DAL LEGNAME, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 32 (1986)

DAL LEGNAME (de Lignamine, de Oligname, dal Legno, de le Ase), Francesco

Alfred A. Strnad

Apparteneva a una ricca famiglia di origine popolare la quale, trasferitasi da Ferrara a Padova, sin dal 1275 risulta iscritta nell'elenco delle nobili famiglie di quest'ultima città e godette nel corso del sec. XIV di grande prestigio. Il D. era figlio di Leonardo e dovette nascere, a Padova, poco dopo il 1400. Il cardinale Niccolò da Cusa lo qualifica infatti nel 1460 come "vir... nostra etate" (Meuthen, p. 228).

Dei fratelli del D. altri due, Giovanni Battista e Teodoro, scelsero la carriera ecclesiastica, mentre un terzo, Bernardino, è ricordato nel 1447 e nel 1455 come membro della famiglia vescovile del D. a Ferrara. Teodoro nel 1414 entrò nel monastero benedettino di S. Giustina a Padova e nel 1436 divenne abate di S. Bona di Vidor presso Ceneda. Morì come abate di questo monastero nel 1460. Giovanni Battista invece assurse, come il D., alla dignità vescovile.

Il D. non fece parte del clero regolare, come tra gli altri afferma erroneamente il Prete (p. 59 n. 5). Studiò invece le arti nello Studio padovano, superando il 7 giugno 1427 l'esame di "licentia in artibus et conventus" davanti ai professori Galeazzo di Santa Sofia, Bono de Fiume e Stefano de' Dottori.

La sua carriera in Curia iniziò con l'elevazione al soglio pontificio, col nome di Eugenio IV, del veneziano Gabriele Condulmer, cui lo legavano rapporti di amicizia. Il D. entrò a far parte della famiglia del papa come commensale ed è ricordato il 1º ott. 1431 anche come cubiculario pontificio. All'inizio del pontificato di Eugenio IV svolse, inoltre, la funzione di "receptor pecuniarum Camere apostolice" nelle Marche. Sempre nel 1431 il cardinale Pietro Barbo gli cedette il priorato di S. Croce a Padova, dopo aver ricevuto dal papa la prepositura dell'ospedale romano di S. Spirito in Sassia.

Tra il 1431 e il 1432 il D. fu colpito da una grave malattia che per mesi lo costrinse a letto e dalla quale si riprese lentamente. Forse questa malattia produsse in lui quella svolta spirituale che, dopo una giovinezza tempestosa all'insegna del De conflictu curarum suarum del Petrarca, gli fece trovare uno stile di vita ecclesiastica (cfr. Vespasiano da Bisticci, pp. 258 s.). Appena guarito ricevette dal vescovo di Arbe, Angelo Cavazza, presente in Curia, gli ordini minori e maggiori nella cappella privata del papa. L'8 luglio 1432 diventò accolito e suddiacono, il 14 febbraio diacono, e fu consacrato prete il 7 marzo 1433. Al più tardi il 13 marzo 1434 - non è chiaro se una nomina pronunciata il 21 apr. 1433 abbia avuto effetto - risulta anche in possesso di un "officium scriptoris litterarum penitencierie", al quale tuttavia rinunciò quando Eugenio IV, il 6 giugno 1436, lo nominò scrittore delle lettere pontificie come successore del defunto Michele da Pisa: nel documento il D. è qualificato "cubicularius et similis fanúliaris noster".

Il 24 ott. 1437 il D. diventò anche canonico di Padova, dove gli fu assegnata la "casa" di Leonardo Salutati che una volta era appartenuta al Petrarca. Nel 1441 fu nominato dal papa abate conimendatario di S. Benedetto Novello, presso Padova; ma l'anno successivo rinunciò alla dignità per consentire che i monaci scegliessero liberamente il loro abate, un gesto che fu molto apprezzato negli ambienti della Riforma (la rinuncia, peraltro, fu ben presto compensata: il 20 genn. 1444 il papa concesse al D. le entrate della ricca pievania di S. Donato di Calenzano, nella diocesi di Firenze, che risultano ammontare a 200 fiorini d'oro annui). Infine il 1° maggio 1443 il D. assunse l'ufficio di tesoriere, dopo aver prestato già il 26 genn. 1443 il giuramento di chierico della Camera apostolica a Firenze (ove si trovava la Curia pontificia). Come tesoriere egli era direttamente sottoposto al suo influente concittadino il cardinale camerlengo Ludovico Trevisan, con il quale intratteneva ottimi rapporti.

Nel 1445 si fece il nome del D. per la successione alla sede arcivescovile di Firenze, ma poi gli fu preferito il domenicano Antonino Pierozzi. L'8 ag. 1446 Eugenio IV lo nominò come successore del riformatore Giovanni Tavelli da Tossignano alla cattedra vescovile di Ferrara. Il D. fu consacrato l'8 genn. 1447 a Roma nella chiesa di S. Maria Nova dal vescovo di Città di Castello che era assistito dal vicario generale del papa per la città di Roma Giosuè Mornúle e dal vescovo (e futuro cardinale) dell'Aquila, Amico Agnifili, mentre il cardinale di Portogallo, Antonio Martins de Chiaves, onorò la cerimonia con la sua presenza. Già in precedenza il D. aveva avuto occasione di visitare Ferrara ove aveva risieduto in occasione del concilio del 1438-39 per l'unione con i Greci. A Ferrara la notizia delli sua nomina fu accolta con indubbio piacere, perché il D. era considerato in grado di continuare l'opera di riforma ecclesiastica inaugurata dal suo predecessore. Il D. non prese parte alla solenne cerimonia di insediamento, che il 9 ott. 1446 si svolse nella cattedrale, poiché occupato dai suoi compiti di tesoriere. Si fece sostituire dal fratello Giovanni Battista, che anche in seguito collaborerà con il D. a Ferrara. Dopo la morte di Eugenio IV (23 febbr. 1447). il D. abbandonò gli incarichi curiali e si dedicò alla propria diocesi. impegnandosi, secondo il suo biografo Vespasiano da Bisticci, "in tutto alla vita ispirituale" (p. 258). Il 26 marzo 1447, domenica di Passione, fece solenne ingresso in città. Come pastore delle anime il D. si conquistò grandi meriti con una visita pastorale da lui eseguita in parte personalmente, in seguito alla quale convocò tre sinodi del clero diocesano (1451, 1454, 1457). Nella primavera del 1455 rientrò a Roma dopo aver nominato suo procuratore Giacomo da Leonessa, al quale affidò anche il compito di sistemare l'eredità del fratello Giovanni Battista deceduto poco prima. Tornato da Roma iniziò subito, il 10 ott. 1457, una seconda visita pastorale, che fu però sospesa quasi immediatamente: l'ultimo atto ufficiale del D. è infatti del 17 ott. 1457.

Il motivo di questa sospensione, che risultò poi definitiva, va cercato nel conflitto che opponeva il clero della diocesi, sostenuto naturalmente dal D., all'autorità temporale. Secondo testimonianze contemporanee, il signore di Ferrara, il marchese Borso d'Este, il 3 nov. 1457 condusse personalmente il D. nel suo castello con il pretesto di volerlo proteggere da cittadini che protestavano contro alcuni sacerdoti che il D. difendeva, i quali avevano negato l'assoluzione a penitenti. Il D. si trovò, quindi, praticamente prigioniero e ben presto risultò chiaro che il contrasto tra l'autorità temporale e quella spirituale poteva essere risolto soltanto con l'allontanamento del presule. Tra i motivi dei contrasto era la disputa su alcune terre che nel corso della visita pastorale il D. aveva accertato appartenere al vescovato e che invece erano in mano al marchese (cosi Peverada, La visita). Peraltro, dubbi sulla regolarità dell'amministrazione della tesoreria pontificia da parte del D. erano stati espressi negli ultimi tempi nella Curia romana; ed è probabile che il marchese d'Este fosse a conoscenza di tali critiche curiali contro il D. e cercasse di approfittarne ai fini della propria politica nei riguardi dell'autorità ecclesiastica.

I motivi dei contrasto tra il D. e Borso d'Este restano comunque ancora in gran parte oscuri: per chiarire l'intera vicenda bisognerebbe, tra l'altro, valutare il ruolo che vi giocarono gli interessi finanziari dei Medici. Nel gennaio 1458 il D. fu rimesso in libertà dietro pressione del pontefice, il quale lo convocò a Roma perché desse conto della gestione della tesoreria.

Il 16 giugno 1459 il C. si era messo a disposizione per il trasferimento a una nuova sede, mentre quasi contemporaneamente anche il marchese Borso, in occasione del soggiorno di Pio II a Ferrara, durante il viaggio a Mantova (17 maggio 1459), aveva sollecitato una rapida soluzione della delicata questione. Ma solo il 26 marzo 1460 poté essere trovato un candidato per la sede di Ferrara accettabile da ambo le Parti, nella persona del canonico ferrarese Lorenzo Roverella.

In precedenza, comunque, Pio II che da tempo conosceva il D. personalmente, lo aveva nominato (26 genn. 1459) suo vicario "in spiritualibus" per la città di Roma. Tale nomina costituiva un attestato di stima per il D. e di apprezzamento per l'attività pastorale da lui svolta a Ferrara; nello stesso tempo poneva termine in modo definitivo ad ogni dubbio sulla sua passata attività curiale. Il D. si comportò in modo degno della fiducia in lui riposta: infatti non solo cercò di comporre controversie locali per incarico del vicario "in temporalibus", il cardinale Niccolò da Cusa (si occupò per es. del problema dell'impaludamento dell'Agro reatino), ma celebrò anche nella chiesa di S. Eustachio il terzo sinodo del clero romano, sinodo che sarebbe rimasto ultimo fino a quello convocato nel 1960 da papa Giovanni XXIII. Le disposizioni emanate nel corso di questo sinodo sonostate pubblicate recentemente da E. Peverada. Il 31 ag. 1459 il papa gli dimostrò di nuovo il suo favore, nominandolo commissario generale (con sede a Montefalco) dei governatori di Todi, Foligno, Spoleto, Rieti e Terni con la piena giurisdizione civile e criminale. Il 27 ott. 1459 il D. fu nominato anche commissario di alcuni contingenti militari al servizio della Chiesa che avevano l'ordine di congiungersi con le truppe di Francesco Sforza impegnate nella lotta contro Sigismondo Pandolfò Malatesta e di muovere contro Gualdo e Nocera. In quest'occasione il D. intervenne a Spoleto per soffocare tentativi di rivolta.

Quando alla fine di marzo 1460 fu nominato il nuovo vescovo di Ferrara, il D. fu trasferito alla diocesi di Feltre e Belluno, resasi vacante per il passaggio di Giacomo Zeno a Padova. Il 3 aprile il D. si obbligò per 1.600 fiorini d'oro nei riguardi della Camera apostolica, ma, poiché nel suo caso si trattava di trasferimento, in seguito gli furono restituiti sia i servizi comuni sia le minute.

Sin dagli anni di Niccolò V il papato aveva promesso ai Bellunesi di dividere la diocesi appena la stessa si fosse resa vacante. Perciò i Bellunesi rimasero sorpresi della nomina del D. e inviarono al papa le loro proteste: il che spiega perché il D. risultò poco gradito anche alla Serenissima. Secondo alcune testimonianze contemporanee, di fronte a questa opposizione il D. rifiutò la diocesi e si decise ad accettarla solo in seguito alle pressioni del pontefice e del cardinale Niccolò da Cusa. Alla fine si riuscì a superare l'opposizione grazie a un formale impegno del papa a dividere la diocesi in occasione della successiva vacanza.

Non si sapeva che questa circostanza si sarebbe presentata di Il a poco. Il D., infatti, morì l'11 genn. 1462 a Roma e fu sepolto nella chiesa di S. Maria Nova in Campo Vaccino (odierna S. Francesca Romana sul Foro Romano).

"Sendo assai bene litterato, et avendo universale cognitione delle lettere così sacre come gentile, e di quelle si dilettava assai". Questo giudizio di Vespasiano da Bisticci (Le vite, I, p. 257) trova conferma anche nella religiosità del D. come si rispecchia nella sua biblioteca lasciata al capitolo del duomo di Ferrara, una religiosità che sembra determinata dai suoi interessi umanistici. Tra i testi della biblioteca (l'inventario indica 212 titoli) si trovano, accanto agli autori antichi, anche testi di diritto canonico e civile e libri di devozione. Vanno rilevati i frequenti contatti del D. con vari esponenti dell'umanesimo del tempo, come Andrea Fiocchi da Firenze, Giorgio Valagussa, Ambrogio Traversari, Alberto da Sarteano, Porcellio Pandoni e Pietro Del Monte. Il D. era in rapporto anche con altri contemporanei illustri come s. Antonino, arcivescovodi Firenze, insieme con il quale nel settembre del 1447consacrò nella chiesa di S. Michele in Bosco il nuovo vescovo di Bologna, Giovanni di Podio. Il Guarino, Marino Guarini, A. Lapo di Castiglionchio il Giovane e Francesco di Eliano Spinola gli dedicarono loro opere. Più noti sono poi i rapporti del D. con Poggio Bracciolini, suo collega nella corte pontificia. Del Bracciolini si conservano undici lettere che dimostrano quanto intensamente il D. partecipasse alla vita dell'amico. Tutto questo dimostra che il D., per quanto non fosse personalmente attivo nel campo delle lettere, seguiva con vivo interesse il movimento umanistico del suo tempo.

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