BUTI, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 15 (1972)

BUTI, Francesco

Ariella Lanfranchi

Nacque a Narni, figlio di Giovanni Battista, nel 1604 (come sostengono il Cametti e il Ghislanzoni in base a documenti inediti, mentre la maggior parte degli studiosi lo ritiene nativo di Roma basandosi principalmente sull'inserzione della biografia del B. tra quelle contenute nella Biblioteca romana del Mandosio).

Nell'opera del Mandosio (6ª centuria) è scritto che il B., che era dottore in diritto ecclesiastico e civile, abate nella diocesi di Tolosa in Francia e protonotario apostolico, aveva dapprima prestato servizio presso un certo Clemente Merlino "Sacrae Romanae Rotae Auditoris", quindi presso F. M. Macchiavelli, il quale, dopo la sua elezione a cardinale, si era servito del B. "in Auditoratus officio". Fatta una rapida carriera nella gerarchia ecclesiastica, il B. divenne poi segretario e "gentilhuomo" del cardinale Antonio Barberini, del quale in breve riuscì a conquistare la stima e la fiducia più assoluta. Quando questi, infatti, insieme con i fratelli Taddeo e Francesco, nell'autunno 1645 dovette abbandonare Roma per sfuggire le persecuzioni della famiglia Pamphilj (dopo la morte del papa Urbano VIII Barberini, nel 1644 era succeduto Innocenzo X Pamphilj), fu preceduto a Parigi dal B., il quale sembra abbia interceduto presso il cardinale Mazzarino, perché questi accordasse la sua benevola protezione al Barberini che infatti, l'11 genn. 1646, fece un'entrata trionfale a Parigi, accolto dalla corte al completo.

Anche in Francia il B. continuò a godere della stima incondizionata del cardinale Antonio, da cui ebbe incarichi di sempre maggior rilevanza, ma in seguito - entrato nelle grazie del Mazzarino (il quale a Roma, negli anni 1637-1639, era stato "intendente generale" dei Barberini) e guadagnatosene in breve la fiducia (come si legge in una lettera inviata il 12 gennaio del 1646 dal Mazzarino al card. Gerolamo Grimaldi: "...il Buti, che mi pare assai buona persona e lo riconosco già molto bene informato di questa Corte..."), fu da questo incaricato di sovrintendere alla scelta ed all'allestimento degli spettacoli di corte e di aver cura di tutti gli artisti italiani presenti a Parigi: incarico che il B. assolse con impegno, ma anche con notevoli ingiustizie e molti personalismi, come testimoniano le numerose querelles sorte tra lui e artisti anche famosi, la più significativa delle quali fu quella - acerbissima - con il castrato Atto Melani.

Il B. ebbe però il merito di chiamare in Francia, tra gli altri, anche il compositore Luigi Rossi, al quale venne affidato l'incarico di musicare l'opera che, per la prima volta, doveva segnare l'ingresso sulla scena francese del fastoso melodramma all'italiana: cioè l'Orfeo, su libretto dello stesso B. (i manoscritti del testo e della partitura musicale sono conservati alla Bibl. Apostolica Vaticana, cod. Barb. lat. 5803e Fondo Chigiano Q.V. 39). Divecchia data era, del resto, l'amicizia che legava i due artisti italiani, conosciutisi probabilmente a Roma attorno al 1636 nell'ambiente artistico che faceva capo a Salvator Rosa, poiché non solo il Rossi (forse per intercessione dello stesso B.) nel 1641era entrato al servizio della famiglia Barberini come "virtuoso da camera", ma aveva anche musicato un oratorio scritto dall'amico e intitolato: Giuseppe figliodi Giacobbe, tratto dall'episodio-biblico della Genesi e conservato manoscritto nella Bibl. Vaticana (cod. Barber.4194e 4195: Prima Cantata Gioseppe e Gioseppe Seconda cantata). Vera "Historia Sacra" - come scriveva il Ghislanzoni - col testo in italiano anziché in latino e alcuni personaggi (come il Testo, che fungeva da narratore) già perfettamente delineati, questo oratorio ebbe un notevole successo e rappresentò certamente un modello al quale anche il Carissimi si sarebbe rifatto.

Dopo il successo e i contrasti suscitati dall'Orfeo, rappresentato a palazzo reale il 2marzo 1647con il titolo Le Mariage d'Orphée et d'Euridice e replicato numerose volte nei mesi successivi, il B. raggiunse il card. Barberini ad Avignone, "carico di gloria e di applausi...", come si legge in unalettera del Mazzarino al card. Antonio. Tornò quindi a Parigi, ma nel 1653 il B. si trovava a Roma dove, tra l'altro, assolse anche all'incarico di scritturare, sempre per la corte francese, una nuova compagnia di artisti italiani: e proprio in questo periodo egli scrisse, a Roma, un altro libretto, "farraginoso e verboso..." (Liuzzi) che, allo scopo di assecondare i gusti del pubblico di Parigi sconcertato dalla novità dell'opera precedente, lasciava maggior spazio ai balletti (lo stesso Luigi XIV sembra che vi prendesse parte con i suoi cortigiani): si tratta, cioè, del libretto per le Nozze di Teti e Peleo, operamusicata da Carlo Caproli (detto anche Carlo del Violino allievo romano del Rossi), la cui prima rappresentazione ebbe luogo a Parigi il 26 marzo 1654 (illibretto fu stampato nello stesso anno a Parigi da R. Ballard). Forse proprio come ricompensa, e in segno di grata ammirazione per questa seconda prova teatrale del B., sembra che il Mazzarino gli concedesse non solo la cittadinanza francese, ma lo beneficiasse (secondo quanto afferma il Prunières) di una cospicua rendita annua dell'arcivescovato di Carcassonne. Ormai al massimo della gloria e della potenza personale, divenuto - di fatto - il segretario del card. Mazzarino, il B. poté svolgere in sua vece le funzioni di ministro delle Belle Arti e di "Intendant de Menus Plaisirs": più volte, inoltre, fu incaricato di condurre in porto delicate missioni diplomatiche (nel 1657, ad es., prese parte insieme con Atto Melani ai negoziati con l'elettrice di Baviera per l'elezione del nuovo imperatore). Ma la fortuna del B. era troppo strettamente legata alla sorte dei suoi grandi protettori e, infatti, quando nel marzo 1661 l'onnipotente cardinale francese si spense, anche l'astro del B. cominciò a offuscarsi e le notizie sulla sua attività e sulla sua vita scomparvero quasi improvvisamente. Il suo nome ricomparve nelle cronache contemporanee soltanto in occasione della messa in scena a Parigi, il 7 febbr. 1662, dell'opera Ercole amante, per la quale il B. aveva scritto il libretto (stampato in italiano in quel medesimo anno a Parigi) e Francesco Cavalli, invitato appositamente in Francia, aveva composto la musica, mentre quella per i balletti era stata scritta dal Lulli e da altri compositori francesi.

Con quest'opera, originalmente scritta per lo sposalizio di Luigi XIV con Maria Teresa d'Austria, venne, inoltre, inaugurato il Théâtre des Machines alle Tuileries, voluto dal Mazzarino. S'ignorano le ulteriori vicende del B., che morì il 15 giugno 1682 a Roma, dove venne sepolto nella chiesa di S. Maria della Vittoria.

Nel panorama piuttosto desolato della librettistica italiana, soprattutto della seconda metà del Seicento, l'opera del B. ("diplomate, avisé, fin lettré, causeur séduisant, toujours prêt à rimer une pièce de circonstance en l'honneur de ses protecteurs...", lo definisce il Prunières) acquista un rilievo particolare in quanto, pur permanendo in essa i difetti più comuni ai libretti del suo tempo (grossolanità della verseggiatura, incoerenza e inutili complicazioni degli intrecci, inconsistenza drammatica e psicologica dei personaggi), essa rivela l'abile destrezza con cui questo abate letterato di successo riuscì a cogliere delle varie scuole e tendenze operistiche italiane e dei modelli stranieri, soprattutto del teatro spagnolo, gli elementi più caratteristici e appariscenti e a fonderli abilmente, con occhio bene attento ai gusti, alle tendenze, all'estrazione sociale del pubblico cui si rivolgeva, con gli aspetti più rappresentativi della tradizione operistico-teatrale francese: fino alla compiuta realizzazione di spettacoli che, a prescindere da quasi inesistenti pregi artistici, riuscivano a soddisfare le ambizioni spettacolari dei potenti commissionari, lasciavano ampio spazio all'abilità dei compositori e dei cantanti e, in particolare, avevano una presa facile e immediata sugli spettatori.

Per quanto riguarda l'accoglienza riservata alle sue opere rappresentate a Parigi, si può dire che, nonostante il successo e gli elogi a volte entusiastici ad esse decretati dall'ambiente di corte, suscitarono perplessità e reazioni spesso violente, poiché l'ambiente culturale francese, impreparato ad accogliere spettacoli di tal genere, si mostrò, in fondo, ostile nei confronti di opere poste interamente in musica e fondate su intrecci la cui assurdità e inverosimiglianza si scontravano con la lucida predisposizione razionaleggiante dei Francesi che, alla fine, mostravano di apprezzare veramente solo le scenografie e gli splendidi macchinari del Torelli.

Il libretto dell'Orfeo segna l'abbandono delle semplici forme pastorali cui il soggetto in apparenza sembra ancora rifarsi e il punto d'incontro della semplice favola di stampo fiorentino, della quale mantiene scene ed elementi tipici come oracoli, combattimenti, scene infernali. Ma lontani sono ormai i due protagonisti dalla poetica semplicità dei personaggi cantati nelle opere omonime del Rinuccini o dello Striggio. Figure sbiadite e senza consistenza poetica e umana, sembrano muoversi sulla scena "als Spielbälle in der Hand der ehrgeizigen Göttinnen..." (Abert) con i mille espedienti, le complicazioni, le inutili e spesso volgari buffonerie caratteristiche dei libretti veneziani del Seicento: il tutto immerso in una atmosfera sfarzosa degna della migliore tradizione romana nella quale il B. - con pratico intuito - non disdegnava di inserire numerose piccole strofe su metri differenti, atte ad accogliere le note di melodie facili e scorrevoli che riuscivano ad avere quasi il sopravvento sui recitativi, sempre più rari, e sulla poesia in genere, ormai avviata a divenire mero pretesto per l'intervento della musica.

Se l'Orfeo ha dunque uno stampo ancora tipicamente italiano (veniva definito, infatti, "une comédie à machines et en musique à la mode d'Italie..." nelle memorie della contemporanea madame de Motteville) e i balletti, che pure non mancavano, conservano il carattere di elemento subordinato e decorativo dell'insieme, il libretto, invece, delle Nozze di Peleo e Teti (forse il primo libretto italiano che sia stato tradotto in inglese - da J. Howell - con il titolo The Nuptials of Peleus and Thetis), rappresenta, con i numerosi balletti in esso contenuti che hanno ormai un valore fondamentale nell'economia dello spettacolo, un primo tentativo di fondere gli elementi più tipici dell'opera italiana e del "ballet de cour" francese in una struttura drammatica al cui modello si sarebbero riallacciati artisti come Philippe Quinault e lo stesso G. B. Lulli.

Fusione che, infine, si attua compiutamente nell'ultima sua composizione, l'Ercole amante, vera e propria "opéra-ballet de cour" che, nonostante la mediocrità e le inverosimili complicazioni del testo butiano (solo in parte riscattate dalla genialità del Cavalli, che in questa opera sembra in qualche modo assecondare la struttura formale del libretto e conferire minor ampiezza al recitativo a favore di forme chiuse più spiccatamente melodiche e di numerosi cori, generalmente assenti nelle sue partiture precedenti), riuscì a influenzare profondamente i creatori della grande opera francese per musica.

Oltre alle opere già citate, il B. (secondo quanto afferma il Mandosio: "In scrignis serbat et ego vidi...") scrisse anche: Ilcapriccio ovvero Il giudizio della ragione con la beltà e l'affetto, "drama ideale", Il giusto inganno, "comedia per musica" e La Purificazione, oratorio per musica (di queste tre opere manca qualsiasi dato). Inoltre compose Balletto di Psyche (gennaio 1656), Balletto d'Amor malato (17 genn. 1657: identificato dal Prunières con il Balletto degli spropositi, citato dal Mandosio) e Balletto dell'Impazienza (19febbr. 1661), tutti balletti musicati dal Lulli; un Capitolo per la partenza della corte del Cardinal Mazarino, in Elogia JuliiMazarini Cardinalis e il testo di molte arie e cantate, musicate dal Rossi, dal Caproli e da altri, che sono oggi conservate alla Biblioteca nazionale di Parigi.

Bibl.: P. Mandosio, Biblioteca Romana, II, Romae 1692, pp. 44 ss.; A. Ademollo, I primi fasti della musica ital. a Parigi (1645-52), Milano s.d. [ma 1884], pp. 36 ss.; H. Goldschmidt, Studien zur Gesch. der italien. Oper im 17. Jahrhundert, Leipzig 1901, pp. 78 ss.; H. Prunières, Notes sur la vie de Luigi Rossi (1598-1653), in Sammelbände der Internat. Musik-Gesellschaft, XII (1910-11), 1, pp. 12 ss.; A. Cametti, Alcuni documenti inediti sulla vita di L. Rossi,ibid., XIV (1912-13), 1, p. 11; H. Prunières, L'Opéra italien en France avant Lulli, Paris 1913, pp. 86 ss.; R. Rolland, Le premier opéra joué a Paris: l'"Orfeo" de Luigi Rossi, in Musiciens d'autrefois, Paris 1921, pp. 55 ss.; H. Prunières, F.Cavalli et l'opéra vénitien au XVIIe siècle, Paris 1931, pp. 34 ss.; H. Wolff, Die venezianische Oper in der 2. Hälfte des 17. Jahrhunderts, Diss., Berlin 1937, pp. 61 ss.; F. Liuzzi, I musicisti italiani in Francia, in L'opera del genio italiano all'estero, I, Roma 1946, pp. 171, 177, 182; F. Torrefranca, F. B., in Die Musik in Geschichte und Gegenwart, II, Kassel-Basel 1952, coll. 532 s.; A. A. Abert, C. Monteverdi und das musikalische Drama, Lippstadt 1954, pp. 119 s., 121, 335; A. Ghislanzoni, Luigi Rossi, Milano 1954, pp. 35, 66, 95 s., 118, 120 s., 132 s., 153, 155, 162, 193, 195; A. Loewenberg, Annals of Opera, I, Genève 1955, coll. 25, 31, 40 s.; U. Manferrari, Diz. universale delle opere drammatiche, III, Firenze 1955, p. 184; D. J. Grout, A short History of Opera, New York-London 1965, pp. 67-72, 123; P. J. Smith, The tenth Muse, London 1971, pp. 45, 52 n., 53; Encicl. dello Spettacolo, II, coll. 1409 s.

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