ALBERGATI CAPACELLI, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 1 (1960)

ALBERGATI CAPACELLI, Francesco

Alberto Asor Rosa

Nacque a Bologna il 19 apr. 1728 dal marchese Luigi e da Eleonora Bentivoglio d'Aragona. Sebbene appartenesse ad una delle più nobili famiglie bolognesi, fin dalla giovinezza fu attratto da una grande passione per il teatro, al quale, superando incomprensioni e pregiudizi, dedicò tutta la sua vita, come traduttore, interprete dilettante, commediografo, protettore di attori e di autori. Continuò, tuttavia, stancamente, la tradizione civica famigliare, succedendo al padre nella dignità senatoria e ricoprendo più volte la carica di gonfaloniere di giustizia della città di Bologna. Appartenne anche a varie Accademie letterarie della sua città, come la Colonia Renia dell'Arcadia, e fu principe dell'Accademia dei Gelati.

La vita intima di questo spiritoso e colto marchese, che tanto amava l'allegra finzione della scena, fu quasi sempre tormentata e infelice. Sposò la prima volta giovanissimo, il 18 apr. 1748, la contessina Teresa Orsi. Il matrimonio, imposto dalle rispettive famiglie, falli miseramente; e l'A. ottenne di scioglierlo dinanzi al Tribunale ecclesiastico, sottoponendosi a un lungo e imbarazzante giudizio, cui infine lo sottrasse il benevolo intervento del papa Benedetto XIV.

Dopo varie avventure e idilli, fra i quali il più notevole fu quello con la contessa Maria Orinzia Orsi, l'A. intrecciò una relazione più seria con la bolognese Caterina Boccadabati, detta, alla veneziana, Cattina, appartenente, forse, ad una famiglia di comici, che egli sposò nel 1772, dopo averne avuto un figlio, il suo primogenito Luigi. Ma i rapporti tra i due coniugi andarono peggiorando fino a giungere alla tragedia. Durante un soggiorno nella loro villa di Zola, dopo un litigio più furioso dei soliti, Cattina si diede la morte pugnalandosi. L'A., sotto l'accusa di aver assassinato la moglie, fu sottoposto ad un rigoroso processo, da cui uscì pienamente assolto.

Il fatto destò in tutta Italia un enorme rumore. Ne resta traccia in alcune opere letterarie ad esso dedicate: dell'abate G. Compagnoni, la prosa Cattina, ossia, Lettera di questa donna al Marchese Albergati, Torino 1786; del Fantoni ("Labindo" in Arcadia), i versi per la morte di Cattina, nelle Poesie, Milano 1823; di G. Giraud, il dramma Il sospetto funesto, ossia la sventura degli infelici coniugi Albergati, Milano 1830.

Trasferitosi a Venezia, nel 1789, a sessant'anni, passò a terze nozze, sposando Teresa Checchi Zampieri, ballerina venticinquenne, che non fu, forse, una moglie fedelissima, ma gli diede comunque anni di tranquillità e di pace.

La vita privata dell'A. non importa peraltro, se non in funzione della sua passione per le scene. Nel complesso multiforme della sua opera, quasi tutta mediocre e di limitati orizzonti, dominata da una persistente incertezza di scelte, e dall'imitazione di autori contemporanei di tendenze quanto mai contrastanti, si può, tuttavia, stabilire un punto fermo, storicamente importante: l'A. partecipa abbastanza seriamente (e con maggior impegno di quanto non sia sembrato ad alcuni critici suoi) di quel fervore di rinnovamento del nostro teatro, che, dopo la metà del sec. XVIII, investe e travolge le rappresentazioni sceniche a soggetto, rimettendo in onore le commedie regolate, scritte interamente dall'autore, con criteri di dignità artistica e formale. È fra quelli che attribuiscono al teatro comico il compito di affrontare le piaghe del tessuto sociale e curarle con l'arme della satira e del sarcasmo: e in ciò può dirsi uno dei tanti moderati illuministi di quel tempo, che importavano in Italia dalla Francia temi e battaglieri propositi. S'intende bene che il suo idolo doveva essere Goldoni.

Con i larghissimi mezzi di cui disponeva l'A. fece costruire nella propria sontuosa villa di Zola, presso Bologna, un teatro, capace di trecento posti, nel quale recitava con altri dilettanti commedie e tragedie, italiane e francesi, quest'ultime tradotte da lui stesso o da altri. Particolarmente felice fu il periodo tra il 1751 e il 1766. L'A. iniziò la sua attività letteraria traducendo i dialoghi di G. Addison, Dell'utilità delle antiche medaglie, Bologna 1760; poi passò al teatro francese e, insieme con G. Paradisi, diede fuori una Scelta di alcune eccellenti tragedie francesi tradotte, Liegi (ma Modena) 1764, voll. I e II; 1768, vol. III. Fra le traduzioni dell'A. sono particolarmente notabili quelle della Phédre e della Iphigénie di Racine; del Don Pèdre, della Sophonisbe, de Les Guèbres ou la tolérance del Voltaire.

Durante il periodo del suo amore per la contessa Orsi, con costei e con il marito di lei, Ercole Orsi, fondò a Bologna un teatro accademico detto dei "Ravvivati". In seguito alle disillusioni del suo amore per la Orsi, l'A. scrisse il suo primo lavoro scenico originale, L'Arnor finto e l'Amor vero. Nel 1768 iniziò un fitto carteggio, prima letterario, poi decisamente amoroso, con la veneziana Elisabetta Caminer, figlia di Domenico, direttore prima del periodico l'Europa letteraria, poi del Giornale enciclopedico, la quale, attraverso una copiosa serie di traduzioni dal francese, aveva contribuito a diffondere in Italia il gusto delle commedie lagrimose. Qualche traccia dell'influenza esercitata dalla Caminer su di lui si può riscontrare nella sua opera successiva, nella quale troveremo drammi flebili e spunti di "larmoyant". Nel '74, con il Prigioniero, dramma flebile in cinque atti e in versi, vinse il premio del concorso di Parma, indetto dal ministro Du Tillot. Dal 1774 al 1778 pubblicò a Venezia, in cinque volumi, Il Nuovo Teatro Comico, con l'aggiunta di alcune tragedie francesi da lui tradotte, rivelando, nel titolo e nel tipo di commedie presentate, l'ambizione di continuare la opera di Goldoni, ormai lontano dalla patria. Ma alla corretta tragedia francese e alla commedia goldoniana dei primi tempi, l'A. non disdegnava ora d'intrecciare i drammi filosofico-sentimentali dei discepoli di Rousseau e di Diderot.

Non sfugge l'A., nella maggior parte della sua produzione teatrale, alla mediocrità e alla tipizzazione convenzionale. Più spontaneo ed acuto riesce, quando è più vicino al suo grande e consentaneo modello, il Goldoni. E, in questi casi, esprime anche qualcosa di suo, che, comunque, appartiene più al campo del moralismo e della polemica sociale che a quello proprio dell'arte. Nella sicurezza, forse, della sua posizione sociale, egli è talvolta più aspro e radicale del Goldoni nell'additare piaghe e difetti della nobiltà contemporanea. Non ha la bonomia di quello, né i suoi personaggi possiedono la fisionomia umana e convincente dei personaggi goldoniani, ma ha più forza e intransigenza: si vedano i tipi della dama isterica nelle Convulsioni, della vecchia dama infrollita nei Pregiudizi del falso onore, del musico nel Ciarlator maldicente.

L'A. tentò anche altre vie. Nel 1779, compose con l'ex gesuita G. F. Altanesi Novelle morali ad uso dei fanciulli, che meritarono il severo giudizio di S. Bettinelli (lettera del Beninelli all'A., da Mantova, 12 ag. 1779). Con l'abate F. Zacchiroli, pubblicò una raccolta di Lettere capricciose, Venezia 1786, in cui tentava un genere di epistolografia divertente su argomenti seri, troppo superiore alle possibilità stilistiche e culturali dei due corrispondenti. Dopo il matrimonio con la Checchi Zampieri, rientrato nel 1791 definitivamente a Bologna, per curare di persona le sue dissestate fortune, attese a nuovi lavori letterari, scambiando con G. Compagnoni le Lettere piacevoli, se piaceranno, Venezia 1792, e, con il canonico F. Bertazzoli, le Varie, Parma 1793.

Per quanto illuminato e anticonformista durante tutta la sua vita, l'A. respinse e condannò decisamente gli eccessi della Rivoluzione; ma non disdegnò di occuparsi della cosa pubblica durante il penodo napoleonico. Nel 1798 pubblicò a Milano l'opuscolo Della drammatica, in cui difendeva la libertà, entro certi limiti morali, della fantasia degli autori teatrali, in garbata polemica con coloro i quali avrebbero voluto che fossero proibite tutte quelle opere, che non si ispirassero a sentimenti di "civismo". Il suo punto di vista moderato gli guadagnò le simpatie del governo, che lo nominò dapprima, nel 1800, revisore delle stampe e dei libri, in unione a L. Savioli, poi, nell'anno seguente, ispettore degli spettacoli. Nella sua prima funzione, egli proibì una traduzione della Nouvelle Heloïse del Rousseau, come opera contraria alla morale (a testimonianza della trasformazione da lui attraversata, dai primi entusiasmi giovanili per gli autori illuministici, a questo tardo conservatorismo). Non ottenne la cattedra di letteratura drammatica all'università di Bologna, che pure gli era stata promessa. Nel febbraio 1804 fu nominato direttore delle scuole elementari di Bologna. Mori poche settimane dopo, il 16 marzo 1804.

La parte più interessante della storia dell'A. è rappresentata, però, dai contatti amichevoli, che egli ebbe con un gran numero di letterati e pensatori del suo tempo, testimonianza di vivacità e curiosità culturale piuttosto che di coerenza ideale e artistica. Sopra tutti, il Goldoni, che l'A. conobbe a Bologna nel 1752 e col quale intrattenne un cordiale scambio epistolare, anche quando il Goldoni si recò in Francia. Fra l'altro, all'A. si deve se il Goldoni fu messo in contatto con il Voltaire, suo ammiratore, come il Goldoni stesso ricorda. Con il Voltaire, l'A. ebbe (dal 1758) una frequente corrispondenza che terminò nell'ottobre 1767, attraverso un progressivo raffreddamento da parte del Voltaire.

L'A. conobbe l'Alfieri nel 1783, e, dopo un primo giudizio negativo, ne divenne sinceramente amico; e, quando, nel 1785, si rappresentò a Bologna per la prima volta la Virginia, si adoperò per assicurarne il successo (la loro corrispondenza va dal marzo 1785 al gennaio 1796). I rapporti con il Baretti furono fondati sulla ricerca di una reciproca utilità: l'A. desiderava che il critico parlasse della sua Scelta di tragedie (ma il Baretti gliene diede un benevolo giudizio solo in privato, in una lettera dell'agosto 1765, sdegnandosi però delle lodi rivolte dall'A. al Goldoni); il Baretti si appoggiò all'A. quando fu espulso da Venezia, e sostò a Bologna qualche tempo prima di recarsi all'estero. La loro corrispondenza, fittissima tra il 1765 e il '66, presto si raffredda, sino a spegnersi dopo una lettera del Baretti da Londra del 20 sett. 1771, critica di certe affermazioni dell'A, sull'arte drammatica. L'A. conobbe anche il Casanova, con il quale ebbe piuttosto uno scontro che un incontro, come testimonia l'avventuriero nelle sue Memorie. Notabile è anche il giudizio che il Casanova esprime su di lui in una conversazione con il Voltaire, sulla cui autenticità molto si è discusso.

Un caso a parte costituisce la storia dei rapporti dell'A. con C. Gozzi, cui l'A. dedicò una sua favola teatrale, Il Sofà, espressione delle teorie antigoldoniane del Gozzi. Pubblicando successivamente la favola nel suo Nuovo Teatro Comico, nella prefazione la giudicò indegna e scritta solo per compiacere all'insensato gusto del pubblico. Il Gozzi, che nelle sue Memorie parla pure benevolmente dell'A., scrisse allora contro di lui una specie di opuscolo polemico ferocissimo e demolitore, rimasto per altro inedito.

Fonti e Bibl.: Tutti i documenti relativi all'A. si conservano nella Biblioteca comunale di Bologna tra i mss. dell'erudito F. Tognetti, che li copiò di sua mano. Quasi tutta la produzione dell'A, èraccolta nelle Opere drammatiche complete e scelte prose, Bologna 1827-29. Da segnalare ancora, tra le opere edite, le Orazioni Per la solenne distribuzione de' premi agli studiosi di pittura, scultura e architettura dell'Accademia Cleinentina, Bologna 1772, e Per la solenne distribuzione de' premi alla pittura, recitata nella pubblica Veneta Accademia di Pittura, Scultura e Architettura, Venezia 1784. A cura di A. Ravelli, comparve a Londra nel 1794 una Scelta di Commedie e Novelle morali del Marchese A.C.

Per i rapporti dell'A. col Goldoni: C. Goldoni, Mémoires, in Tutte le opere, a cura di G. Ortolani, I, Milano 1954, pp. 308-309; Id., Lettere, in Tutte le opere, XIV, passim; Id., La Pamela maritata, dedica a M.de Voltaire, e prefaz. dell'autore A chi legge, con le lettere di Voltaire e dell'A. in lode del Goldoni, in Tutte le opere, VII, pp. 419, 423-427 (in cui il Goldoni ricorda l'A. come tramite per i suoi rapporti con Voltaire).

Per i rapporti con Voltaire: Voltaire, Correspondance, in Oeuvres cornplètes, XXXVII, Paris 1915, pp. 190, 308, 366, 426; XXXVIII, ibid. 1912, pp. 12, 45, 136, 241, 287, 432; XXXIX, ibid. 1912, pp. 92, 98, 130, 200, 244, 364, 390; XL, ibid. 1911, pp. 18, 61, 94, 250; XLI, ibid. 1912, pp. 366, 405. Per i rapporti con l'Alfieri: V. Alfieri, Lettere, Torino 1903, passim; col Baretti: G. Baretti, Epistolario, a cura di L. Piccioni, Bari 1936, I, passim; II, pp. 3-4, 87; col Casanova: G. Casanova, Mémoires, Paris 1924-1935, VI, 230; XII, 120-123, 138; P. Molmenti, Carteggì casa novianì. Lettere di G. Casanova e di altri a lui, s.l. e d., pp. 115-117; col Gozzi: C. Gozzi, Memorie inutili, a cura di G. Prezzolini, Bari 1910, p. 372; F. Galanti, Uno scritto inedito di C. Gozzi, in Atti d. R. Ist. veneto di scienze, lettere ed arti, LXVI (1906-07), disp. III, 2, pp. 169-186.

Biografia e critica: fondamentale è l'opera di E. Masi, La vita, i tempi, gli amici di F.A.C., Bologna 1878. Si v. ancora: F. Zacchiroli, Elogio di F.A.C., Bergamo 1804; A. Longo, Memorie, II, Este 1842-44, pp. 11-21 e Passim; E. Masi, I drammi lagrimevoli, in Parrucche e sanculotti nel sec. XVIII, Milano 1886, pp. 119-140; E. Filippini, Per lo svolgimento drammatico della leggenda dongiovannesca, in Rass. critica d. letter. ital., IV, 3-6 (1899), pp. 63-67; A. Maestri, La marchesa M.M. Frescobaldi contessa Parisetti e suo carteggio col marchese F.A.C., Modena 1914; F. Donati, Un dialogo satirico contro l'Alfieri, in Riv. d. Bibl. e d. Archivi, XXXVIII (agosto-dicembre 1917), nn. 8-12, pp. 103-109; N. Melloni, F.A. e Carlo Gozzi, in L'Archiginnasio, XVI (1921), nn. 1-3, pp. 40-50; G. Compagnoni, Memorie autobiografiche, Milano 1927, pp. 58-64, 143-161; G. Ortolani, Un altro centenario: F.A.C. in Il Marzocco, XXXIII (1928), n. 19, pp. 2-3; A. Ottolini, I matrimoni dell'A., ibid., n. 26, p. 2-3; L. Ferrari, Le traduzioni italiane del teatro tragico francese nei secc. XVII e XVIII. Saggio bibliogr., Paris 1925, cfr. Indice; O. Natali, Il Settecento, II, Milano 1935, pp. 913-916, 936 e passim; I. Sanesi, La Commedia, II, Milano 1954, I, p. 230-235.

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