FOTOSINTESI

Enciclopedia Italiana (1932)

FOTOSINTESI

Giuseppe Gola

. La fotosintesi clorofilliana è il più importante processo biochimico che si svolga negli organismi vegetali viventi, poiché da questo, sotto l'influenza della luce solare, ha origine la formazione dei composti organici del carbonio, fondamento di tutti i fenomeni biochimici degli organismi. Esso fu riconosciuto dapprima da J. Priestley (1772) nella proprietà che le piante verdi hanno di migliorare l'aria confinata sotto una campana, che sia stata viziata dalla respirazione degli animali; proprietà che J. Ingenhousz (1779) constatò manifestarsi solo sotto l'influenza della luce, e che fu precisata da J. Senebier (1782) stabilendo che essa si esplica nella scomposizione dell'anidride carbonica e nell'emissione di ossigeno. Su queste basi H.-B. De Saussure (1804) stabilì le conoscenze sicure del processo di nutrizione delle piante verdi, la cui importanza per l'economia naturale fu definitivamente stabilita da J. Liebig (1848).

Nel processo fotosintetico hanno parte non meno importante i due pigmenti clorofilliani a e b e il plasma del plastidio, che contiene tali pigmenti, in un legame non ancora bene stabilito, certo assai labile, ma tuttavia indispensabile per lo svolgimento di tale funzione.

La fotosintesi clorofilliana si svolge con notevole assorbimento di energia, la quale viene fornita dalle radiazioni della parte visibile dello spettro, senza escludere che anche quelle della porzione ultravioletta dello spettro possano essere utilizzate. Non tutte le radiazioni hanno eguale importanza per tale funzione, ma si può dire che, a partire da una lunghezza d'onda di 680-700 milionesimi di mm., la porzione che è utilizzata al massimo, e anche la più ricca di energia, si ha una utilizzazione decrescente verso la parte più rifrangibile dello spettro. Ciò può essere dimostrato non solo da ricerche quantitative dirette, ma anche dallo sviluppo che assumono delle alghe unicellulari illuminate da uno spettro solare, o dalla quantità di ossigeno emesso da un filamento di alga esposto alle differenti porzioni dello spettro. L'energia luminosa assorbita viene certamente trasformata in energia chimica per la scissione dell'anidride carbonica. Questa entra dall'aria nelle cellule verdi, nelle quali si trova allo stato di soluzione, e viene assorbita dalla clorofilla, la quale, come ha dimostrato R. Willstätter, ha appunto questa proprietà, probabilmente nel senso di legare l'acido carbonico a una delle due valenze del magnesio formando un composto facilmente dissociabile con ritorno alla clorofilla pura. Tale complesso sotto l'influenza della luce subisce una trasposizione atomica interna, per la quale l'ossigeno legato all'acido carbonico viene staccato dal carbonio. A questa fase seguono due fenomeni distinti, l'uno riguardante la sorte ulteriore dell'ossigeno così liberato, e l'altro quella del carbonio. Quanto all'ossigeno, esso rimane legato alla clorofilla, che ne risulta ossidata, e si passerebbe così dalla clorofilla a a quella b, che è appunto più ossidata della prima. Da questa per un fenomeno non ancora chiarito, probabilmente per attività enzimatica (di catalasi, oppure di perossidasi?), l'ossigeno viene messo in libertà sotto forma gassosa e versato nell'ambiente. Il carbonio, intanto, viene legato a due atomi d'idrogeno e uno di ossigeno, formando corpi del tipo dei carboidrati; la prima intuizione di un tale processo si deve a I.-B. Boussingault (1869); i ricercatori ulteriori, pure dissentendo fra loro sulla precisazione dell'idrato di carbonio prima formato, sono tuttavia per la maggior parte rimasti concordi nella classificazione generale di tale primo prodotto. Su tale argomento non si hanno, per ora, che delle ipotesi; tra queste accoglie maggior favore quella del Baeyer (1869), secondo la quale il primo prodotto della combinazione del carbonio con gli elementi dell'acqua sarebbe l'aldeide formica; in appoggio a tale concezione stanno solo argomenti teorici, quali l'estrema semplicità di tale composto, la sua grande facilità di polimerizzazione per formare gli zuccheri più varî, la possibilità di ottenere carboidrati superiori nelle cellule verdi partendo da minime quantità di aldeide formica, o da composti capaci di dare lentamente aldeide formica, i quali siano somministrati a piante tenute all'oscuro. Il fatto probativo della constatazione sicura dell'aldeide formica nelle cellule verdi assimilanti non è sicuramente ammesso da tutti, quantunque numerose esperienze abbiano tentato, e spesso con apparente successo, di dare tale dimostrazione, del resto asssi difficile dal punto di vista analitico.

Secondo il Maquenne (1924) il primo prodotto sarebbe alquanto più complesso, cioè uno zucchero a tre o più atomi di carbonio formato dall'attività, non di una sola molecola di clorofilla, come considerano Baeyer e Willstätter, ma di più molecole di clorofilla legate insieme in modo analogo ai grossi complessi che si osservano nello stato colloidale. Comunque, anche l'ipotesi di Baeyer considera un'immediata polimerizzazione dell'aldeide formica in zuccheri a tre o più atomi di carbonio, fino a formare essosi; questi, poi, per condensazione con eliminazione di acqua, dànno luogo alla formazione di amido. Infatti l'amido è il primo prodotto della fotosintesi sicuramente constatabile; in un grandissimo numero di piante che siano tenute all'oscurità per un tempo sufficiente a fare scomparire ogni traccia di amido nei cloroplasti si può constatare la formazione di amido appena esse siano esposte alla luce; bastano talora tre o quattro minuti per constatarne la presenza; assai più forte è l'accumulo di amido se organi verdi (p. es. foglie) sono esposti alla luce per più ore. È molto dimostrativa l'esperienza che si può fare ricoprendo con stagnola una parte di una foglia, e lasciando esposta alla luce la parte rimanente; dopo qualche ora di esposizione si scolora la foglia con alcool, e poi trattando la foglia scolorata con una soluzione di iodio, in presenza di acqua, si ha un'intensa colorazione bruna delle parti esposte, dovuta alla nota reazione dell'amido con lo iodio. L'esame microscopico permette di stabilire meglio la sede di tale colorazione che è appunto dovuta alla presenza di finissimi granuli di amido nei cloroplasti. Alcune piante, come molte Liliacee, non hanno amido nei cloroplasti, ma ciò non infirma la generalità del fenomeno, essendo dovuto a fattori secondarî. L'amido formato nei cloroplasti è detto primario, e più o meno rapidamente viene disciolto per opera degli enzimi contenuti nel plastidio, e diversamente utilizzato e trasportato altrove ove forma, spesso, forti accumuli di amido, detto secondario. Da questi idrati di carbonio iniziali dipende la formazione di tutti gli altri composti organici dei viventi.

Mentre la prima parte del fenomeno fotosintetico (scissione dell'anidride carbonica) richiede l'intervento della luce, la formazione dell'amido a partire dalla presunta aldeide formica può avvenire anche all'oscuro e per attività non della clorofilla, ma del plastidio clorofilliano. Il plastidio vivente ha sempre una parte notevole, sia nella fase di scissione del carbonio dall'ossigeno, poiché ciò non si verifica con la clorofilla pura staccata dal plastidio, sia nella rigenerazione della clorofilla a dalla clorofilla b, sia infine nella polimerizzazione dei primi carboidrati formati.

Il rendimento energetico della fotosintesi clorofilliana è assai difficile da calcolare, essendo numerosissimi i fattori che v'intervengono; in generale si può dire che esso è assai basso, circa 0,50-1,50% dell'energia solare che colpisce l'organo assimilante. Ma a far variare tale rendimento concorrono, come si disse, numerosissimi fattori che si ricorderanno brevemente: a) la quantità di anidride carbonica presente nell'aria: il contenuto di 0,03% di anidride carbonica normale dell'aria rappresenta un valore assai basso; assai più favorevole per le piante è un contenuto maggiore in anidride carbonica fino al 6%; b) la quantità di luce incidente sull'organo assimilatore; a bassa illuminazione il coefficiente di utilizzazione dell'energia luminosa sembra essere alquanto maggiore; a illuminazione molto intensa il plastidio può soffrire, sia temporaneamente sia permanentemente, nella sua capacità assimilatrice; c) la lunghezza d'onda della luce: sono assai meglio utilizzate le radiazioni meno rifrangibili rispetto a quelle più rifrangibili; d) la temperatura e la quantità di acqua a disposizione della pianta; e) la quantità di clorofilla non sembra abbia un'influenza notevole; f) soprattutto ha importanza lo stato di vitalità del plastidio: essa risente di parecchi dei fattori esterni sopra enumerati (temperatura, quantità di acqua, luminosità eccessiva, ecc.), ma soprattutto essa è in funzione della specie vegetale alla quale appartiene, e dell'età del plastidio stesso: le foglie giovani contengono poca clorofilla, e hanno un'attività assimilatrice assai maggiore delle foglie vecchie, che pure hanno accumulato un'assai maggiore quantità di pigmenti clorofilliani. Tutti questi fattori interferiseono spesso fra loro determinando, quindi, delle modalità di rendimento assai complesse e difficili a valutare esattamente. Comunque è da rilevare come il processo di fotosintesi clorofilliana, che ha tanta parte nell'economia naturale, e che, nelle sue modalità, è per ora privilegio esclusivo delle piante verdi, utilizza una ben piccola parte dell'energia che dal sole si riversa quotidianamente sulla terra. Solo la enorme quantità di elementi cellulari assimilatori riceventi luce sulla superficie della terra permette la quotidiana fissazione d'imponenti forze irradiate dal sole.

Bibl.: R. Willstätter e Stoll, Unters. u. d. Chlorophyllassimilation, Berlino 1918; A. Menozzi e U. Pratolongo, Chimica agraria, I, Milano 1931.

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