GRIMALDI, Franceschino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 59 (2002)

GRIMALDI, Franceschino

Riccardo Musso

La sua nascita è da collocarsi probabilmente verso la metà del secolo XIII, molto facilmente a Genova. Come per la maggior parte dei personaggi genovesi dell'epoca, le notizie su di lui sono estremamente scarne e quelle poche si prestano oltretutto a equivoci e scambi di persone per la presenza, nei medesimi anni, di numerosi omonimi. La stessa sua identificazione presenta non pochi problemi, tanto che fu considerato, erroneamente, il fondatore della dinastia dei principi monegaschi. Il Venasque-Farriol, genealogista dei principi di Monaco, gli attribuisce come padre Grimaldo di Oberto, confondendolo così con Lanfranco, il vero capostipite dei signori di Monaco.

Si trattò, probabilmente, di una attribuzione forzata, allo scopo di anticipare alla fine del Duecento i loro diritti signorili (risalenti in realtà a circa un trentennio dopo) ma, soprattutto, di avvolgere nella leggenda l'origine della loro signoria. Attribuendo a Lanfranco (o, talora, a un sedicente Lanfranchino, di lui figlio) l'audace impresa del G., e anticipandola di nove anni, veniva infatti creato un mito dinastico destinato a notevole fortuna, tanto che ancora oggi la statua del leggendario conquistatore della rocca, travestito da frate, adorna un angolo della piazza del Castello di Monaco.

Che i due non possano essere la stessa persona è ampiamente dimostrabile dai dati cronologici, giacché se di Lanfranco abbiamo testimonianze documentarie che spaziano dal 1240 al 1275, quelle riguardanti il G. sono successive e riferite a un periodo compreso tra il 1268 e il 1307. Detto questo, si può ragionevolmente ritenere - sulla base delle genealogie conservate negli archivi genovesi - che il G. fosse figlio di un Bonifacio, morto nel 1264, il quale era cugino primo del predetto Lanfranco per essere figlio di uno dei fratelli di Grimaldo, Nicolò (già defunto nel 1258). Il nome della madre non è noto.

Allo stesso modo nulla sappiamo della sua infanzia e giovinezza, sebbene il Venasque-Farriol asserisca che egli sia stato allevato a Costantinopoli, alla corte dell'imperatore Michele Paleologo, presso il quale avrebbe più volte servito quale capitano, giungendo a ottenere la dignità di gran ciambellano. Non si sa dove il genealogista provenzale abbia ricavato tali informazioni, né se esse si riferiscano effettivamente al G., al già ricordato Lanfranco o a un Francesco, vivente più o meno negli stessi anni; del resto, il fatto che un guelfo, oltretutto legato strettamente alla casa d'Angiò, abbia potuto fare carriera presso i Paleologhi appare abbastanza improbabile.

Le prime notizie certe sul G. risalgono invece al 1268, quando compare in un atto notarile come acquirente di una partita di spezie portate a Genova sulle galee genovesi di Lucchetto Grimaldi, reduce dalla fortunata spedizione in Siria. Nonostante la giovane età, cui faceva evidente riferimento il diminutivo con cui era conosciuto, egli aveva, all'interno della fazione guelfa e del proprio "albergo", una posizione preminente, certo ereditata alla morte del padre, avvenuta, come ricordato, nel 1264. Così, quando nel 1271, gli Spinola e i Doria presero il potere, proclamando capitani del Popolo i "due Oberti" (Oberto Spinola e Oberto Doria), il G. fu uno tra i guelfi che, l'anno successivo, vennero costretti all'esilio e sottoposti alla confisca dei beni. Come molti tra i suoi parenti egli si rifugiò nelle terre controllate dal loro protettore, Carlo I d'Angiò re di Sicilia, forse in quella parte del Piemonte allora sottoposta alla signoria provenzale.

Il coraggio del G., che probabilmente già si era guadagnato l'attenzione del sovrano, gli valse, da parte di questo, una raccomandazione presso Corrado ed Enrico Del Carretto, i potenti signori delle Langhe e del Finale, ai quali il re ordinò di dare in sposa al G. la loro sorella Aurelia. Il matrimonio dovette celebrarsi nel 1273; poco prima il G. aveva ottenuto da Carlo I il cingolo cavalleresco, nonché - secondo varie fonti - la custodia, con altri Grimaldi, di alcuni castelli di cui non si conosce la collocazione geografica. Le sue capacità militari e la perizia marinaresca dovevano essere notevoli, nonostante la giovane età perché, nell'estate dell'anno seguente, il re lo volle come consigliere del capitano generale Philippe de Toucy, comandante di un'armata di 50 galee allestite nel Regno meridionale contro i Genovesi.

La sua presenza a bordo, come del resto quella di altri fuorusciti, doveva servire anche per effettuare, una volta che gli Angioini si fossero impadroniti di Genova, una selezione degli amici e dei nemici fra i concittadini caduti prigionieri. La spedizione, in parte progettata dal G. stesso, si radunò all'isola d'Ischia ai primi di agosto e di qui si diresse contro Genova, cercando di coglierla di sorpresa; la reazione dei ghibellini fu però immediata, tanto che il Toucy preferì non ingaggiare il combattimento e si ritirò verso le coste provenzali; di qui riapparve dopo pochi giorni, puntando direttamente su Portovenere, per proseguire, dopo avere devastato la Palmaria, verso Napoli.

La pace stipulata il 16 giugno 1276 tra Carlo e Genova consentì al G. e agli altri fuorusciti di fare rientro in patria e di riottenere i propri beni. Si trattò tuttavia di una riconciliazione apparente, imposta da altri e che, soprattutto, non modificava i rapporti di forza esistenti nel governo del Comune, interamente nelle mani dei ghibellini. Così, già nel 1277, i guelfi appena rimpatriati - Fieschi e Grimaldi in particolare - vennero accusati di maneggi segreti per deporre i due capitani e abbattere il regime popolare. Essi dovettero abbandonare in massa la città e contro di loro fu emanato il bando perpetuo. Trovarono rifugio presso i Malaspina, insieme con i quali scatenarono una guerra nella Riviera di Levante, stroncata però dal vittorioso intervento di Oberto Doria.

I fuorusciti si appellarono allora a papa Niccolò III, il quale delegò il vescovo di Forlì, Rodolfo, a esaminare la vertenza; questi, esaminati gli atti, pronunciò la scomunica a carico dei capitani e dei magistrati del Comune per rottura delle convenzioni giurate e, in più, gettò l'interdetto sulla città. Finché visse Niccolò III, scomuniche e interdetto restarono in vigore, ma con il suo successore, Martino IV, la loro applicazione cominciò a venire meno, anche perché nel frattempo a molti degli esuli era stato consentito di fare ritorno a Genova. Guelfi e Grimaldi continuarono tuttavia a essere emarginati dalla vita pubblica genovese, mentre il governo dei capitani, impegnati nella guerra con Pisa, venne sempre più caratterizzandosi come un governo di "popolo", sia pure capeggiato da due grandi famiglie aristocratiche come i Doria e gli Spinola. Quando, nel 1288, allo scadere dell'iniziale mandato decennale, i capitani si fecero prorogare la carica dal "popolo" per altri cinque anni, i nobili e i guelfi, sostenuti dal nuovo arcivescovo Obizzo Fieschi, organizzarono una congiura per eliminarli. Il complotto fallì per l'opposizione dei popolari e, nel gennaio 1289, i Grimaldi dovettero nuovamente prendere la via dell'esilio.

A questi episodi il G., quale importante membro del suo "albergo", prese probabilmente parte, ma su questo periodo della sua vita non esistono testimonianze. Si può supporre che si sia rifugiato a Nizza, come molti dei suoi consorti, e il Venasque-Farriol ritiene anche che egli sia stato vicario della città per conto di re Carlo II. Sembra comunque certo che, in quegli anni, egli abbia servito il sovrano angioino. Lo troviamo infatti, nel giugno 1295, tra i presenti al trattato di Anagni, che doveva sancire la storica pace tra il Carlo II e Giacomo II d'Aragona.

È difficile quindi che il G. si trovasse a Genova quando, dopo l'ennesima rappacificazione (del gennaio del 1296), i Grimaldi e i loro alleati furono nuovamente espulsi, al termine di quaranta giorni di aspri combattimenti, nel febbraio. Di certo, tuttavia, in quella occasione i suoi beni furono confiscati, perché il suo nome figura tra quelli dei cittadini guelfi sottoposti a tale misura. Ancora una volta in esilio, si stabilì a Nizza, dove cercò di compensare la perdita delle rendite genovesi con il commercio, ma apparentemente senza grande fortuna perché nel 1297 una nave con merci sue, di Gabriele, Ansaldo e Raniero Grimaldi, fu sequestrata nel porto di Siracusa dai Catalani.

Risale proprio a quell'anno (8 gennaio) la prima conquista di Monaco da parte dei guelfi. Il merito dell'impresa è stato spesso attribuito al G. che, secondo la "leggenda", vi penetrò con alcuni compagni travestiti da frati; questo stratagemma, più volte ricordato, gli è valso il soprannome di Malizia, anche se in effetti, i contemporanei lo indicano con un nome diverso, "matia" o "macia", ovvero, presumibilmente, mazza.

Si tratta, in realtà, di una grossolana confusione tra due avvenimenti accaduti a nove anni di distanza l'uno dall'altro. Non sembra infatti che il G., nel 1297, abbia preso parte alla conquista della rocca. Non solo di lui non è fatta menzione negli annalisti genovesi, ma neppure il suo nome compare tra quelli dei nobili guelfi abitanti a Monaco ricordati in diversi atti del 1300 e 1301, mentre si sa invece che, nel 1298, egli si dedicò a una propria guerra personale contro i Veneziani, nelle acque del Levante, depredando amici e nemici fin quasi alle coste dell'isola di Cipro. Queste imprese piratesche lo tennero impegnato nell'Egeo per alcuni anni, al termine delle quali ritornò a Nizza, dove possedeva case e terre.

Qui verso la fine del 1306 organizzò il colpo di mano per cui è rimasto famoso, riuscendo a penetrare con pochi amici la notte di Natale nella rocca di Monaco, dal 1301 tornata in possesso dei ghibellini. Nicolò Spinola, che comandava la guarnigione genovese, riuscì a fuggire, rifugiandosi a Dolceacqua; qui si radunarono in pochi giorni le milizie dei Doria, degli Spinola e dei loro aderenti della Riviera di Ponente le quali, nel gennaio 1307, si scontrarono con i guelfi presso Ventimiglia.

Nella battaglia, secondo quanto riferito dal cronista astigiano Guglielmo Ventura, il G. trovò la morte.

Dal suo matrimonio con Aurelia Del Carretto ebbe almeno due figli, Giacomo (vivente nel 1333) e Antoniotto; da quest'ultimo, morto intorno al 1345, discese uno dei rami nizzardi della famiglia Grimaldi, i cui esponenti erano divenuti cittadini di quella città dove ottennero, grazie al favore dei conti di Provenza, la signoria di Châteauneuf.

Fonti e Bibl.: G. Ventura, Memoriale de gestis Astensium, a cura di C. Combetti, in Monumenta historiae patriae, Scriptores, III, Augustae Taurinorum 1848, col. 725; G. Del Giudice, Diplomi inediti di re Carlo I d'Angiò riguardanti cose marittime, Napoli 1871, pp. 19 s.; A. Ferretto, Codice diplomatico delle relazioni fra la Liguria, la Toscana e la Lunigiana ai tempi di Dante, in Atti della Società ligure di storia patria, XXI (1901-03), 1, p. 113; A. de Boüard, Actes et lettres de Charles Ier concernant la France, Paris 1926, n. 761; I registri della Cancelleria angioina, a cura di R. Filangieri, X, Napoli 1957, n. 648, p. 165; Ch. de Venasque-Farriol, Genealogica et historica Grimaldae gentis arbor…, Parisiis 1647, p. 92; N. Battilana, Genealogie delle famiglie nobili di Genova, II, Genova 1826, FamigliaGrimaldi, p. 1; P. Gioffredo, Storia delle Alpi Marittime, in Monumenta historiae patriae, Scriptores, II, Augustae Taurinorum 1839, col. 670; C. Minieri Riccio, Il regno di Carlo I d'Angiò. 1274, in Arch. stor. italiano, s. 3, XXIII (1876), p. 236; G. Rossi, Storia della città di Ventimiglia, Oneglia 1886, pp. 110 s.; G. Caro, Genova e la supremazia sul Mediterraneo, in Atti della Società ligure di storia patria, n.s., XV (1975), 1, pp. 199, 288, 328, 348; 2, p. 240.

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