BIANCHI, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 10 (1968)

BIANCHI, Francesco

Gino Benzoni

Nacque a Venezia, intorno al 1620, da Pierantonio di Giovanni Domenico. Grazie alla sua qualità di cittadino originario, scelse la carriera cancelleresca, dalle prospettive più onorevoli che redditizie. Divenuto straordinario di cancelleria nel 1645, risiedette dal 1646 al 1653 a Madrid come segretario d'ambasciata; nel 1648 ebbe dirette responsabilità, praticamente dall'aprile a causa di una prolungata indisposizione dell'ambasciatore Gerolamo Giustinian, e, più ancora, dopo la partenza di questo, l'8 ottobre, sino all'arrivo, ai primi di dicembre, del successore Pietro Basadonna.

Al B. in particolare toccò protestare, ottenendo piena soddisfazione. contro il sequestro operato dal viceré di Sicilia ai danni di alcuni vascelli francesi battenti bandiera di S. Marco che, diretti a Candia in aiuto alle armi venete, erano stati costretti dalla tempesta a riparare nel porto di Messina. Nelle relazioni tenute in Senato dal Giustinian e dal Basadonna, al loro ritorno da Madrid, gli elogi del B. sono più diffusi, meno convenzionali rispetto ai pochi, genericissimi cenni, cristallizzati ormai negli aggettivi "circospetto" e "fedelissimo", riserbati solitamente ai segretari: "confesso inferiore al merito ed al sentimento del mio cuore quanto potessi dire in sua commendazione" affermava il Basadonna con accenti sinceri.

Di nuovo a Venezia il B., che nel 1652 era stato incluso tra gli ordinari di cancelleria, esercitò le mansioni di segretario del consiglio dei Dieci e del Senato. Alla fine del 1655 fu scelto come segretario dell'ambasciatore alla S. Sede Gerolamo Giustinian, alle cui dipendenze già era stato a Madrid; e a Roma assunse direttamente la rappresentanza della Serenissima nel periodo intercorrente tra la morte del Giustinian del 15 ag. 1656 e la venuta del nuovo titolare, Angelo Correr, nell'aprile del 1657.

L'attività del B. appare in particolar modo impegnata nella raccolta di notizie, in colloqui con personaggi di minor importanza, nell'ottenere il rinnovo per Venezia della libera importazione dei prodotti forniti dai beni dei sudditi veneti nelle Marche, nel Ferrarese, in Romagna. Il che fu accordato, tranne che pei beni marchigiani, nel marzo del 1657; furono necessarie però molte insistenze, adducendo la S. Sede a pretesto del ritardo la grave carestia. Ma fermo era stato il Senato nel contrapporre gli obblighi risalenti ancora al 1529 derivati da "espressi concordati", non dipendenti quindi da particolari situazioni "dello stato ecclesiastico". Modesti comunque i compiti del B., e non per sua inerzia o inesperienza, ma perché così esigevano le circostanze: non era interesse del pontefice inasprire eventuali motivi d'attrito, mentre Venezia, da sola, sosteneva con tanta dignità l'urto ottomano e, d'altra parte, parecchie questioni erano più agevolmente trattate dai cardinali veneti Cristoforo Widmann, Pietro Ottoboni e, più ancora, Marcantonio Bragadin.

La peste inoltre, che s'era diffusa a Roma, specie nel giugno-settembre 1656, aveva di molto ridotto i movimenti e i contatti del Bianchi. Lo stesso palazzo ove risiedeva fu posto in "clausura" e "contumacia" e, per alcune giornate, anche sorvegliato rigorosamente da soldati per ordine del governatore di Roma mons. Bonelli e del cardinale Federico Sforza: provvedimento lesivo della dignità del rappresentante veneto, alla cui revoca molto s'adoperò il cardinal Ottoboni.

Quello di residente a Napoli, dal novembre del 1658 al maggio del 1663, fu il successivo incarico del Bianchi.

Svariati compiti lo attendevano nella città ancora sconvolta dalla peste del '56: convincere a rimpatriare, dapprima con blandizie e poi con minacce appena velate, i numerosi "operari" "i testori, calzolari, marangoni e barbieri") che, lasciata Venezia, se n'erano andati a Napoli ove, per la quasi totale rarefazione di manodopera provocata dall'epidemia, si offriva un lavoro sicuro con prospettive di maggiori guadagni; tenersi in costante collegamento e facilitare l'operato dei consoli della Repubblica a Bari, Brindisi, Lecce, Otranto; difendere i privilegi dei sudditi veneti, opporsi agli intralci doganali, ai sequestri, ai fermi, alle prepotenze; avviare le "tratte di formento e biada"; vigilare sul "divertimento" e "sviamento" di soldati della Repubblica dalla Dalmazia al Regno di Napoli ove si arruolavano, e ottenere dal sempre evasivo viceré un impegno di "pronta restitutione"; sollecitare l'esborso rateale dei contributi fissati da Madrid sul Regno a favore della guerra veneto-turca; reperire ufficiali disposti a far leve, a condizioni non troppo esose, per la Serenissima. Ma forse i punti più interessanti dei dispacci del B. da Napoli sono quelli sulla situazione interna: rivalità e ripicche tra il viceré uscente, conte di Castiglia, e il successore, conte di Peñaranda, contrasti di ambedue coll'arcivescovo, riottosità e scapestrataggine della nobiltà cittadina ed eccessiva "facilità" del Peñaranda "nel perdonare i mancamenti", il banditismo, che al B. appare ineliminabile. Degne di nota anche le lettere del 6, 13, 20 luglio 1660 sulla paurosa eruzione vesuviana della tmontagna di Somma". A volte esprime, ma più ancora gli sfuggono, dei giudizi dall'inconsapevole sarcasmo: ad esempio, a proposito di cause "tra venetiani e regnicoli", osservava come il corrompere con regali il giudice fosse "cosa non difficile in questa città ove la giustizia solo si abraccia quando è vestita d'oro".

Alquanto più incolore la permanenza del B. a Firenze dal marzo 1664 al maggio 1666, come residente veneto presso il granduca: nessuna pendenza di rilievo tra questo e la Repubblica. Piena inoltre - almeno a parole e compatibilmente coll'"esser questo prencipe ugualmente del proprio commodo amico che inimico dello spendere" - la solidarietà di Ferdinando II per la lotta antiturca gravante su Venezia. Per parte sua il granduca concesse, in questo periodo, circa 400 fanti a sue spese, e al colonnello Ornani diede il permesso di assoldare per la Repubblica di Venezia 500 uomini "corsi o d'altra nazione", purché non fossero sudditi granducali, nelle "piazze di Livorno e Portoferraio".

A Venezia il B. fu nuovamente segretario del consiglio dei Dieci e del Senato. Quindi, tra il settembre del 1679 e il gennaio del 1681, svolse a Milano, ancora una volta come residente, il suo ultimo incarico diplomatico.

Avviandovisi lamentava, in una lettera al Senato dell'11 sett. 1679, d'esser destinato "in una corte... nuova senza l'assistenza del precessore e privo di ferme corrispondenze". In realtà non occorrevano precise e dettagliate istruzioni; c'era una direttiva di fondo, quella di salvaguardare la neutralità della Repubblica. I compiti del B. consistevano - oltre che nella difesa delle eventuali ragioni dei sudditi veneti nelle solite beghe di confine - nel condividere col governatore le preoccupazioni per la politica perturbatrice di Luigi XIV, rifiutandone nel contempo le avances di unione in senso antifrancese, sia pure a scopo di difesa. Soprattutto doveva prestare continua "attentione" alle "notitie concernenti Casale e Monferrato", "star attento sempre ai discorsi, conferenze et espressioni" al fine di porgere "maggiori lumi nelle congiunture così gelose delle cose occorrenti". E i dispacci del B. abbondano appunto di informazioni su "le mosse del re christianissimo", le "dispositioni della diffesa di questo stato", i "bisogni delle piazze", le "provigioni", le "fortificationi".

Se il B. - che non si formò una famiglia - ci appare soprattutto assorbito, in patria e all'estero, dalle sue funzioni pubbliche, le scarse ed assai mediocri attestazioni della sua inclinazione a verseggiare valgono tuttavia ad aggiungere alla sua figura una tenuissima tonalità privata. Un suo sonetto è riportato tra i Sonetti epidittici d'illustri ingegni drizzati al signor Giuseppe Battista, allegati agli Epicedi eroici dello stesso Battista editi a Venezia nel 1667, ed un secondo sonetto figura come premessa al libro I degli Elogi de gli huomini letterati (Venezia 1666) del napoletano Lorenzo Crasso.

Il B. morì, molto probabilmente, prima dell'anno 1690.

Fonti e Bibl.: Le indicazioni archivistiche delle lettere del B. in Dispacci degli ambasciatori veneti al Senato. Indice, Roma 1959, pp. 48, 172, 195, 236, 297; le istruzioni senatorie al B. in Arch. di Stato di Venezia,Senato Corti, regg. 22, 35-43, 56s., passim, e Senato. Deliberazioni Roma ordinaria, regg. 59-61,passim; Ibid.,Cancellier grande. Ordini della cancelleria ducale (1554-1658), rubrica alla lettera F; Ibid.,Misc. Codici I,Storia Veneta 9: G. Tassini,Cittadini veneziani, I, c. 300; Venezia, Civico Museo Correr,Archivio Morosini Grimani, B. 503, fasc. V: Minute di lettere di A. Grimani ambasciatore a Roma a F. B. (1669-1671); Le Relaz. degli Stati europei lette al Senato dagli ambasciatori veneti nel sec. XVII, a cura di N. Barozzi e G. Berchet, s. 1, II, Venezia 1860, pp. 190, 194, 225; s. 3, II, ibid. 1878, p. 195; G. M. Mazzuchelli,Gli Scrittori d'Italia, II, 2, Brescia 1760, p. 1136; E. A. Cicogna,Delle Inscrizioni Veneziane, V, Venezia 1842, p. 209; VI, ibid. 1853, p. 927; F. Mutinelli,Storia arcana e aneddotica d'Italia, III, Venezia 1858, pp. 429-446; P. Dengel-M. Dvorák-H. Egger,Der Palazzo di Venezia in Rom, Wien 1909, p. 152, n. 4; C. Grimaldo,Le trattative per una pacificazione fra la Spagna e i Turchi…, in Nuovo archivio veneto, n.s., XXVI (1913), p. 17, n. 4; F. Nicolini,Frammenti veneto-napoletani..., in Studi di storia napoletana in onore di M. Schipa, Napoli 1926, p. 271.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata

CATEGORIE