CARLETTI, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 20 (1977)

CARLETTI, Francesco

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Nacque presumibilmente a Firenze nel 1573 o 1574, primogenito di Antonio, discendente da una antica famiglia fiorentina di mercanti, e da Lucrezia Macinghi.

Antonio aveva a lungo esercitato il commercio con la Spagna, il Portogallo e le loro colonie, dedicandosi per questo a frequenti viaggi: il C. fin dall'infanzia fu preparato ad affiancare il padre in questa attività e nel maggio 1591 fu inviato a Siviglia, presso il fiorentino Niccolò Parenti, da tempo in rapporti commerciali con Antonio. Dopo due anni di questo apprendistato, fu raggiunto a Siviglia dal padre e insieme prepararono un viaggio alle isole del Capo Verde per farvi acquisto di schiavi da rivendere poi nelle colonie ispano-americane.

Il viaggio cominciò l'8 genn. 1594 e condusse il C. assai più lontano di quanto allora egli non prevedesse: esso si concluse infatti soltanto dodici anni dopo, poiché varie circostanze impreviste lo prolungarono dalla primitiva destinazione delle isole del Capo Verde e delle Indie Occidentali sino alle Indie Orientali, al Giappone e poi all'Olanda e alla Francia.

Una larga parte della biografia del C. si esaurisce dunque nelle avventure di questo suo fortunoso viaggio, il primo, a quanto pare, fatto intorno al mondo non con un fine di scoperta e quindi in tal senso preparato, ma con intendimenti commerciali, del tutto casualmente, secondo che dettava di giorno in giorno l'interesse mercantile, e sulle principali vie della navigazione commerciale del tempo. Di questo viaggio lo stesso C. ha lasciato memoria nei Ragionamenti sopra le cose da lui vedute ne' suoi viaggi (pubbl. postumi) che costituiscono dunque la fonte principale per la sua biografia.

Prima tappa del C. fu Santiago, la maggiore delle isole del Capo Verde, mercato principale del commercio degli schiavi, che vi affluivano da tutta la costa occidentale dell'Africa.

La cronaca del C. è ricca di notizie e dettagli su questo mercato, sulle sue consuetudini e sui meccanismi economici che lo regolavano; e costituisce anche, per quante professioni di disagio cristiano facesse il C. a proposito di quel "traffico inumano", un documento significativo delle origini della ideologia razzista, destinata a definire peculiarmente la tratta degli schiavi africani.

Il 19 aprile i due Carletti salparono da Santiago diretti alla volta di Cartagena de las Indias, in Columbia, con un carico di 75 schiavi. La tratta risultò svantaggiosa per i mercanti toscani, sia per la morte durante il viaggio di parecchi schiavi ("quali aggravarono maggiormente questo negozio"), sia per difficoltà burocratiche frapposte dalle autorità spagnole di Cartagena (il C., accusato di irregolarita nella documentazione, fu persino incarcerato per alcuni giorni), sia infine a causa della sfavorevole congiuntura commerciale, per cui gli schiavi "dove si solevano vendere 200 e 300 scudi l'uno, si venderono i meglio per meno di 180". Perciò i due Carletti rinunciarono alla tratta e impiegarono il ricavato della vendita in una partita di merci di provenienza spagnola. Con queste ripartirono da Cartagena nel febbraio del 1595, per via di mare sino a Nombre de Dios, e di qui per via di terra lungo l'istmo di Panama, alla volta di Los Reyes (Lima), vero paradiso dei mercanti per l'abbondanza di argento e l'alto prezzo delle altre merci, sicché gli schiavi, con grande rammarico del C. per l'occasione perduta, vi venivano venduti a 400 scudi ciascuno. Cedute proficuamente le proprie mercanzie in cambio di barre d'argento, i due partirono alla volta di Acapulco e di Città del Messico, per acquisti di nuove merci da riportare a Lima. A Città del Messico essi si fermarono dal giugno del 1595 al maggio dell'anno successivo, considerando con ogni attenzione le risorse e i costumi di questo regno, che il C. giudicò "uno de' più belli, de' più abbondanti, de' più ricchi paesi che possegga il re di Spagna". Ma non vi fecero affari, perché li allettò la prospettiva di maggior guadagno che sembrava derivare loro se, invece di comprare le merci a Città del Messico, così come avevano deciso, fossero andati a prelevarle direttamente alle Filippine.

A questo progetto si opponevano le solite limitazioni dei regolamenti spagnoli, ma non erano certamente questi ostacoli insuperabili per i due accorti fiorentini: come se ne sbrigassero, in questa e in simili occasioni, la cronaca del C. narra diffusamente e anzi, sotto questo rispetto, i Ragionamenti costituiscono un vero monumento all'astuzia del mercante cinquecentesco.

Finalmente nel giugno del 1596 i due Carletti giunsero a Manila; ma un incendio aveva distrutto i magazzini dove venivano custodite le merci in arrivo dal Giappone e dalle Indie Orientali sicché nonpotettero farvi gli acquisti che desideravano e invano attesero poi, sino al maggio dell'anno successivo, che arrivassero nuove navi con mercanzie sufficienti.

Nell'attesa non si stancarono di informarsi su quello strano paese: li colpirono in particolare i costumi degli indigeni bisajos, e le loro "strane e diaboliche" abitudini sessuali, su cui il C. riferisce con invidiosa compunzione controriformistica.

Finalmente i due Carletti si stancarono di aspettare l'arrivo delle navi con le merci e decisero di avventurarsi sino al Giappone e alla Cina, donde, rinunziando al vecchio progetto di ritornare al Perù, contavano di dirigersi alle Indie Orientali e di lì in Spagna. Ostavano a questo disegno gli accordi commerciali tra gli Spagnoli ed i Portoghesi, che minacciavano la confisca dei beni ai mercanti che si fossero avventurati dalle Filippine sino ai territori asiatici di conquista portoghese. Perciò i due si imbarcarono clandestinamente su una barca giapponese alla volta di Nagasaki, dove giunsero con un viaggio di circa un mese, durante il quale il C. poté considerare le peculiarità della navigazione asiatica, la diversità dei navigli, degli strumenti nautici e delle abitudini marinare rispetto a quelli europei.

A Nagasaki il C. si trova di fronte a una civiltà del tutto sconosciuta, che gli Europei non sono ancora riusciti ad intaccare: le istituzioni politiche, le coltivazioni, i costumi, tutto è così lontano da ogni ragguaglio con la civiltà europea che il C. non si stanca di raccontare, di commentare, di sottolineare, sicché il capitolo sul Giappone è uno dei più vivaci e anche dei più importanti, come fonte storica, dei Ragionamenti.

Nel marzo del 1598 i due decidono di riprendere il viaggio per Macao. Qui giunti dovettero affrontare i rigori delle autorità portoghesi, che li gettarono in carcere sotto l'accusa di aver infranto la legge che proibiva il trasferimento di mercanti dalle Filippine. Riuscirono a scampare pagando una forte multa di 2.000 scudi, ma a Macao, il 20 luglio 1598, Antonio moriva di "mal di pietra".

Sulla Cina, per l'esperienza diretta che ne ha a Macao e per quello che lì ne sente raccontare da altri viaggiatori, il C. dà altrettanti ragguagli che per il Giappone. Ma neanche qui dimentica di essere soprattutto un mercante e si dà a radunare le pregevoli merci che quel mercato offre, incaricando degli acquisti, secondo le consuetudini, i mercanti cinesi di Macao: le preziose, variatissime qualità di sete, il muschio, le porcellane, l'oro, lo zenzero.

Poi, spinto ormai dalla nostalgia al più breve cammino verso la patria, il C. riprende il suo fortunoso viaggio verso Occidente, giungendo, dopo una sosta di venti giorni a Malacca, costeggiando Sumatra e toccando Ceylon, alla "regina dell'Oriente", a Goa.

Qui il C. si trattenne dal marzo del 1600alla fine di dicembre dell'anno successivo, raccogliendo notizie sulle ricchezze dell'entroterra indiano, sulle favolose tradizioni di quei popoli, sui loro impensabili costumi, ma soprattutto sulle eccezionali possibilità di guadagni mercantili.

In effetti i profitti che il C. fece sui mercati indiani furono rilevanti: le sete comprate in Cina furono rivendute, con un profitto del settanta per cento sul capitale impiegato, sul grande mercato indiano di Cambaja, nell'Impero del Gran Mogol, tramite un corrispondente indigeno. Sullo stesso mercato e con lo stesso tramite, egli provvide agli acquisti da riportare in Europa: telerie di bambagia, lavori in cristallo di montagna, varie pietre preziose.

Il giorno di Natale del 1601, insieme a tre servitori, un coreano, un giapponese e un moro di Mozambico, il C. riprese finalmente la via di casa, imbarcandosi su una nave portoghese diretta a Lisbona. Ma il viaggio si concluse con la perdita di quasi tutti i suoi beni. La nave portoghese, infatti, in prossimità dell'isola di Sant'Elena, fu attaccata da alcuni vascelli zelandesi, e dopo due giorni di cannoneggiamenti, il 16 marzo del 1602, fu costretta a consegnarsi ai corsari. Mentre i portoghesi venivano dichiarati prigionieri, il C. poté trarre profitto dalla propria qualità di suddito del granduca di Toscana per rimanere libero: non così le sue merci, che furono tutte confiscate. Il C. ottenne di essere condotto in Olanda e il 7 luglio 1602 sbarcava a Middelburg. Qui tutte le merci confiscate sulla nave portoghese furono vendute all'incanto il 5 dicembre di quello stesso anno, dopo che il 23 ottobre un tribunale zelandese aveva dichiarato "buona preda" sia la nave portoghese, sia le merci in essa contenute.

Il C. aveva invano tentato di contrastare questa decisione per quanto lo riguardava, protestando la propria qualità di suddito di uno Stato neutrale e asserendo che parte delle merci erano destinate allo stesso granduca. Inutilmente intervennero in suo favore il granduca e Maurizio d'Orange: egli perdette il frutto di tanti anni di navigazione, ottenendo soltanto, a parziale risarcimento, una somma di 13.000 fiorini olandesi, di poco superiore alle spese processuali affrontate, dopo che la lite si era trascinata, con vari strascichi diplomatici, sino al 21 apr. 1605.

Durante il suo lungo soggiorno in Olanda il C. assistette con i suoi consigli numerosi mercanti olandesi che preparavano le loro spedizioni nei luoghi da lui conosciuti. Infine, tramite l'ambasciatore francese in Olanda, fu invitato a recarsi a Parigi, dove Enrico IV, su suggerimento dello stesso ambasciatore, aveva deciso di valersi di lui "in certo negozio, che già aveva cominciato a intraprendere quivi nella provincia d'Olanda".

Il progetto francese, sul quale il C. per discrezione non dà nei Ragionamenti ulteriori ragguagli, era connesso alla iniziativa, allora promossa dal Villeroi, di una compagnia francese per il commercio con le Indie Orientali: a lui probabilmente si sarebbe pensato di affidare il lavoro preparatorio, in particolare l'acquisto e la preparazione in Olanda del naviglio necessario.

Il 1º dic. 1605 il C. si mise in viaggio per Parigi, dove fu accolto assai benignamente dal sovrano e da questo affidato, per gli accordi sulla missione che si intendeva attribuirgli, al barone di Rosny, il futuro duca di Sully, allora sovrintendente generale: questi però si dimostrò subito ostilissimo al progetto, o per rivalità con il segretario Villeroi, al quale esso risaliva, o per preoccupazioni finanziarie, 0, infine, a causa degli ostacoli frapposti dagli armatori e dalle autorità olandesi. Comunque il progetto fu abbandonato e il C. ebbe licenza di partirsene, con un premio di 900 franchi.

A Parigi il C. era stato raggiunto da un invito di Ferdinando I de' Medici perché tornasse a Firenze. E qui arrivò, quindici anni dopo esserne partito, il 12 luglio 1606. Anche il granduca, infatti, intendeva mettere a profitto l'esperienza del C. per un grande progetto, lo sviluppo di Livorno come centro di traffici con il Brasile e con le Indie Orientali. Nonostante l'avversione degli Olandesi, che aveva già dato luogo ad alcuni incidenti diplomatici, il granduca non rinunziava ai suoi disegni e pare che pensasse proprio al C. come direttore del piano di sviluppo del nuovo porto; intanto, finché questo piano non prendesse consistenza (ma la ostilità dell'Olanda ne provocò il definitivo fallimento), Ferdinando de' Medici intendeva servirsi del C. come consulente.

Fu probabilmente il desiderio di porre a disposizione del granduca la propria esperienza in maniera organica a indurre il C. a scrivere la narrazione del suo viaggio, sebbene la redazione definitiva debba considerarsi posteriore al 1609, quando ormai sul trono granducale era salito Cosimo II. Da questo il C. ottenne la carica di maestro della casa granducale, che esercitò sino al 1616. Dopo questa data il C., del quale a torto alcuni biografi riferiscono che morì nel 1617, ebbe vari incarichi diplomatici: nel 1619 fu a Strasburgo con Geri Ubaldini e poi nuovamente in Olanda; nel 1626 fece parte del seguito di Claudia de' Medici che si recava a Innsbruck per il matrimonio con l'arciduca Leopoldo d'Asburgo. Ebbe dai Medici una pensione, che conservò sino alla morte, avvenuta in Firenze il 12 genn. 1636, dopo che, tre giorni prima, aveva fatto testamento in favore di un figlio narurale, a nome Carlo.

I Ragionamenti del C. furono pubblicati per la prima volta nel 1701. Essi circolarono però largamente manoscritti: se ne conservano alcune copie nella Biblioteca Angelica di Roma e, a Firenze, nella Biblioteca Riccardiana e nella Nazionale.

L'edizione fiorentina del 1701, a cura di L. Magalotti, fu dedicata a Cosimo da Castiglione, gentiluomo di camera del granduca, ed ebbe il titolo di Ragionamenti di F.C. fiorentino sopra le cose da lui vedute ne' suoi viaggi, sì dell'Indie Occidentali, e Orientali come d'altri Paesi.L.Carrer pubblicò alcuni brani dei Ragionamenti nel volume Relazioni di viaggiatori italiani, Venezia 1864, I, pp. 277-301, e nel 1878 C. Gargiolli ristampò integralmente l'opera a Firenze col titolo Viaggi di F.C. da lui raccontati in dodici ragionamenti.Una antologia dell'opera fu curata da L.Barzini, a Milano nel 1926, col titolo Le più belle pagine di F. C.Una nuova edizione integrale fu pubblicata nel 1941 a Milano, da E. Radius, col titolo Girodel mondo del buon negriero.Infine l'opera è stata ristampata a Torino nel 1958, col titolo originario, a cura di G. Silvestro.

Secondo quanto egli stesso lascia intendere nei Ragionamenti, il C. era andato raccogliendo durante il viaggio una serie di appunti e note relativi sia alle sue dirette esperienze, sia alle numerose testimonianze e narrazioni raccolte. Questo materiale andò tutto perduto con le altre sue cose sequestrate dagli Olandesi, sicché egli dovette ricostruire il viaggio con i soli ricordi e con il sussidio delle relazioni di precedenti viaggiatori. L'opera è divisa in due parti, ciascuna comprendente sei Ragionamenti, nella prima delle quali è narrato il viaggio alle Indie Occidentali, nella seconda il ritorno attraverso il Giappone, la Cina, l'India, sino alle ultime vicende olandesi e francesi. Questa divisione non fu soltanto determinata da motivi esterni, come la "più fresca memoria" che assistette il C. nella stesura della seconda parte, ma soprattutto dall'esigenza di una precisa collocazione storica e politica delle cose narrate, riferendosi la prima parte ai territori della zona di influenza spagnola, la seconda a quella di influenza portoghese, distinzione che i contemporanei dovettero considerare assai plausibile.

La singolarità del viaggio intorno al mondo del C., effettuato non per fini di scoperta o di conquista e quindi non secondo un piano prestabilito, ma alla ventura, alla ricerca delle migliori occasioni di profitto commerciale, segna anche le caratteristiche dell'opera rispetto a quelle di altri viaggiatori contemporanei. Dal punto di vista dell'interesse geografico, infatti, i Ragionamenti non rappresentano nulla di particolarmente significativo e nuovo, rispetto alle conoscenze del tempo in cui furono redatti. Anche le notizie fornite sui costumi, le istituzioni, le relazioni politiche dei paesi visitati, sulla loro cultura, erano, in maggiore o in minore misura, in gran parte conosciute alla fine del sec. XVI.

L'importanza dell'opera risiede invece nel suo carattere di testimonianza diretta di una situazione storica ancora largamente in trasformazione, nel fatto che il C. coglie sul nascere una serie di processi e di rapporti sui quali poi si costruirà tanta parte della storia successiva: la tratta transoceanica degli schiavi, i rapporti tra i conquistatori iberici e le popolazioni indigene, le ultime sopravvivenze delle antiche civiltà precolombiane, la resistenza dei Giapponesi e dei Cinesi all'influenza politica e culturale europea, i limiti imposti ai traffici commerciali dal governo spagnolo, e in generale le condizioni del commercio d'oltremare in un periodo nodale del suo sviluppo; le difficili relazioni tra Portoghesi e Spagnoli, ufficialmente unificati sotto una medesima corona, in effetti improntate alla più grande rivalità; infine il sorgere, contro le due più grandi potenze marinare del tempo, della minacciosa concorrenza olandese. I rapporti del C. con la giustizia commerciale olandese costituiscono poi una testimonianza significativa degli usi marittimi allora vigenti; e così pure le sue trattative con la corte francese mostrano di quanta rilevanza fosse ormai diventato il problema del commercio oceanico per tutte le potenze europee.

Infine, i Ragionamenti sono un documento insostituibile della psicologia del mercante cinquecentesco. Il modo stesso con cui il C. guarda alle straordinarie novità che gli si offrono nei suoi viaggi, l'imperturbabilità delle sue descrizioni sono l'espressione di un interesse oggettivistico per il prodotto esotico che solo era possibile a un mercante, il quale tendeva immediatamente a valutare come merce quello che per il viaggiatore geografo era oggetto di curiosità scientifica e per il conquistador era destinato a una rapida dissipazione: sicché il C. riserva il medesimo occhio calcolatore agli schiavi e alle preziose porcellane, alle erbe rare e alle piante preziose (non vanno taciute le sue saporite descrizioni del cocco, del tabacco, del muschio, delle banane, delle patate americane, del té, del cacao, della cocciniglia). è appunto la peculiarità di questo punto di vista a fare dei Ragionamenti un'opera unica: raramente è dato incontrare nella letteratura cinquecentesca tante e così dettagliate notizie sulle attività commerciali del tempo, in una panoramica di traffici che ormai ricoprono tutta la superficie terrestre, non soltanto quindi i faticosi itinerari dei mercanti spagnoli e portoghesi, e delle altre nazioni europee, in quel mondo che un secolo prima Alessandro VI ha rigidamente diviso, ma anche il commercio interno delle sterminate regioni africane, americane e asiatiche che si convoglia verso i grandi mercati dove lo attendono gli Europei. Di qui la notevole fortuna che ancora arride all'opera, la quale si raccomanda anche per uno stile diretto e popolaresco, assai efficace e divertente.

Oltre ai Ragionamenti, pare sia da attribuire al C., sebbene questa attribuzione sia spesso contrastata, una Relazione di viaggi e negozi che fannosi per tutte l'Indie, custodita manoscritta nell'Archivio di Stato di Firenze e pubblicata integralmente da D. Catellacci, in Curiose notizie di anonimo viaggiatore fiorentino alle Indie nel sec. XVII, in Arch. stor. ital., s. 5, XXVIII (1901), pp. 120-132. Discussa è anche l'attribuzione al C. del manoscritto dell'Archivio di Stato di Firenze Della corte di Spagna. Di Lisbona. Della Haya in Holanda, pubblicato in parte da A. De Gubernatis e in parte da G. Sgrilli. Si tratta in ambedue i casi di notizie e istruzioni per l'invio di agenti toscani nelle Indie Orientali, assai inferiori sotto ogni rispetto ai Ragionamenti.

Bibl.: F. Redi, Bacco in Toscana, Firenze 1685, p. 29; D. M. Manni, Vita di F. C. viaggiatore fiorentino, in Raccolta di opuscoli scientifici e filologici dell'abate Calogerà, L, Venezia 1754, pp. 229-240; G. Tiraboschi, Storia della letter. italiana, VII, Modena 1777, I, p. 226; R. Galluzzi, Istoria del granducato di Toscana, Firenze 1781, V, passim;A. De Gubernatis, Storia dei viaggiatori ital. nelle Indie Orientali, Livorno 1875, pp. 370-372; P. Amat di San Filippo, Biografia dei viaggiatori italiani, Roma 1882, pp. 362-366, 703 s.; E. Narducci, Opere, I, Roma 1882, pp. 362-366, 703 s.; Id., Catalogus codicum manoscriptorum in Bibliotheca Angelica, I, Roma 1893, p. 558; E. Masini, Viaggiatori e navigatori fiorentini, Firenze 1898, p. 37; A. Belloni, Il Seicento, Milano 1929, pp. 461, 549; G. Uzielli, Cenni storici sulle imprese scientif. marittime e coloniali di Ferdinando I granduca di Toscana, Firenze 1901, p. 37; G. Sgrilli, F. C., mercante e viaggiatore fiorentino, Rocca San Casciano 1905; E. Zaccaria, Contr. allo studio degl'iberismi in Italia, Torino 1905, pp. 155-170; G. Mondaini, F. C. mercante e viaggiatore fiorentino, in Riv. geogr. ital., XIII(1906), 1-2, pp. 65-84; G. Sgrilli, F. C. Notizie biografiche. Bibliografia, in Boll. della R. Soc. geogr. ital., s. 6, I (1924), 9-10, pp. 464-468; L. Bianconi, Il viaggio intorno al mondo di un mercante fiorentino, in Popoli, I (1941), pp. 319-322, 352-357; Id., F. C. Aspetti letterari dei "Ragionamenti sopra le cose da lui vedute ne' suoi viaggi", Roma 1941.

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