AMBROSOLI, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 2 (1960)

AMBROSOLI, Francesco

Alberto Asor Rosa

Nato a Como il 27 genn. 1797, studiò giurisprudenza a Pavia, laureandovisi nel 1818; recatosi a Milano per darsi all'avvocatura, si accostò agli ambienti culturali della metropoli lombarda, frequentando V. Monti e, soprattutto, P. Giordani, al quale lo strinse una tenera amicizia e una profonda devozione, durate tutta la vita. Per sospetti gli fu tolto dalla polizia austriaca ogni adito all'avvocatura e all'istruzione pubblica; studiò allora le lettere latine, greche ed italiane, guadagnandosi da vivere con lezioni private, traduzioni e compilazioni di vario genere. S'inizia allora quella abbondante e diseguale produzione dell'A., nella quale non è difficile riconoscere, accanto al segno di una dignitosa probità, le tracce dei motivi non sempre serenamente disinteressati che spinsero l'A. a dedicarvisi, della fretta, delle necessità famigliari, delle angustie morali e politiche.

Esordì traducendo la Geografia di Strabone (Milano 1827-33, voll. 5), la Storia della letteratura antica e moderna di F. Schlegel (Milano 1828, voll. 2), le Storie di Ammiano Marcellino (Milano 1829). Nello stesso periodo di tempo diede fuori una Grammatica della lingua italiana (Milano 1820), ristampata in seguito più volte, e un Manuale della lingua italiana (Milano 1828), facente parte di una serie di manuali componenti una enciclopedia di scienze, lettere ed arti.

Ancor giovane, l'A. scrisse e pubblicò l'opera sua più importante, il Manuale della letteratura italiana (Milano 1831-32, voll. 4), apparso nella collezione già citata, che fu ristampato più volte, con un successo notevole, in parte meritato per la compostezza dell'opera e lo spirito di elevato civismo, che ne aveva animato l'autore (altre ediz.: Napoli 1835, voll. 2; Firenze 1863; ibid. 1866; ibid. 1872; ibid. 1875; ibid. 1881; ibid. 1885).

L'A. si era formato in un ambiente di stretta osservanza classicista; quando apparve il Sermone per la mitologia del Monti, scrisse: "Neghiamo che, dove questa (la Mitologia) si levi, alcuno ci abbia aperto sinora un buon fonte di linguaggio poetico'' (Mazzoni, I, p. 371). Non era, però, rimasto insensibile alle voci del romanticismo, laddove queste si levavano più alte e più pure: aveva un gran concetto di Schiller e di Goethe; sempre più si era andato avvicinando all'arte del Manzoni; ammirava Shakespeare; come il suo amico Giordani, e probabilmente sull'esempio di questo, stimava fervidamente Leopardi; pur proclamando insomma, l'autorità delle regole, sapeva riconoscere che si può fare poesia anche al di fuori di esse. Fu in definitiva un eclettico non geniale né brillante, ma onesto, privo di un'ampia prospettiva critica, e sostanzialmente devoto a un criterio d'interpretazione moralistica dell'opera d'arte. In una lezione del 21 nov. 1842, recitata per l'maugurazione del suo corso di filologia e d'estetica nell'università di Pavia, l'A. cosi riassunieva il suo giudizio sulla poesia e il suo metodo critico: "Se il perfezionamento morale è il primo dei nostri bisogni e quindi anco il primo dei nostri doveri, non potrà mai essere né morale né artisticamente perfetta veruna produzione dell'ingegno, che sia in qualunque modo contraria a questo bisogno e a questo dovere supremo, né mai buona critica quella che lasci inosservata tale violazione".Nel suo Manuale,che è in realtà un'amplissirna crestomazia, abbondantemente commentata con notizie e giudizi sulla vita e le opere degli autori, l'A. si sforza di dimostrare ad ogni pagina come la storia del progresso morale e civile degli Italiani vada di pari passo con la storia degli splendori e delle decadenze nella loro letteratura e nella loro poesia.

L'A. aveva nel frattempo ottenuto uno stabile impiego alla Biblioteca di Brera; quindi, riconosciuti i suoi meriti anche dal governo austriaco, egli conquistò senza concorso la cattedra di filologia latina e greca, di letteratura classica e di estetica nell'università di Pavia (1842).

Nel 1848 prese decisa e pubblica posizione a favore del moto d'indipendenza nazionale. Ciò gli costò un breve esilio da Pavia e il pericolo di perdere il posto. Nondimeno, recatosi a Vienna su invito del governo austriaco, per fornire il suo parere intorno a certe promesse riforme dell'istruzione classica in Lombardia, l'A. dovette dissipare i sospetti che gravavano sulla sua persona, se di li a poco fu eletto direttore generale provvisorio dei ginnasi liceali di Lombardia. Ma, trascorsi pochi anni, per motivi non del tutto chiari, nei quali si mescolavano invidie personali a rinnovate persecuzioni politiche, gli fu tolto questo incarico e contemporaneamente quello d'insegnante a Pavia.

Solo la generosità di un ministro austriaco, il conte Leo Thun e Hohenstein, lo salvò dalla miseria. Fu da lui invitato infatti a Vienna, dove l'A. attese alla riduzione in lingua italiana del vocabolario greco dello Schenkel, apparsa poi a Vienna nel 1864 (altre ediz.: Vienna 1869; Torino 1888), che costituisce un'altra delle sue opere più meritorie.

Tornò in Italia nel 1859,liberata la sua patria dallo straniero, ma non fu reintegrato nelle sue cariche, vuoi per la sua età già avanzata, vuoi, forse, per la sua collaborazione con il governo austriaco nel periodo successivo al '48.

L'A. ebbe molto a soffrire d'esser tenuto così in disparte. Una delle poche consolazioni di questi ultimi anni di vita gli venne dal risorgere in Italia degli spiriti classicisti. Quando, nel gennaio del 1859, il gruppo degli "Amici Pedanti" formato da Carducci, Gargani, Chiarini, Targioni Tozzetti, fondò a Firenze il periodico Il Poliziano,l'A. vide riconosciuto da quei giovani l'apporto di consigli e di idee da lui dato alla realizzazione di quell'opera; nel primo fascicolo del periodico fu inoltre pubblicata una sua lettera ammonitrice, per la verità molto equilibrata, nella quale, mentre li incitava a ricreare una letteratura schiettamente italiana, li metteva in guardia contro il pericolo di ricadere nell'imitazione pura e semplice dell'antichità classica.

L'A. morì a Milano il 15nov. 1868.

Apparvero dopo la sua morte i seguenti volumi: Storia d'Italia durante il periodo romano,Firenze 1871; Scritti letterari editi e inediti,con una introduzione del prof. ab. P. Zambelli Intorno alla vita e alle opere dell'A.,Firenze 1871-73, voll. 2; Letteratura greca e latina. Scritti editi e inediti,raccolti e ordinati da S. Grosso, Milano 1877.

Bibl.: Oltre alla cit. introduzione dello Zambelli, si veda Inaugurazione del busto di F. A. avvenuta il 31 maggio 1871 (con discorsi e poesie di G. Carcano, S. Grosso, A. Mauri. A. Verga, P. Zambelli), Milano 1871; N. Tommaseo, Degli studi elementari e dei superiori delle Università e dei Collegi,Firenze 1873, p. 193; A. Mauri, Studi biografici,II, Firenze 1878, pp.84-113; A. Vismara, Bibliografia del professore F. A. con cenni biografici,Como 1892; O. Tamagni, Ricordi biografici di F. A.,Milano 1894; P. Giordani, Lettere,a cura di G. Ferretti, II, Bari 1937, passim;G.Mazzoni, L'Ottocento, Milano s.d. [ma 1949], I, pp.. 370-372 e passim;II, pp.. 1330 e passim.

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