MARTINI, Francesco di Giorgio

Enciclopedia Italiana (1934)

MARTINI, Francesco di Giorgio

Luisa Becherucci

Pittore, scultore, architetto, ingegnere militare, nato a Siena il 23 settembre 1439, morto presso Siena nel 1502. Della giovinezza, trascorsa a Siena nell'esercizio delle varie arti - è pura ipotesi un suo viaggio a Roma - restano solo opere pittoriche. Anconette con Madonne (varie redazioni a Siena, Pinacoteca) ricordano i modi di Neroccio Landi suo socio fino al 1475. Il linguaggio formale dell'Incoronazione (1471, Siena, Pinacoteca) ci riporta invece a Donatello e al Ghiberti, come nel Vecchietta che s'è voluto suo maestro. Ma, più del Vecchietta partecipe della lirica spiritualità dell'arte senese, sa volgervi, in coerenza, ciò che nei Fiorentini era mezzo a profonda drammaticità. Così il movimento diviene ritmo, e la luce scorre sulle superficie senza turbare la dolcezza dei colori. E si hanno opere d'alta poesia come l'Annunciazione (Siena, Pinacoteca). Ovvio, con tali qualità, l'accostamento ai modi mantegneschi di Girolamo da Cremona. Nella Natività (1475, Siena, Pinacoteca) il paese si trasfigura in forme cristalline. Hanno veste fiabesca le leggende sacre (predella con storie di S. Benedetto; Firenze, Uffizî, circa 1482) o mitologiche (fronti di cassone a Firenze, collez. Berenson; Parigi, Louvre; Siena, Pinacoteca), che, nell'incerta cronologia dell'artista, possono in gran parte riferirsi a questo periodo. Più tardi, nel Presepe (Siena, S. Domenico), s'amplia il concetto compositivo e gli affetti s'accentuano facendo pensare al Signorelli, presente anche altrove, al Botticelli, forse a Leonardo giovane. In rapporto a tale evoluzione spirituale saranno forse da classificare alcuni disegni del maestro conservati agli Uffizî e al Louvre. Ricordiamo altre opere pittoriche come varie Natività (New York, coll. Blumenthal; Richmond, coll. Cook), una Santa Dorotea (Londra, National Gallery), la Fedeltà (Parigi, già coll. Chalandon), e una attività di miniatore da ricostruire.

L'individualità del M. si svolge piena a Urbino, dove fu per un decennio, da circa il 1477, con Giacomo Cozzarelli, quale ingegnere militare di Federico da Montefeltro. Qui legge e forse traduce Vitruvio, poi base del suo trattato; la sua arte s'arricchisce nell'ambiente più colto pur mantenendo il suo senese lirismo. Lo mostra l'opera plastica: i rilievi che oggi si ritengono comunemente suoi dopo lunghe controversie che li attribuirono al Pollaiolo, al Verrocchio, a Bertoldo, a Leonardo: la Deposizione (Venezia, Carmini), la Flagellazione (Perugia, Pinacoteca), la cosiddetta Discordia (terracotta a Londra, Vict. and Alb. Museum; stucco a Siena, collezione Chigi Saracini). Lo schiacciato donatellesco reso più vario nei dislivelli, non serve . a sintesi plastica, ma esalta lo sfavillio della luce a secondare la lirica agitazione delle figure. Nella Flagellazione il ricco scenario architettonico, l'intenzionale classicismo della forma raffreddano tale sensazione, più pura nella Deposizione, forse il primo dei tre rilievi, intorno al 1478. Ma nel Giudizio di Paride (già Parigi, coll. Dreyfus) anche il classicismo diviene contenuto romantico d'una gotica levità di forma. E questa caratterizza, nel tutto tondo, la Santa Caterina (Siena, Casa della Santa), la collega a distanza di tempo agli Angeli bronzei del duomo senese, molto più tardi (circa 1497-1499; i piccoli Cherubi furono eseguiti dal Cozzarelli), dove il fluido ritmo delle linee contiene musicalmente lo scintillare serico delle superficie. Qualità che hanno fatto riferire al M. opere attribuite a Desiderio o al Laurana: il cosiddetto "Busto di una principessa d'Urbino" (Berlino, Kaiser-Friedrich- Museum), la replica a Londra (Coll. Wemyss), rilievi con ritratti dei duchi di Urbino (Musei di Pesaro e d'Urbino). Di attribuzione assai più probabile un profilo di donna (Londra, Vict. and Alb. Museum), un San Girolamo (già coll. Dreyfus), una Crocifissione (Kaiser- Friedrich - Museum) e la leonardesca medaglia di Federico da Montefeltro (Londra, British Museum).

Architetto, comprende l'essenza della tradizione senese che era robustezza di masse ancor trecentesca. Il Federighi l'aveva mantenuta pure attraverso i modi albertiani importati dal Rossellino; il M. la raccoglie forse da lui, la sviluppa nelle costruzioni militari semplificando le masse struttive, organizzandole in rapporto strettamente funzionale nel nuovo aspetto dato a quelle dai baluardi ch'egli porta a espressione definitiva (rocche di S. Leo, di Sassocorvaro). Poi le dà ritmo d'arte accostandosi, primo tra i senesi, al Brunelleschi. Forse successe a L. Laurana (v.) nella costruzione del palazzo ducale di Urbino, ma la sua parte non vi s'è ancora delimitata con certezza. Né è sicuro se costruisse, con modi lauraneschi, il palazzo ducale di Gubbio. Il Laurana dovette però guidarlo ad approfondire il senso ritmico dello spazio. E se nella chiesa di S. Bernardino a Urbino, che oggi v'è concordia nel riferirgli, è ancor rude l'energia che si sprigiona dall'incalzare delle masse costruttive di forme brunelleschiane in più robuste proporzioni, piena omogeneità appare più tardi nella "Madonna del Calcinaio" presso Cortona, cui il M. attese dal 1485, compiuta, nella cupola, in parti decorative solo dopo la sua morte, forse su suoi disegni (1515). Qui si legano in stretta rispondenza l'interno, di chiara unità spaziale per l'assenza di ogni suddivisione, solo scandito sulle pareti dalle brunelleschiane membrature, l'esterno dove i netti volumi si raccolgono intorno alla cupola in omogeneità non turbata dall'aggetto dei cornicioni, di michelangiolesca forza, certo studiati dal classico. Tale energia costruttiva in armonia di ritmi, ritroviamo nel palazzo comunale di Iesi ch'egli disegnò nel 1486. Gli si riferisce anche quello d'Ancona (1484), più ricco d'ornati, e altre opere.

Nei suoi anni più tardi torna a Siena, ingegnere della repubblica (1485). Commissioni varie, richieste di principi, lo portano a Milano (1490) a dar consigli per l'erezione del tiburio del duomo - e vi conosce Leonardo -, a Napoli, dove, in servizio d'Alfonso, duca di Calabria, fa brillare con successo la prima mina (1495). Infine, capomaestro del duomo senese (1498), ne progetta il nuovo coro, vi pone gli angeli di bronzo. Tiene tale ufficio fino alla morte (1502).

La lunga esperienza costruttiva si compendia nel Trattato d'architettura, (il miglior codice a Firenze, Bibl. Naz.) elaborato per anni, come attestano le redazioni minori (Torino, biblioteca del duca di Genova; Siena, biblioteca comunale) su un materiale raccolto nell'intenso studio della meccanica, nell'indagine dei monumenti classici. Vitruvio gli dà lo schema per l'organizzazione definitiva della materia. Ma l'opera ha indirizzo pratico se pur conceda al classicismo vitruviano il ragguaglio delle proporzioni degli edifici a quelle del corpo umano. Discute originalmente le forme architettoniche consone alle nuove esigenze (chiese, palazzi), sviluppa più di quanto non gli fosse concesso nella pratica le invenzioni nel campo militare. Ampia, ad es., la trattazione sui nuovi sistemi di difesa e d'offesa richiesti dall'uso delle armi da fuoco, come la mina e il baluardo che da lui ha forma definitiva, e le conseguenze che ne derivano per la pianta stellare del forte, ecc. La fantasia dell'artista sviluppa decorativamente questi studî in nitidi disegni.

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