CIVALLI, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 26 (1982)

CIVALLI, Francesco

Francesco F. Mancini

Nacque a Perugia nel 1660, secondo la notizia fornita, come ogni altra relativa alla sua vita e alla sua opera, dal Pascoli, autore di un profilo biografico che è tuttora fonte essenziale per la conoscenza del pittore perugino.

Avviato inizialmente allo studio delle lettere, il C., che non tardò a rivelare una spiccata inclinazione per l'arte, sin da "quando andava alla terza scuola del collegio de' Gesuiti abbandonò ogni studio, e tutto si diede al disegno" (Pascoli, p. 248). Raccomandato dal padre a G. A. Carloni, allora di nuovo attivo in Perugia alla decorazione di alcuni interni chiesa-stici, il C. lavorò per qualche tempo sotto la guida dell'artista genovese; ma irrequieto, "volubile" (ibid.) e "sofferente di magistero" (Lanzi), egli rinunziò presto agli insegnamenti del maestro e, a diciotto anni non ancora compiuti (intorno al 1677), si trasferì in Roma.

Qui fu subito accolto alla scuola del Baciccio, dove si trattenne lungamente conquistando la stima e la "grazia" del maestro. Sarà infatti lo stesso Baciccio a presentarlo a monsignor G. R. Imperiali, l'influente prelato di cui il C. godrà a lungo la protezione ed al servizio del quale sarà presto ammesso "con piena libertà di dipingere solché dipignesse" (Pascoli, p. 249).

Su commissione dell'Imperiali l'artista eseguì una Madonna con Bambino,S. Giuseppe e due angeli (non identificata), opera - a giudizio del Pascoli - tra le migliori da lui realizzate per disegno, composizione e gusto cromatico. Fu su incarico dello stesso che il C. poté inoltre eseguire, accanto ad opere di minor conto ("stendardi di Castello e delle galee"), numerosi lavori di notevole importanza: fra gli altri, un quadro raffigurante Mosè salvato dalle acque (non identificato) che, sottoposto al giudizio del Baciccio e da questo criticato per alcune inesattezze, sarà motivo del risentimento del giovane e della conseguente rottura dei rapporti con il maestro. Si può credere che a questo stesso momento appartenga l'opera prestata dall'artista presso la corte papale ed a lui compensata, come risulta da documenti d'archivio (Bertolotti), nel 1687.

La designazione dell'Imperiali (eletto cardinale nel 1690) a legato pontificio di Ferrara spinse il C. a trasferirsi nella città emiliana, dove una scelta committenza di "cavalieri" gli affidò l'esecuzione di numerosi dipinti. La morte di Alessandro VIII (1691) e l'immediato rientro a Roma del cardinale per il conclave coincisero con il viaggio del pittore a Venezia. Qui, su incarico dell'Imperiali, l'artista dipinse una copia (non identificata) delle Nozze di Cana del Veronese. Tornato in Ferrara, il C., lodato per l'ottima qualità del lavoro, fu subito ripreso al servizio del cardinale. Poco dopo, però, terminata la legazione dell'Imperiali, il pittore, licenziato, fu costretto a rientrare in Roma. Qui il suo primo importante lavoro gli fu ancora una volta commissionato dal ricco religioso che, tornato nella capitale dopo un breve soggiorno nei feudi di Francavilla, prese in affitto il palazzo Del Bufalo (oggi Ferraioli) in piazza Colonna e ne affidò le decorazioni a Pietro de' Pietri, al Ricciolini ed allo stesso Civalli. Le radicali modifiche interne subite dal palazzo nel corso dell'Ottocento hanno purtroppo cancellato ogni traccia dell'antico rivestimento pittorico. Sappiamo tuttavia dal Pascoli (pp. 252 S.) che il C. realizzò "i fregi e le soffitte delle più nobili anticamere e dell'ultima stanza del primo appartamento", tutta la galleria del secondo appartamento "a chiaroscuro verdiccio con ornamenti d'oro... toltone il prospetto che dipinto fu da Pietro de' Pietri", la cappella (eccettuato il soffitto decorato dallo stesso de' Pietri), gli ornati delle porte con angeli putti e festoni "naturalissimi assai ben distribuiti, e dipinti" e "la metà della soffitta della prima stanza d'udienza".

Ultimati i lavori di palazzo Del Bufalo, il C., che "faceva poco o niun conto di tutti" e che "perdute aveva tutte l'altre protezioni ed amicizie, né più trovava alcuno che gli facesse fare alcuna cosa" (Pascoli), decise di trasferirsi in Napoli. Raccomandato alla marchesa di Fuscaldo, sorella dell'Imperiali, l'artista, pur trovando facile accesso nelle "primarie case" della città, non riuscì tuttavia ad ottenere importanti incarichi di lavoro. Sappiamo infatti dal Pascoli che, oltre a "qualche quadretto", il pittore eseguì soltanto un dipinto con i ritratti della famiglia Spinelli di Fuscaldo (non identificato). Gli insuccessi del soggiorno napoletano portarono il C. a tornare nuovamente in Roma, dove fu ancora una volta l'Imperiali ad affidargli l'incarico di decorare (1703 per il Roisecco, 1704 per Federico di S. Pietro; ma il C. era già morto il 7 genn. 1703) il soffitto della nave mediana di S. Giorgio in Campovaccino (oggi S. Giorgio in Velabro). Il rifacimento della copertura, nel 1794 (Federico di S. Pietro), ha purtroppo causato l'integrale distruzione delle pitture, le sole, tra le opere romane del C., ad essere citate nelle antiche guide.

In questo stesso periodo l'artista eseguì una lunetta nel chiostro della chiesa di S. Andrea delle Fratte "la penultima - secondo il Pascoli (p. 253) - dalla parte esterna della sagrestia", identificabile, forse, con la settima del braccio meridionale del portico, raffigurante S. Francesco di Paola che fa cader sangue da una moneta, ed i cartoni (dispersi), per la decorazione di due stanze nel palazzo del marchese Cavalieri (oggi Carpegna) in piazza dell'Accademia di S. Luca. Un'improvvisa, grave malattia impedì all'artista di volgere in affresco i disegni già approvati dal committente. Quando "iniziò a lavorar col pennello" - scrive il Pascoli (pp. 253 s.) - "o fosse il fetor della calcina e de' colori, o lo scomodo del lavoro, o la poca salute, cadde infermo e non istette più bene".

Morì di idropisia il 7 genn. 1703 e fu sepolto nella chiesa romana di S. Carlo ai Catinari (Roma, Arch. stor. del Vicariato, S. Carloai Catinari,Morti, II, f. 197r).

L'assoluta mancanza di opere note del C. non consente a tutt'oggi un giudizio sulla sua ampia produzione pittorica, in passato concordemente apprezzata dalla critica. Il Pascoli riconosce all'artista un eccellente talento pittorico che si manifesta soprattutto nella "prestezza e risolutezza nell'operare" nella "gran facilità nel fare i ritratti" e nel "grande artifizio nel farli simili". Anche l'Orlandi è colpito dall'abilità ritrattistica del C. di cui apprezza la "bella maniera", certo appresa allascuola del Baciccio. "Vaghissimo" è giudicato dal Cecconi il soffitto realizzato dal pittore nella chiesa di S. Giorgio in Velabro. "Pregiate pitture" sono infine definite dal Bonazzi le decorazioni eseguite per ville e palazzi del "ricco porporato".

Fonti e Bibl.: P. A. Orlandi, Abecedario pittor., Bologna 1704, p. 161; G. F. Cecconi, Roma sacra antica e moderna, Roma 1725, p. 482; L. Pascoli, Vite de' pittori,scultori ed architetti perugini, Roma 1732, pp. 248-254; G. Roisecco, Roma ant. e mod., I, Roma 1750, p. 289; Federico di S. Pietro, Memorie istoriche... di S. Giorgio in Velabro, Roma 1794, p. 76; L. Lanzi, Storia pittor. della Italia, a cura di M. Capucci, I, Firenze 1968, p. 409; L. Bonazzi, Storia di Perugia, Perugia 1879, II, p. 407; A. Bertolotti, Artisti bolognesi,ferraresi ed alcuni altri del già Stato Pontificio a Roma, Bologna 1885, p. 184; A. Lupattelli, Storia della pittura in Perugia, Foligno 1895, p. 74; A. Muñoz, IIrestauro della basilica di S. Giorgio in Velabro..., Roma 1926, p. 19; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VII, p. 59.

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