agire sui comandi del restitutore in modo da riuscire ad annullare le cosiddette parallassi di altezza (minime distanze tra i raggi omologhi non ancora concorrenti) di 5 punti opportunamente scelti sulle parti comuni dei due fotogrammi, punti dei quali non occorre conoscere le coordinate. Per realizzare l’orientamento assoluto occorre eseguire l’operazione su 3 punti, detti punti di appoggio, dei quali bisogna però conoscere le coordinate.

Alcuni strumenti (stereocomparatori, monocomparatori) consentono la misura delle coordinate dei punti omologhi sui fotogrammi di una coppia stereoscopica con l’approssimazione di circa 2 μm; in tal modo è possibile, noti gli elementi dell’orientamento interno della camera da presa, risalire con opportuni calcoli, eseguiti con l’ausilio dell’elaboratore, alle coordinate di qualsiasi numero di punti del terreno. Si realizza così una restituzione che può essere punto per punto e si ha, in tal caso, una rappresentazione discontinua per punti del terreno, utilizzabile, per es., per il catasto numerico, progetti stradali ecc.

Moderni strumenti di restituzione eseguono, oltre al calcolo automatico delle coordinate dei singoli punti del terreno, anche direttamente il disegno di curve di livello, strade, corsi d’acqua ecc.: in questi strumenti infatti, una volta determinati i parametri degli orientamenti relativi e assoluti, l’elaboratore trasforma le coordinate dei punti della linea, che l’operatore con lo stereocomparatore segue sul modello fotografico, nelle coordinate del disegno e le trasmette al coordinatografo per l’esecuzione diretta del tracciamento della linea stessa. L’identificazione dei punti omologhi sulla coppia di fotogrammi stereoscopici può avvenire senza l’intervento dell’operatore mediante dispositivi di esplorazione costituiti ciascuno, per es., da un tubo a raggi catodici munito di apparecchi per la deflessione orizzontale e verticale dei raggi e da una cellula fotoelettrica colpita dai raggi stessi dopo aver attraversato la lastra; i segnali elettrici emessi dalle due cellule arrivano a un correlatore che li analizza rilevandone le differenze di fase e misurando così indirettamente la parallasse; segnali provenienti da punti omologhi hanno differenza di fase nulla perché i raggi attraversano zone di fotogramma con caratteristiche identiche; essi sono così automaticamente segnalati dal correlatore.

Importante applicazione dell’aerofotogrammetria si ha nel rilevamento delle zone estese a piccola scala a mezzo delle triangolazioni aeree (➔ triangolazione).

Applicazioni in archeologia

A fini archeologici la f. serve per la documentazione e tutela del territorio, come sussidio alla carta topografica e per l’individuazione di aree archeologiche. Gli elementi archeologici segnalano variamente la loro presenza, influendo su alcuni elementi circostanti che reagiscono con modificazioni rilevabili fotograficamente (indici): le tracce consistono in sfumature di colore o di tono, particolari andamenti del rilievo, aspetti del paesaggio. Fra i tipi fondamentali di restituzione fotogrammetrica, quella attualmente più utilizzata è l’analitica, capace di fornire con estrema precisione una cartografia tridimensionale, e di prestarsi direttamente a ogni tipo di elaborazione informatica. In pratica, una cartografia finalizzata permette l’integrazione del dato archeologico con il suo contesto, non solo a livello puramente tecnico, facilitando la collocazione sulla carta del reperto archeologico, ma anche a livello interpretativo, permettendo di trarre dall’ambiente circostante la maggiore quantità possibile di elementi utili a una lettura storica del territorio.

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