Guerrazzi, Francesco Domenico

Enciclopedia Dantesca (1970)

Guerrazzi, Francesco Domenico

Mario Scotti

, Il nome di D. compare molte volte negli scritti del G. (Livorno 1804 - Cecina 1873), che amò suggellare i discorsi politici e le lettere private con sentenze della Commedia, e paragonare i casi della sua vita pratica e morale a quelli del poeta. Anche nei romanzi e nei racconti indugiò in divagazioni riguardanti D., sia citando versi ed episodi del poema a illustrare le sue evocazioni storiche, come l'episodio di Manfredi in una pagina de La battaglia di Benevento, sia prendendo l'abbrivo da passi danteschi per le sue riflessioni estetiche o morali. Nel capitolo X della Beatrice Cenci, ad esempio, i versi di Pg XII 67-68 Morti li morti e i vivi parean vivi: / non vide mei di me chi vide il vero sono presi a sostegno della tesi che la pittura, avendo come scopo di " riprodurre in immagini gli oggetti, tanto più apparisce pregievole, quanto meglio esattamente li ritrae ". Di qui è tratta la conseguenza che il progresso della pittura è finito, sicché, raggiunta la somma perfezione, quest'arte decade di necessità; mentre la poesia conosce solo " la decadenza accidentale ", essendo " di perfettibilità indefinita ". Questo pregiudizio portò il G. a dire che " Dante nacque poeta, e non fu superato in parte: Giotto sì, e in tutto " (Illustrazioni: L'adorazione dei Magi): le passioni, infatti, principale argomento della poesia, non mutano e acquistano col trascorrere dei secoli " lindura, non già veemenza né efficacia " (ibid.); l'imitazione delle cose, scopo precipuo della pittura, si perfeziona con le nuove esperienze fino a raggiungere il punto da cui decade.

D. riesce a commuoverci potentemente perché la sua poesia esprime le passioni di un animo ricco di drammatici contrasti: in lui " l'odio soverchia troppo l'amore, l'ira rugge, la benevolenza argomenta; - il suo fiele corrode, la benignità ragiona " (ibid.). Solo nella rappresentazione della figura umana nella sua fattezza fisica, perché a tanto è inadeguata l'arte della parola, egli resta al di sotto dei pittori: La sua bellezza mi sembiava un riso / de l'universo (Pd XXVII 4-5) non evocherebbe nessuna immagine precisa alla nostra fantasia.

Spesso D. è accostato dal G. ad altri poeti: Shakespeare, Klopstock, Alfieri, Goethe, Schiller, Byron. Quest'ultimo nome è particolarmente significativo: ci conduce al cuore di certi atteggiamenti umani e artistici del G. e può illuminare anche sul suo modo d'intendere D., poeta per lui del sentimento nel suo prorompere (Memorie). L'incapacità di sentire la vita e l'arte come slancio e passione rende sordi alla poesia dantesca, com'è accaduto alla maggior parte dei Francesi, da Voltaire a Lamartine, il primo pregiudicato dal gusto settecentesco, dall'irreligiosità, dal non aver distinto fra le bellezze e le bruttezze assolute e quelle relative (le une derivanti dal ritratto delle passioni, e pressoché immutabili; le altre derivanti dalla scienza, e quindi variabili col crescere del sapere), il secondo dalla ricerca dell'originalità a ogni costo.

Il fiero anticlericalismo, che porta il G. a dire che in Paradiso meriterebbe un seggio Farinata e non s. Domenico, " quel truce assassino degli Albigesi ed istitutore della Inquisizione " (I Dannati), non impedisce il riconoscimento che la fede religiosa sia l'anima del poema, specie della terza cantica. Ma il Paradiso è meno letto e conosciuto dell'Inferno, e ciò perché noi, " infelice stirpe di Adamo ", conosciamo le pene terrestri, non le gioie spirituali: " l'Inferno è realtà, il Paradiso immaginazione fuori del nostro comprendimento " (ibid.). Nei giudizi intorno ai singoli episodi non sempre il G. riesce persuasivo: in disaccordo con il Foscolo sostiene, a proposito di Paolo e Francesca, che il pianto e il silenzio non si addicono all'uomo; non approva che il poeta si rivolga a un personaggio meschino come Ciacco " per cavarne responsi intorno alla salute della sua patria " (ibid.); ritiene spietata la severità del giudice, che non sminuisce la colpa di Brunetto Latini, verso il quale ha pure una profonda reverenza. Misurato e penetrante è l'esame del canto di Farinata: appena un'ombra di sensibilità romantica è nella notazione che il cerchio degli eresiarchi offre un paesaggio " stupendo di tetra magnificenza " (ibid.); nel colloquio fra il poeta e Farinata vi è " fierezza mista a commiserazione, non già la voglia procace del rimbecco " (ibid.) e lo scontro rivela non tracotanza, bensì una sofferta esperienza che rende umana la passione politica.

Molte note apposte dal G. al suo dramma I Bianchi e i Neri riguardano D.: ma si tratta di meri riferimenti eruditi.

Opere del G.: Scritti, Firenze 1847; Memorie scritte da lui medesimo, Livorno 1848; Scritti politici, Torino 1862; Scritti letterari, ibid. 1862; Lettere, ibid. 1891; I Dannati, nel vol. miscellaneo D. e il suo secolo, Firenze 1865, 333-352.

Bibl. - R. Guastalla, La vita e le opere di F.D.G. (1804-1835), Rocca San Casciano 1903; P. Miniati, F. D. G., Roma 1927; U. Bosco, F.D.G., in Enc. Ital. XVIII.

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