AMICO, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 2 (1960)

AMICO, Francesco

Alberto Merola

Nacque a Cosenza il 2 apr. 1578.A diciotto anni, nel 1596, fu ammesso nella Compagnia di Gesù a Napoli; fece la professione di quattro voti e insegnò filosofia e, quindi, teologia scolastica, all'Aquila, a Napoli e, dal 1628, all'università di Graz in Stiria. Fu anche, per circa nove anni, prefetto generale degli studi del collegio gesuitico di Vienna e, in seguito, cancelliere dell'università di Graz, dove morì il 31 genn. 1651.

Oltre che per la sua attività di insegnante di materie teologiche, l'A. è soprattutto ricordato per la monumentale opera (composta di nove volumi in folio alcuni dei quali ebbero singolarmente varie edizioni; l'opera completa fu pubblicata due volte: a Douai a partire dal 1640 e ad Anversa nel 1650) il cui titolo nella prima edizione è Cursus theologici iuxta scholasticam huius temporis Societatis Iesu Methodum. Il titolo della seconda edizione, attualmente di più facile consultazione, è Cursus theologici iuxta methodum qua in scholis societatis Iesu...

Il corso è ripartito, come s'è detto, in nove torni: 1) De Deo Uno et Trino, pubblicato per la prima volta a Vienna nel 1630; 2) De natura Angelorum eorumque proprietatibus (Antverpiae 1637); 3) De ultimo fine hominis, et mediis ad eum conducentibus (Duaci 1640); 4) De Fide, Spe et Charitate (ibid. 164 I); 5) De lure et lustitia (ibid. 1642); 6) De Augustissimo Incarnationis Mysterio (ibid. 1640); 7) De Sacramentis in genere, necnon de Baptismo, Confirmatione et Eucharistia (ibid. 1640); 8) De Sacramento Poenitentiae et extremae unctionis (a. I. 1640); 9) De magno Sacramento Matrimonii (Duaci, s. d., ma il permesso di stampa è del 1646).

Di tutta l'opera, che arricchiva l'insegnamento della teologia e della morale tomistica della ormai ricca produzione degli scrittori gesuiti, dal Bellarmino a Luis de Molina, al Suarez, è soprattutto noto il quinto volume dedicato alle questione giuridiche. Nella prima edizione del De Iure et lustitia l'A. affermava infatti che è lecito ad un sacerdote prevenire, uccidendolo, chi con le sue calunnie minacci di infamare l'onore del sacerdote stesso; agire in tal modo è ancor più lecito quando la calunnia rischi di disonorare la comunità o l'ordine religioso cui il sacerdote appartiene. L'A. affermava che un simile omicidio rientrava nel campo della legittima difesa. Tale opinione, già rintracciabile in scrittori gesuiti come un Luis de Molina e un Escobar, fu condannata dall'università di Lovanio, che, con dichiarazioni dell'8 sett. e dell'8 ott. 1649, giudicò il libro degno di censura. Nello stesso modo si comportò la S. Congregazione dell'Indice che il 18 giugno 1651 condannò il De lure et lustitia, appunto per le proposizioni sopra riassunte, con la formula donec corrigatur (un'edizione già purgata delle frasi incriminate dall'università di Lovanio era uscita nel 1650 ad Anversa). Quel che però rese soprattutto famosa l'opinione dell'A. circa la liceità dell'omicidio da parte di un religioso per la difesa dell'onore fu l'esplicita polemica contro il "célèbre Père L'Amy" contenuta nella settima delle Provinciales di Pascal, del 5 apr. 1656. Fu dopo la pubblicazione di questo scritto di Pascal, infatti, che si verificò la protesta dei parroci di Parigi, subito seguiti da quelli di Rouen, i quali, inserendosi nella più ampia disputa che ormai da più di un decennio opponeva la Compagnia di Gesù alla Sorbona, chiesero la condanna di tutte le proposizioni estratte da autori gesuiti contro le quali s'era indirizzata la critica di Pascal nelle Provinciales sino ad allora edite. In tale contesto il De lure et lustitia,che nel frattempo era stato giudicato non condannabile, secondo la nuova edizione purgata, da parte della Congregazione dell'Indice, la quale anzi ne aveva nuovamente permesso la lettura con decreto del 6 luglio 1655, veniva ad assumere un significato superiore ai suoi limiti intrinseci, che erano quelli di un manuale per studenti aggiornato secondo le teorie dei più autorevoli scrittori gesuiti e in pochi aspetti frutto di pensiero originale, divenendo uno scritto esemplare del las sismo probabilista contro cui tanto s'appuntava la polemica giansenista. Appunto perciò l'opinione succitata dell'A. continuava a meritarsi le esplicite condanne dei pontefici, che contro il lassismo agirono, e cioè di Alessandro VII e Innocenzo XI.

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