FOTOGRAMMETRIA

Enciclopedia Italiana (1932)

FOTOGRAMMETRIA

Alfredo FIECHTER
Gino CASSINIS

. È l'insieme delle teorie geometriche e dei procedimenti ottico-meccanici che studiano e risolvono il problema di ricostruire un oggetto a due o a tre dimensioni di cui siano date prospettive (praticamente delle fotografie). Si è usata in passato la denominazione fototopografia, che però ha significato più ristretto, per quanto le applicazioni ai rilevamenti topografici siano di gran lunga quelle più importanti della fotogrammetria. I Francesi adoperano anche la parola métrophotographie.

Cenni storici. - L'idea di rilevare topograficamente il terreno servendosi della fotografia nacque non appena venne in uso la fotografia. Il primo a occuparsi di questo problema fu il fisico Arago. Negli anni 1859-61 il colonnello francese A. Laussedat presentò i primi esperimenti fotogrammetrici discretamente riusciti. Nel 1864 il capitano del genio francese Javary fece un tentativo di rilievo intorno a Grenoble e nel 1867 un altro tentativo abbastanza riuscito presso Faverges nella Savoia. In Germania di fotogrammetria si occupò A. Meydenbauer, prima per eseguire rilievi architettonici, poi con l'esecuzione di un rilievo del terreno presso Friburgo. Nel 1870 i Tedeschi, durante l'assedio di Strasburgo e più tardi nell'assedio di Parigi, avevano formato una sezione per il rilievo fotogrammetrico diretta dal tenente Doergens, ma il materiale ottenuto a Strasburgo si dimostrò imperfetto e a Parigi non furono eseguite le fotografie a causa del tempo nebbioso. Nella Baviera venne eseguito un rilievo in alta montagna da S. Finsterwalder insieme col sottotenente Jäger. Anche in Grecia, durante i rilievi diretti dal colonnello austriaco H. J. F. Hartl, venne fatto qualche saggio di fotogrammetria. Durante questo periodo di esperimenti, l'Austria seguiva i progressi altrui, mentre alcuni studiosi, quali J. Steiner, Fr. Schiffner e altri, pubblicavano una serie di scritti sui principî e sulle applicazioni della fotogrammetria; e solo nella primavera del 1890 nell'Istituto geografico militare di Vienna, che allora era il maggiore fra gl'istituti congeneri d'Europa, vennero iniziati gli studî per introdurre il nuovo metodo nei rilievi regolari della monarchia, studî ed esperimenti eseguiti con grande competenza da H. von Hübl.

In questo campo dell'applicazione della fotografia alla topografia fu proprio l'Italia che diede in quei tempi i migliori e maggiori risultati. Già nel 1855 I. Porro si occupava dell'applicazione della fotografia alla geodesia e proponeva un apparecchio fotografico da servire alla topografia. Il Porro costruì sono alcuni degli apparati che aveva progettati, con i quali però non poté eseguire esperienze in grande, come sarebbe stato necessario per dimostrarne l'importanza; essa fu riconosciuta solamente 40 anni dopo. Egli morì nel 1875. Proprio in quell'anno il tenente M. Manzi, eseguendo rilievi topografici in Abruzzo, nei quali era compreso il rilevamento del Gran Sasso, si servì della fotografia per meglio disegnare il terreno rilevato con la tavoletta pretoriana; nell'anno successivo applicò lo stesso procedimento sull'altipiano del Moncenisio. Egli riportò varî panorami su lastre al collodio umido coi quali eseguì le levate topografiche del ghiacciaio di Bard alla scala di 1:10000. La fotografia sostituiva già con vantaggio indiscutibile gli schizzi di cui il topografo è obbligato a servirsi quando, come in montagna, non può lavorare che per intersezione. Non poche obiezioni sorsero in seguito contro questo nuovo metodo di rilevamento, che avevano per principale fondamento il passato poco fecondo di esso, gl'insuccessi e altre difficoltà tecniche nell'impiego del collodio umido in alta montagna, l'imperfezione degli apparati impiegati, lontani come si era ancora dagli attuali progressi dell'ottica fotografica; poi, per l'oblio in cui furono lasciati tentativi simili presso altre nazioni, la fotografia in ausilio alla topografia venne abbandonata.

L'abbandono non durò a lungo: nel 1878 il colonnello A. Ferrero, capo del servizio geodetico, propose d'iniziare nuovi tentativi, dei quali fu incaricato l'ingegnere geografo P. Paganini, il quale eseguì nel 1878 un primo rilievo alla scala di 1:25000 con curve di livello di 5 in 5 metri delle cave marmifere di Colonnata (Carrara) nelle Alpi Apuane. Da questa prima campagna riportò 17 panorami (110 prospettive). Questo primo saggio, molto ben riuscito, dimostrò chiaramente che la fotografia poteva essere adoperata per i rilievi topografici, specialmente per zone di alta montagna a pareti ripide, rocciose, dove i rilievi ordinarî sono più faticosi e dove la stagione adatta ai lavori all'aperto dura pochi mesi dell'anno. In seguito, il Paganini rilevò la Serra dell'Argentera nelle Alpi Marittime, il gruppo del Gran Paradiso nelle Alpi Graie, poi il passo dello Spluga, il gruppo del Monte Rosa, ecc. modificando e perfezionando sempre più la macchina fotografica di presa fino a farla diventare un perfetto fototeodolite che poi ha servito di modello a tutti i successivi costruiti per il medesimo scopo. Il passaggio dalle fotografie al rilievo occupava un tempo non indifferente per i calcoli necessarî; cosicché il Paganini ideò e costruì strumenti adatti per ottenere graficamente ciò che prima otteneva col calcolo.

Un avvenimento notevole si verificò verso il 1900 quando C. Pulfrich, con lo stereocomparatore, rese possibile l'impiego della stereoscopia per gli scopi fotogrammetrici. Dopo un tentativo del Deville (1902), E. von Orel costruiva (1908) il primo apparecchio automatico di restituzione (lo stereoautografo), appoggiato alla visione binoculare.

Il rapido sviluppo dell'aviazione aprì un nuovo orizzonte alla fotogrammetria. Già da tempo tecnici di tutti i paesi avevano cercato di eseguire fotografie dall'alto per servirsene in rilievi topografici; ma un primo esperimento riuscito fu quello italiano, allorché nel 1907 si poté rilevam la planimetria di un tratto del Tevere per mezzo di macchina da presa con otturatore azionato elettricamente, munita di sospensione cardanica montata su speciali palloncini frenati; esperimento dovuto a due pionieri dell'aerofotografia, il capitano Moris e il tenente . l'ardivo. Fu pure l'Italia la prima nazione a valersi di fotografie prese dagli areoplani in guerra, durante la campagna italo-turca.

Il progresso e lo sviluppo dei procedimenti aerofotogrammetrici dal 1918 ad ora sono veramente degni di nota. Tra i tecnici che maggiormente hanno contribuito in questo senso ricordiamo R. Hugershoff, H. Roussilhe, C. Koppe, W. Bauersfeld, M. Gasser, U. Nistri, H. Wild, O. v. Gruber. L'Istituto geografico militare italiano ha adottato il sistema Santoni e ha già rilevato molte zone di terreno col fotorestitutore Santoni (ad es. i terreni asfaltiferi in Sicilia 1:5.000, il monte Cavales 1:25.000, ecc.).

Le ricerche sperimentali e tecniche, cui sopra si è accennato, si appoggiano e si collegano a studî teorici assai importanti, il che apparisce ovviamente ove si consideri che il problema fondamentale della fotogrammetria è appunto un problema di geometria descrittiva. Si potrebbero ricordare a questo proposito tutti i matematici che contribuirono allo sviluppo del metodo della proiezione centrale e di quello della bicentrale o stereoscopica. Noi ci limiteremo ai nomi dei due che dedicarono parte notevole della loro attività al problema fotogrammetrico propriamente detto: S. Finsterwalder e G. Hauck (preceduto in alcune cose dallo spagnolo A. Terrero). Alle ricerche di fotogrammetria teorica portarono notevole contributo alcuni geometri italiani, in particolare G. Loria, F. Severi, A. Comessatti.

Fotografie e prospettive. - Una fotografia differisce da una prospettiva geometrica per le seguenti principali ragioni: aberrazioni residue dell'obiettivo e difetto di ortoscopicità di esso, difetto di spianamento della superficie sensibile (strato di emulsione o gelatina su lastra o pellicola), granulazione della gelatina, deformazioni di questa dovute alle operazioni di sviluppo, scorrimento dell'immagine durante il tempo di esposizione, quando vi è moto relativo tra l'apparecchio fotografico e l'oggetto.

I moderni obiettivi fotografici, sia simmetrici sia asimmetrici, anche di notevole apertura relativa (da 1:9 fino a 1:4,5 della distanza focale, la quale per i nostri scopi non supera, in generale, il valore di 25 cm., scendendo anche a 6 cm. in certi casi) e a campo piuttosto grande (fino a 40° ÷ 55°) presentano residui di aberrazione molto piccoli e dànno immagini la cui distorsione massima non supera uno o due centesimi di mm.: questi difetti, che possono tuttavia essere sensibili per lo scopo metrico delle fotografie, si compensano con una costruzione opportuna del filtro giallo necessario per le prese ortocromatiche, oppure usando adeguati procedimenti nella restituzione delle fotografie. La superficie sensibile può essere una porzione praticamente perfetta di piano se l'emulsione viene spalmata su un vetro lavorato come quelli da specchi: però questi vetri hanno spessore e peso rilevanti e quindi non sono molto impiegati nell'aerofotogrammetria, i cui apparati da presa automatici a magazzino utilizzano in generale lastre di vetro comune. Gli errori derivanti dal fatto che lo strato sensibile non è piano si possono compensare mediante opportuni procedimenti di restituzione. Ora si costruiscono apparati fotografici a pellicola, nei quali durante il tempo dell'esposizione questa si fa aderire con mezzi pneumatici o meccanici a una porzione di piano metallico o di cristallo. L'uso delle pellicole per le operazioni aerofotogrammetriche si è affermato da poco tempo e va rapidamente generalizzandosi, perché ormai si è riusciti a costruirle (Agfa, Zeiss-Ikon) in modo che la loro deformazione, dopo le operazioni di sviluppo, fissaggio e lavaggio, sia piuttosto piccola (restringimento di circa il 2‰, p. es. di mm. 0,3 sul lato maggiore di una fotografia del formato di cm. 13 × 18), e, quel che più conta, sia uguale in tutte le direzioni, con irregolarità ammontanti in media a mm. 0,02, e quindi trascurabili. Una riduzione dell'immagine per similitudine non ha importanza, perché equivale semplicemente all'impiego di una distanza focale di presa più piccola di quella effettivamente adoperata. Perciò le pellicole si possono oggi ritenere sostituibili alle lastre (sulle quali la deformazione dello strato sensibile risulta, in generale, trascurabile) col vantaggio di minor peso e ingombro, e anche della possibilità di ricavare delle diapositive (su lastre piane) da impiegarsi invece delle negative originali nelle operazioni di restituzione. Le dimensioni dei granuli dell'emulsione sono dell'ordine di pochi micron, anche nelle lastre di grande sensibilità generale (16-17 gradi Scheiner) che si impiegano in aerofotogrammetria. Più sensibile è lo scorrimento dell'immagine durante il tempo dell'esposizione della lastra: sopra una fotografia presa con asse verticale e distanza focale di f cm. da un aeroplano che vola alla velocità di v km./ora alla quota di h m. rispetto al terreno fotografato, detto scorrimento, espresso in mm., ha il valore s = 2,78 fvt/h, essendo t la durata di esposizione in secondi; per f = 18 cm., v =180 km./ora, h = 1400 m., t = 1/100 sec., segue s = mm. 0,065 = 65 μ.

Astrazion fatta da quest'ultima causa d'imperfezione delle immagini, e poiché può sempre ritenersi che il piano della lastra sia normale all'asse ottico dell'obiettivo, per quanto si è detto sopra le fotografie possono venir considerate come prospettive geometriche prese assumendo come centro di vista il secondo punto principale (o nodale che fa lo stesso) dell'obiettivo. Esse risultano definite da due elementi: l'orientamento interno e quello esterno. Il primo è determinato dalla posizione del piede della perpendicolare abbassata sulla lastra dal centro di vista (punto principale della lastra), e dalla distanza del centro di vista dal punto principale nel momento della presa (distanza principale). Il telaio della camera fotografica su cui appoggiano le lastre è provvisto di marche, le quali vengono fotografate insieme con gli oggetti e determinano sulla lastra due assi coordinati ortogonali x, y, cui si riferiscono i punti immagini; la posizione del punto principale è precisamente definita dalle sue coordinate rispetto a questo sistema. Basta determinarla con l'approssimazione di 102 decimi di mm.; invece la distanza principale (che nel caso di fotografie aeree coincide con la distanza focale) dev'essere cognita con precisione dieci volte maggiore (mm. 0,01 ÷ 0,02). L'orientamento esterno è determinato dalla posizione del centro di vista nell'istante della presa (definita, per es., dalle sue tre coordinate cartesiane rispetto a un sistema di assi collegato alla terra, con l'origine in un punto opportuno, l'asse Z verticale diretto verso l'alto, e gli assi Y, X orizzontali coincidenti rispettivamente con le direzioni cardinali nord e est), dalla posizione dell'asse ottico nello stesso istante (definita, per es., dalla sua distanza zenitale ζ e dall'angolo di direzione ϑ, che la sua proiezione sul piano orizzontale forma con l'asse y); e infine dallo sbandamento, orientamento della lastra nel suo piano definito dall'angolo μ tra l'asse x e le orizzontali della lastra. Nel caso della fotogrammetria terrestre l'orientamento esterno s'impone misurandone gli elementi sugli opportuni organi di cui è provvisto l'apparecchio di presa, immobile; per le operazioni topografiche, di solito si ha ζ = 90°, μ = 0 0, cioè la lastra è verticale e lo sbandamento nullo. Nella fotogrammetria aerea, gli elementi dell'orientamento esterno devono determinarsi a posteriori: si eseguiscono fotografie inclinate (ted. Schrägaufnahmen), ma più spesso esse sono planimetriche, cioè hanno l'asse press'a poco verticale, e quindi il piano della lastra all'incirca orizzontale (Senkrechtaufnahmen): in quest'ultima categoria s'includono ordinariamente le fotografie il cui asse ha una distanza nadirale massima di 10° ÷ 15°, cioè ζ è compreso tra 180° e 170° ÷ 165°.

Vertice di piramide e triangolazioni aeree. - La determinazione dell'orientamento esterno delle fotografie aeree si fa di solito appoggiandosi a una triangolazione eseguita a terra, di cui su ogni lastra risultino fotografati almeno tre vertici: problema del vertice di piramide o dell'intersezione all'indietro nello spazio (Rückwärtseinschneiden).

Per risolvere analiticamente questo problema occorre misurare con un comparatore le coordinate x, y delle immagini dei tre punti noti, o meglio ancora, con un fotogoniometro, i tre angoli delle facce della piramide nel vertice incognito. La risoluzione può farsi con metodi numerici diretti, usando formule rigorose, oppure per approssimazioni successive. Lo studio teorico del problema (S. Finsterwalder, 1897) ha fatto constatare l'esistenza di un cilindro critico (è il cilindro normale al piano dei tre vertici dati e avente per direttrice la circonferenza da essi individuata), i cui punti sono indeterminati: praticamente ciò significa che per punti di presa prossimi al cilindro critico la determinazione dell'orientamento esterno è soggetta ad errori molto rilevanti e non tollerabili. Per questa e per altre ragioni si fa in modo che su ogni lastra compariscano, invece di tre, le immagini di almeno quattro vertici della triangolazione: in tali casi può aver luogo la compensazione, che si effettua col metodo dei minimi quadrati. Il problema del sernplice vertice di piramide interviene nelle operazioni di raddrizzamento, ma quando si effettuano restituzioni propriamente dette necessita determinare insieme gli orientamenti esterni di due fotografie successive parzialmente ricoprentisi (per 2/3 o 3/4 della loro superficie), risolvendo il problema del doppio vertice di piramide. Nella maggior parte dei casi questa risoluzione si fa con metodi misti numerici e ottico-meccanici, sia per guadagnar tempo, sia perché in molti procedimenti di restituzione non interessa la conoscenza dei valori numerici degli elementi dell'orientamento, ma semplicemente si devono collocare le due fotografie nella posizione relativa da esse occupata negl'istanti delle prese. Un caso particolare notevole del problema del vertice di piramide si ha quando, invece di tre vertici, ne sono noti due e la direzione del terzo spigolo della piramide. Ciò si può ottenere in pratica scegliendo come terzo spigolo la direzione del Sole nell'istante della presa, e per questo occorre fotografare, insieme col terreno, anche il Sole e il quadrante di un orologio. Su tale principio è appoggiato il procedimento Santoni.

Si comprende facilmente come, una volta ripristinato l'orientamento esterno di due fotografie del medesimo oggetto, di noti orientamenti interni e prese da punti distinti, si possa ricostruire in vera grandezza o in una determinata scala quella porzione dell'oggetto i cui punti hanno prodotto immagini su entrambe le fotografie, rideterminando detti punti nelle intersezioni delle coppie di raggi omologhi che ne proiettano le immagini rispettive, e cioè per mezzo del procedimento d'intersezione semplice in avanti, comunemente impiegato nella topografia classica. In sostanza tutti i procedimenti di restituzione si appoggiano su questo metodo, ma dall'uno all'altro di essi variano le modalità per il raggiungimento dello scopo. Nel caso particolare in cui l'oggetto sia una figura piana, la sua restituzione si può ottenere mediante una sola fotografia. Si dice allora che si effettua un raddrizzamento. Anche qui si possono seguire diversi metodi, ma oggi si preferisce adoperare appositi apparecchi parzialmente o totalmente automatici.

S'intuisce l'interesse che presenterebbero procedimenti di aerofotogrammetria non richiedenti misure sul terreno, o per i quali necessitassero pochissime determinazioni invece che una fitta triangolazione. Su ciò si hanno studî teorici di geometri italiani e tedeschi. Nel caso in cui dello stesso corpo si conoscano prospettive effettuate su piani di posizione nota da centri di vista incogniti con orientamenti interni pure incogniti, si è dimostrato che: a) una, due o tre prospettive determinano molteplici infinità di forme per il corpo e quindi non solo non consentono di effettuarne la ricostruzione in una determinata scala, ma neppure di determinarne la forma; b) quattro prospettive determinano quaranta forme diverse del corpo, senza consentire di ottenerne le dimensioni; c) cinque o più prospettive determinano in un unico modo la forma del corpo, ma non ne dànno mai le dimensioni, per modo che consentono di costruire una riproduzione di cui non si conosce la scala. Per averla, occorre qualche altro elemento, p. es. la distanza tra due punti del corpo.

Maggiore interesse per la pratica presenta il caso in cui, invece della posizione relativa dei piani di proiezione, si suppongano noti gli orientamenti interni delle singole prospettive. In particolare, S. Finsterwalder ha dimostrato che due prospettive di noto orientamento interno consentono la ricostruzione della forma del corpo analogamente al problema c) sopra considerato. Bisogna ancora osservare che la conoscenza della forma e delle dimensioni del terreno permette di ricostruirlo nello spazio con un orientamento arbitrario, ma non mette ancora in possesso di tutti gli elementi necessarî per farne la carta topografica. Occorre introdurre qualche altro dato: p. es. le quote dei due punti di cui si suppone nota la distanza. Se infine si vuole orientare la carta, bisogna aggiungere ancora un elemento noto, che può essere l'azimut del segmento dato.

Le ricerche di carattere tecnico vertono principalmente sulle triangolazioni nadirali e su quelle a catena e per inclusione. Le prime (Nadirpunkttriangulation dei Tedeschi, Radial o Arundel Method degl'Inglesi) si possono applicare nel caso di terreni pianeggianti e, come lo dice il nome, consistono nell'individuare i nadir delle varie lastre e collegarli tra loro. In pratica, poiché si utilizzano in generale fotografie planimetriche, cioè con asse quasi verticale, ai nadir si possono sostituire i punti principali delle lastre, o, meglio, secondo il v. Gruber, i cosiddetti fuochi, situati tra il punto principale e il nadir. Se il terreno è piano e la distanza nadirale dell'asse delle fotografie non supera 3°, gli errori angolari planimetrici risultano dell'ordine di 1′ o 2′. Per l'applicazione di questo procedimento, studiato primamente da Scheimpflug e Finsterwalder, si possono seguire metodi grafici, ma lo scopo si raggiunge con maggior precisione e rapidità con l'uso del triangolatore radiale del v. Gruber, costruito dalla casa Zeiss.

Il principio della triangolazione a catena è il seguente: per rilevare una lunga striscia di terreno la si sorvoli con un aeroplano, eseguendo un certo numero di fotografie planimetriche, ciascuna delle quali si sovrapponga alla precedente e alla successiva per 2/3 della sua superficie. Se nella prima coppia di lastre compariscono tre vertici noti, è possibile, utilizzando un qualsiasi procedimento di restituzione, risolvere per essa il problema del doppio vertice di piramide e poi determinare le coordinate di altri tre (o più) punti del terreno comuni, oltre che alle due prime, anche alla 3ª fotografia; appoggiandosi a questo gruppo di punti noti, si può restituire la coppia formata dalla 2ª e dalla 3ª lastra e quindi determinare la posizione di altri punti comuni ad esse e alla 4ª fotografia, e così di seguito. Considerazioni teoriche e l'esperienza (circuito aereo di Leuggries, 1923) mostrano che in questo procedimento gli errori crescono rapidamente da una coppia alla successiva e quindi, per applicarlo senza che la precisione del rilievo ne abbia troppo a soffrire, occorre disporre di punti noti di controllo ogni 5 -6 fotografie al più.

Maggiore esattezza si consegue col metodo per inclusione, nel quale si eseguiscono due voli, prendendo, oltre alle fotografie planimetriche da quota opportuna (p. es. 1500÷2000 m.), anche delle vedute inclinate da altezza rilevante (3500÷4000 m.). Su queste ultime (che comprendono una grande estensione di terreno) compaiono i vertici noti di una triangolazione a lati piuttosto lunghi (qualche km.), e quindi, riunendole a coppie, è possibile ripristinarne gli orientamenti esterni, determinando poi per intersezione in avanti le coordinate di altri punti ben visibili sulle lastre, e infittendo la rete esistente, in modo che ciascuna delle fotografie planimetriche venga a contenere almeno tre punti di posizione nota e quindi possa essere direttamente utilizzata per la restituzione. Questi procedimenti non possono però ancora venir considerati come perfettamente acquisiti dalla tecnica fotogrammetrica.

Altrettanto si dica della triangolazione aerea propriamente detta, eseguita appoggiandosi al teorema di Finsterwalder sopra citato. Questa via è stata battuta dal Boykow, le cui concezioni ed apparecchi meritano di essere citati per la loro genialità, benché finora non abbiano ricevuto sanzioni pratiche e il loro impiego si dimostri poco probabile anche per l'avvenire. Due aeroplani uguali, provvisti di apparecchi di presa pure uguali, seguono due rotte parallele e della medesima quota, prendendo fotografie contemporanee del terreno. La contemporaneità delle prese è ottenuta azionando gli otturatori con le onde hertziane. Gli aeroplani hanno una coda costituita da un filo metallico che si svolge durante il volo e porta segnali ben visibili fissati a distanza nota l'uno dall'altro: nello stesso istante in cui si effettuano le fotografie del terreno, da ogni aeroplano si fotografa l'altro con una camera rigidamente collegata a quella fotogrammetrica propriamente detta. Un apparecchio triangolatore consente di ripristinare l'orientamento esterno di ogni coppia di lastre così ottenuta, che si restituisce a mezzo di altro apparato.

Apparecchi di presa. - Nelle operazioni da terra si adoperano i fototeodoliti, che sono goniometri provvisti di una camera fotografica rigida, generalmente semplice, a lastre, nella quale il cambiamento delle lastre è fatto a mano. Il primo fototeodolite propriamente detto fu costruito nel 1884 su indicazioni del Paganini, ma già tra il 1855 e il 1860 il Porro aveva ideato un apparecchio per la fotografia sferica, che si può considerare come un fototeodolite. In molti tipi (Heyde, Zeiss, Salmoiraghi, Finsterwalder, Santoni, ecc.) le lastre risultano contenute in un piano verticale, in altri il piano della lastra può assumere inclinazioni arbitrarie o prestabilite (Paganini, Koppe, Hugershoff, Wild, ecc.). Non occorre che l'obiettivo abbia grande apertura: l'azionamento dell'otturatore è fatto a mano. Le letture sui cerchi graduati orizzontale e verticale di cui l'apparecchio è in genere provvisto si possono fare con l'approssimazione da 1′ a qualche secondo. In certi casi una vite micrometrica speciale consente di misurare, con precisione superiore a quella che sarebbe data dalle letture sul cerchio, l'angolo orizzontale non molto grande, sotteso da un'opportuna mira, e quindi di dedurre il valore della base stereoscopica.

Gli apparecchi da usare da bordo degli aerei possono essere semplici o multipli, a mano o automatici. I semplici hanno un solo obiettivo, e consentono di eseguire una sola fotografia per volta; i multipli due o più obiettivi con i quali si possono fare altrettante fotografie contemporanee su lastre situate in posizione invariabile l'una rispetto all'altra. Come lo dice il nome, le camere a mano sono tenute dall'operatore, il quale può rivolgerle in una direzione qualsiasi, facendo scattare a mano l'otturatore quando lo ritiene opportuno: esse sono sempre semplici e le lastre o pellicole, contenute in chassis o magazzini, vengono cambiate nel modo consueto. Gli apparecchi automatici, invece, possono essere semplici o multipli e sono applicati all'aeroplano in modo opportuno per evitare, o almeno ridurre, l'influenza dannosa delle trepidazioni di questo; lo scatto dell'otturatore ha luogo automaticamente e ad intervalli di tempo costanti e regolabili per mezzo di apposito motorino o di un'elica fuori bordo, che azionano anche il meccanismo per il cambio delle lastre (contenute in appositi magazzini della capacità di 40-100 lastre ciascuno), o per lo svolgimento della pellicola ed eventuale suo spianamento. Gli obiettivi devono avere grande apertura (fino a 1:4,5) e sono, in generale, esclusi gli otturatori di lastra (a tendina) per le deformazioni che il loro impiego determinerebbe nelle immagini. Il formato delle fotografie è rettangolare (da 4,5 × 6 a 13 × 18, qualche volta 18 × 24 cm.) o quadrato (5 × 5 fino a 18 × 18 cm.).

Fotogrammetria terrestre. - Metodo classico. - È quello adoperato dal Porro e dal francese Laussedat, che a partire dal 1859-60 ne ha studiato con grande acume tutti i particolari e le condizioni di applicazione, dal tedesco Meydenbauer, e dagl'italiani Manzi e Paganini, l'ultimo dei quali lo ha notevolmente perfezionato.

È un procedimento di determinazione punto per punto, attraverso calcoli numerosi di distanze e dislivelli ai quali opportunamente il Paganini sostituì operazioni grafiche agevolate da opportuni semplicissimi strumenti: esso richiede molto tempo, ma conduce a carte notevolmente esatte. Presenta l'inconveniente della difficoltà (spesso insuperabile) della determinazione, su due negative prese da punti diversi, delle immagini di un medesimo punto del terreno.

Metodo stereoscopico. - Introdotto nel 1901 dal Pulfrich, questo metodo è basato sull'impiego di uno strumento detto stereocomparatore, destinato alla misura delle parallassi stereoscopiche dei punti di due fotografie della medesima zona di terreno prese con gli assi orizzontali e paralleli tra loro dagli estremi di una base conosciuta (base stereoscopica). La conoscenza delle parallassi conduce a quella delle distanze da uno dei punti di stazione, perché le seconde sono inversamente proporzionali alle prime. Si ha ancora così una determinazione punto per punto, come nel metodo classico. Ma il von Orel è riuscito nel 1908 ad eliminare l'inconveniente con il suo stereoautografo, apparecchio automatico di restituzione, che ha come organo fondamentale lo stereocomparatore, i movimenti delle varie parti del quale vengono trasmessi in modo opportuno a una matita che va ad occupare la posizione planimetrica corrispondente (nella scala in cui si disegna) ai singoli punti di cui si osservano le immagini stereoscopiche. Le quote si possono leggere su una scala apposita, ma è possibile disegnare automaticamente e con continuità le curve di livello. Il modello 1914 dello stereoautografo consente d'impiegare anche coppie di fotografie con gli assi convergenti, e quello cosiddetto per prese aeree anche con assi inclinati rispetto all'orizzonte.

Lo stereoautografo ha avuto notevole diffusione: l'Italia ne possiede due esemplari, con i quali vennero effettuati rilevamenti importanti, specialmente nelle Alpi e negli Appennini, perché questo strumento, come del resto in genere i procedimenti terrestri di fotogrammetria, dà risultati migliori in montagna che nelle regioni di limitato movimento altimetrico. Prima del von Orel il Deville aveva fatto un notevole tentativo, col suo stereoplanigrafo (1902). In questi ultimi anni si sono costruiti strumenti aventi lo stesso scopo e poggianti sugli stessi principî o su principî diversi: in particolare il fotocartografo Ordovas-Kern (1930), il quale sostanzialmente differisce dallo stereoautografo per lo stereocomparatore che contiene le due lastre l'una sotto l'altra in due piani paralleli (orizzontali) anziché l'una a fianco dell'altra e nello stesso piano, con risparmio di spazio. Si deve in proposito ricordare che uno stereocomparatore con le lastre in piani paralleli (verticali) è già da anni costruito dal Hugershoff. Altri apparecchi per fotogrammetria terrestre sono lo stereotopometro Prédhumeau, che utilizza negative di 6 × 6 cm. ottenute sulla medesima lastra con una camera rigida a due obiettivi, e l'autografo Wild di cui parleremo più avanti. Si ricorda, infine, il fotogoniometro binoculare Baroni-Salmoiraghi, col quale la restituzione di coppie di fotografie, eseguite con una piccola camera applicata ad un comune tacheometro, è ottenuta punto per punto attraverso la visione stereoscopica.

La casa Zeiss ha cercato di modificare lo stereoautografo per renderlo atto alle operazioni di fotogrammetria aerea. Rimangono in proposito i poderosi studî del Sander e un esemplare di stereoautografo con dispositivo per prese aeree, ma il tentativo non ebbe seguito per la complicazione degli strumenti derivante dalla difficoltà d'impiegare lo stereocomparatore, ideato e costruito per il caso normale della stereoscopia, alle visuali notevolmente inclinate della aerofotogrammetria.

I più degli apparecchi restitutori per fotogrammetria aerea possono essere anche adoperati per la fotogrammetria terrestre, con un semplice cambiamento di assi coordinati.

Fotogrammetria aerea. - Raddrizzamento. - Si è già detto in che consista quest'operazione avente lo scopo di trasformare la prospettiva di un oggetto piano in una figura simile all'oggetto dato. Il risultato si può raggiungere con semplici costruzioni geometriche applicate punto per punto, metodo seguito con ottimi risultati, per es., da Tardivo e Ranza in diversi rilevamenti effettuati dal pallone frenato negli anni 1907 e successivi (corso del Tevere, scavi di Pompei, città e laguna di Venezia, ecc.). Ma oggi si preferisce adottare un procedimento ottico-meccanico, impiegando un raddrizzatore semiautomatico o automatico, strumento costituito dagli stessi organi di un apparato per proiezioni o per ingrandimenti, e cioè da un proiettore e da uno schermo sul quale si raccoglie l'immagine, con la differenza sostanziale che i piani della lastra e dello schermo possono essere rotati intorno a rette normali all'asse ottico dell'obiettivo da proiezione, per soddisfare alla condizione di formare fascio insieme col piano centrale dell'obiettivo, condizione necessaria per ottenere il raddrizzamento. La distanza focale dell'obiettivo del raddrizzatore è generalmente inferiore a quella dell'obiettivo di presa (pur essendo i due del medesimo tipo per eliminare o ridurre notevolmente gli effetti della distorsione), allo scopo di raccogliere le immagini su uno schermo non troppo lontano con ingrandimento di poche volte rispetto al negativo, senza che le distanze principali impiegate nei due casi differiscano notevolmente.

La risoluzione del vertice di piramide si fa per tentativi e molto rapidamente nei raddrizzatori automatici. Una volta collocati nella giusta posizione relativa la lastra, l'obiettivo e lo schermo, si può mettere su quest'ultimo un foglio di carta sensibile o una lastra fotografica e impressionarla: il raddrizzamento è compiuto. Se l'oggetto da raddrizzare non è perfettamente piano, i suoi punti situati sopra o sotto il piano orizzontale della restituzione risultano spostati dalla posizione che avrebbero qualora si fosse effettuata la proiezione (cilindrica) ortogonale del terreno su detto piano; e precisamente, quando la fotografia è orizzontale, lo spostamento si verifica lungo il raggio vettore uscente dalla proiezione del punto principale della lastra ed è proporzionale alla lunghezza di esso raggio vettore e alla quota relativa del punto considerato. Occorre quindi correggere la posizione dei punti aventi quota differente da quella del piano di riferimento, e ciò può farsi in diverse maniere. Col raddrizzatore Roussilhe (non automatico) si è fatto in questo modo dal 1920 il rilevamento catastale di un'ampia porzione delle regioni francesi già occupate dai Tedeschi durante la guerra, con risultati soddisfacenti. Raddrizzatori più moderni sono costruiti dalle case tedesche Aerotopograph, Zeiss, Photogrammetrie. L'insieme delle fotografie raddrizzate di una certa zona di terreno, opportunamente ritagliate e congiunte tra loro, fornisce il mosaico.

Fotogoniometri. - Prima di parlare degli apparati restitutori è opportuno accennare a questi apparecchi, il cui scopo è di consentire la misura degli angoli (di posizione) determinati nel punto di presa dai raggi diretti alle diverse coppie di punti del terreno che compaiono sulla fotografia. Ciò si consegue situando la negativa nel piano focale di un obiettivo uguale a quello di presa ed effettuandone la proiezione: ogni punto della lastra dà origine ad un fascio di raggi paralleli tra loro, la cui direzione vien determinata con un cannocchialetto in condizione telescopica. Vi sono due tipi fondamentali di fotogoniometro: quello in cui è mobile il cannocchialetto rispetto alla camera da proiezione e l'altro a cannocchiale fisso e a camera mobile. Entrambi si devono a I. Porro che ideò il primo intorno al 1860 e forse prima, ma poi lo abbandonò per costruire il secondo. L'idea fu ripresa dal Koppe, che nel 1896 costruì un fotogoniometro del primo tipo, perfezionato poi dal Pulfrich e adattato alla tavoletta fotogrammetrica del Griesel (1911); quindi i fotogoniometri ricevettero applicazione negli apparati di restituzione (Hugershoff 1917-1919; Poivilliers 1919).

Apparati restitutori. - Si distinguono in speciali e universali, ritenendo che i primi impieghino fotografie con assi poco inclinati rispetto alla verticale (o all'orizzonte se si vogliono adoperare per operazioni di fotogrammetria terrestre), mentre i secondi possono utilizzare fotografie di orientamento qualsivoglia (almeno entro certi limiti molto ampî). Tenuto presente, poi, il modo seguito per individuare i singoli punti della restituzione, gli apparati si dividono in stereoscopici e non stereoscopici.

Al gruppo degli apparati speciali appartengono lo stereoautografo von Orel e lo stereotopometro Prédhumeau sopra citati. Vi è poi tutta un'estesa categoria di strumenti appoggiati sul principio della doppia proiezione di Scheimpflug, il quale sostanzialmente consiste nell'impiego di due apparecchi da proiezione in cui si mettono le lastre successive parzialmente o totalmente ricoprentisi, ripristinandone gli orientamenti interni ed esterni: effettuando le proiezioni, nei punti d'incontro dei raggi omologhi si ottengono i rappresentativi di quelli corrispondenti del terreno. Per poter raccogliere le immagini a distanza non troppo grande e con ingrandimento di 3 ÷ 10 volte rispetto alle lastre, la distanza focale degli obiettivi proiettori è inferiore a quella degli analoghi da presa, mentre le distanze principali sono identiche per la conservazione degli angoli e cioè per ottenere una restituzione simile all'originale. Tra questi apparecchi ricordiamo, oltre al doppio proiettore Scheimpflug, quello dell'Inag, ideato dal Gasser, il fotocartografo Nistri, l'aerosimplex Hugershoff, il cartografo Gallus-Ferber. Solo l'aerosimplex utilizza la visione stereoscopica, proiettando le due fotografie (di piccole dimensioni, 5,4 × 5,4 cm.) l'una a fianco dell'altra con ingrandimento di circa 3 volte e osservando le proiezioni con opportuno stereoscopio a specchi. Gli altri effettuano proiezioni sovrapposte, raggiungendo, per una migliore identificazione dei punti, l'effetto stereoscopico col metodo delle anaglife (proiezioni colorate l'una in verde e l'altra in arancione, osservate con occhiali aventi gli stessi colori invertiti), o del brillamento (proiezioni alternate delle due fotografie, con le quali, per il fenomeno della persistenza delle immagini, si vedono immobili i punti intersezioni di raggi omologhi, i quali cadono nel piano dello schermo mobile, mentre risultano oscillanti gli altri le cui immagini si formano avanti o dietro il detto piano). Nel fotocartografo Nistri è appunto adottato l'ultimo procedimento, introdotto dal Pulfrich nel 1904. Il fotocartografo si distingue dagli altri apparati analoghi per la presenza di 8 schermetti ausiliari destinati a fissare nello spazio i punti rappresentativi dei vertici di triangolazione che figurano sulle lastre, e quindi a risolvere il problema del doppio vertice di piramide con molta rapidità ed esattezza. Una volta ripristinati gli orientamenti esterni, gli schermetti sono allontanati e la ricerca dei varî punti si effettua per mezzo dello schermo mobile (quadrato), che ha nel suo centro una crocetta incisa ed è collegato opportunamente con gli organi di misura e con la matita che traccia la carta. Gli spostamenti in avanti o indietro rispetto all'incastellatura corrispondono a variazioni di quota: essi sono possibili entro certi limiti piuttosto ampî senza che la definizione delle immagini ne abbia a soffrire sensibilmente. I movimenti in un determinato piano verticale consentono di tracciare automaticamente e con continuità la curva di livello che ha la quota corrispondente alla posizione del piano stesso. Col fotocartografo si sono fatti e si stanno facendo importanti lavori, tra cui p. es. il rilievo della città di S. Paolo del Brasile e dintorni, alle scale 1.1000 e 1:5000 (estensione circa 1000 kmq.). Il modello che impiega lastre di 13 × 18 cm. a 9 ingrandimenti può servire anche per carte alla scala 1:10.000, ma per scale minori è preferibile adoperare un modello più piccolo, utilizzante fotografie delle dimensioni di cm. 6,5 × 9. Il cartografo Ferber è analogo al precedente, con in meno gli schermetti e in più certi sistemi di lenti ausiliari (tratti da una concezione adottata dal Bauersfeld nello stereoplanigrafo Zeiss), destinati a conservare nitide le immagini alle diverse distanze. Tra gli apparecchi speciali occupa posto importante l'autografo Wild, nel quale sono impiegati due fotogoniometri del tipo a cannocchiale fisso del Porro, opportunamente modificati. Anche con questo strumento si sono eseguiti importanti rilievi da terra e dagli aerei. In questa categoria si può anche far rientrare il restitutore Santoni, adoperato dal nostro Istituto geografico militare. Esso non contiene apparati ottici proiettori, ma utilizza essenzialmente mezzi meccanici, sostituendo ai raggi luminosi aste metalliche: unico organo ottico è uno stereoscopio col quale si osservano le negative. Caratteristica del metodo Santoni è la risoluzione sepanta del problema del doppio vertice di piramide. Il Santoni sta rendendo universale il suo apparecchio, che perciò diverrà atto alla restituzione di fotografie con assi comunque inclinati.

Gli apparati universali (oltre a quello sopra citato del Boykow), sono l'autocartografo e l'aerocartografo Hugershoff-Hevde e lo stereoplanigrafo Bauersfeld-Zeiss. Analogo all'autocartografo è lo stereotopometro Prédhumeau, mentre è ispirato allo stereoplanigrafo il Big Bertha di Barr e Stroud. Tutti impiegano una coppia di fotogoniometri del tipo a cannocchiale mobile (Porro-Koppe); una volta ripristinati gli orientamenti esterni, le fotografie si osservano con opportuni binocoli stereoscopici di costruzione piuttosto complessa, derivante principalmente dalla necessità di conservare invariata la posizione degli oculari durante l'esplorazione dei varî punti delle lastre. L'autocartografo, costruito fin dal 1919, è stato sostituito nel 1926 dall'aerocartografo, più semplice e di dimensioni ridotte: esso contiene il dispositivo Hugershoff per l'inversione dell'effetto stereoscopico, che consente di mettere nello strumento la terza lastra al posto della prima, senza togliere la seconda, di cui già è ripristinato l'orientamento esterno. Questo dispositivo è adottato anche nell'ultimo modello dello stereoplanigrafo 1930; il primo è del 1923), il quale si distingue dai precedenti apparati per l'originalità del suo sistema ottico e soprattutto degli obiettivi composti del binocolo, applicati in prossimità di quelli dei fotogoniometri e separati dagl'indici e dalla parte oculare. Questi strumemi rappresentano innegabilmente delle costruzioni ottico-meccaniche di concezione geniale e di perfezione e universalità grandissime: però essi sono molto complicati e costosi.

Precisione e impiego. - Numerose esperienze hanno mostrato che la precisione dei rilevamenti fotogrammetrici tanto terrestri quanto aerei non è inferiore a quella dei rilievi tacheometrici alla medesima scala, col vantaggio che la fotografia è possibile anche in zone parzialmente inaccessibili e la rappresentazione del terreno risulta con essa più fedele e particolareggiata. Le difficoltà rappresentate in aerofotogrammetria dalle foreste non sono superiori a quelle che s'incontrano a terra. Il costo dei rilievi aerofotogrammetrici di estensione non troppo piccola (da qualche centinaio di ha. in su) è notevolmente inferiore a quello degli analoghi tacheometrici. La fotogrammetria aerea si può adoperare utilmente in tutti i casi, così per rilievi a piccola scala, come per quelli a grande scala aventi scopo tecnico o catastale. Oltre che per rilievi topografici, la fotogrammetria è impiegata vantaggiosamente nei rilievi architettonici e nella riproduzione di sculture e corpi varî; in quelli delle nuvole, aurore boreali, lampi, ecc., nonché delle onde e dei fondi marini in prossimità delle coste; negli studi criminalistici; nelle ricerche di balistica esterna; in quelle sul moto dei dirigibili e degli aeroplani; nella localizzazione degli oggetti estranei nel corpo umano (Röntgen-fotogrammetria); in astronomia, ecc. Come si vede, il campo d'impiego è vastissimo, e ciò giustifica la formazione di varie associazioni nazionali dedite agli studî fotogrammetrici (in Italia il Gruppo fotogrammetrico italiano dell'Associazione italiana di Aerotecnica) e di una internazionale, fondata nel 1907 dal Dolezal e fiorente per l'adesione di molti stati.

Bibl.: Oltre i trattati classici di Laussedat, Paganini, Tardivo, Lüscher, ecc.: V. Sarnetzky, Grundzüge der Luft- und Erdbildmessung, Berlino 1928; R. Hugershoff, Photogrammetrie und Luftbildwesen, Vienna 1930; O. v. Gruber, Cours de Photogrammétrie, Losanna 1930; H. Roussilhe, Emploi de la photographie aérienne, Parigi 1930; P. Gast, Vorlesungen über Photogrammetrie, Lipsia 1930. Sulla fotogrammetria teorica e la sua storia, oltre alle opere citate sopra e ai trattati indicati nella bibliografia della voce descrittiva, geometria: S. Finsterwalde, Die geometrischen Grundlagen der Photogrammetrie, in Deutschen Math.-Vereinig., VI (1897); F. Schilling, Über die Anwendungen der darst. Geom., insbes. über die Photogrammetrie, Lipsia-Berlino 1904. Pubblicazioni a fascicoli o periodiche: Internat. Archiv. für Photogrammetrie, I-VII (1908-1931); Bildmessung und Luftbildwesen, rivista trimestrale (dal 1924); Anales de la Sociedad española de Estudios Fotogramétricos; Zeitschrift f. Vermessungswesen. Per l'Italia, L'Aerrotecnica (Roma) e L'Universo (Firenze).

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