DURANTE, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 42 (1993)

DURANTE, Francesco (Checco)

Sisto Sallusti

Nacque a Roma, nel cuore del rione di Trastevere, il 19 nov. 1893 da Filippo e Maria Tulli. Abbandonata la scuola tecnica, entrò come apprendista in una ditta di trasporti, per interessamento di uno zio, e fu dapprima adibito al controllo delle merci, poi al sedentario disbrigo delle pratiche d'ufficio. Fin dai primi anni scopri la passione per il teatro; a 18 anni cominciò a pubblicare poesie sul Rugantino, secondo il modello dell'ammirato Trilussa, al quale dové "la possibilità di … adoperare la maniera di verseggiare fluida e semplice", e di M. Giobbe, alla cui traduzione del Cyrano risaliva la facilità con cui adoperava saltuariamente il verso martelliano. Nel 1913 fu chiamato per il servizio di leva e nel maggio 1915 fu mobilitato per lo scoppio della guerra, che lo vide nelle immediate retrovie delle zone di operazione a Selva di Cadore, a Forno di Canale, fino alla ritirata di Caporetto, e presso la base d'osservazione del monte Grappa, fino all'occupazione di Trento. Congedato a Codroipo nel novembre 1918, sullo scorcio di quell'anno iniziò la collaborazione a La Gazzetta degli spettacoli di A. Rossi, pubblicandovi la poesia Ildivo Petrolini in cui si ravvisa già il gusto della trovata surreale, calata nella cultura religiosa popolare. Su consiglio del direttore il D. entrò come generico "utilité" nella compagnia che E. Manzoni stava formando con un repertorio eclettico (andava da La cena delle beffe a Il cardinale Lambertini e a Romanticismo): il debutto avvenne a Velletri davanti a un pubblico benevolo. Dopo una serie di esperienze infelici (a Montecatini, dove fu l'attor giovane in Frutto acerbo di R. Bracco davanti a una platea "desolatamente vuota", a Sarzana, a Chiavari), il D. pose fine alla sua prima avventura artistica e s'impiegò presso l'ufficio amministrativo di un grossista di tessuti.

La serie dei nre casi" che lo riconvertirono al teatro ebbe inizio con l'incontro con un compagno di palcoscenico che gli propose di occupare le sue serate recitando in una filodranimatica di piazza Orbitelli; prosegui con la conoscenza li fatta di Anita Bianchi, subito fidanzatasi con lui (e sposata a Roma il 25 luglio 1922), e con l'incontro - risolutivo - col segretario di E. Petrolini che cercava elementi per la futura ricomposizione della sua compagnia. Fu cosi che, accolto con Anita nella compagnia Petrolini, ebbe l'incarico di ridurre in dialetto romanesco, insieme con lo stesso Petrolini, La stonatura di F.M. Martini, che andò in scena a Napoli, nel 1919, col titolo Ilcortile, ottenendovi un successo "strepitoso" (fino al 1928, anno in cui lasciò la compagnia, interpretò il personaggio di Gaspare, il secondo cieco). Il D., che ricopriva tutte le parti dopo quelle del capocomico, raggiunse non solo le principali piazze italiane, ma fu per sei mesi nell'America Latina, a Buenos Aires, Montevideo, Rio de Janeiro, davanti a un pubblico di emigrati italiani in visibilio. Con Petrolini scrisse e interpretò l'atto unico Cento de 'sti giorni, riscosse i più calorosi consensi in Acqua salata opera dello stesso, ne La trovata di Paolino di Martinelli adattata da Petrolini e ne Ilpadiglione de le meraviglie, sempre dello stesso, comunicando agli spettatori quella calorosa schiettezza, tra il burbero e il ridanciano, che rimarrà tratto inconfondibile della sua espressività. Scrisse la prima versione della macchietta Gastone sulmotivo della canzone Mimosa che Petrolini presentò al pubblico al teatro Carignano di Torino con "successo festoso, entusiastico". Quanto al suo debito verso il capocomico, lo stesso D. precisò di non essere mai stato un suo imitatore, ma piuttosto un suo "fedele gregario" ("Insieme facevamo le riduzioni e le ambientazioni di alcuni lavori ed insieme li recitavamo con gioia perché bastava guardarci negli occhi per capirci").

Uscito con qualche imbarazzo dalla formazione, dopo anni di "affettuosa, fraterna collaborazione", il D. pensò ad un suo capocomicato. Raccolti con qualche fatica i componenti, la "Primaria compagnia della commedia romanesca diretta da Checco Durante" debuttò al teatro Traiano di Civitavecchia il 7 apr. 1928 con La commedia de Rugantino di A. Jandolo davanti a un pubblico abbastanza numeroso, ma la sua vita si protrasse a stento. Passato alla Compagnia di riviste e varietà Uccello blu, per la quale scrisse un copione col compositore G. D'Anzi, il D. vi rimase per circa tre mesi, sperimentando il mondo dell'avanspettacolo che, confiderà, gli servi "se non altro a confermarci che tanto io quanto Anita avevamo una notevole presa sul pubblico". Il Pubblico romano li segui con entusiasmo al cinema-teatro Morgana (poi Brancaccio, dove la coppia aveva l'obbligo contrattuale di cambiare commedia contemporaneamente al cambio dei film che avveniva tre volte alla settimana); a La Fenice venne a sentirlo L. Pirandello e al Palestrina U. Betti, che si espressero sul suo conto in termini lusinghieri. Il 14 febbr. 1929 al teatro jovinelli interpretò Bernardina nun fa' la scema, da lui impostata e scritta sulle doti di Anita, meritandosi le lodi dei critici concordi nel rilevare che nella commedia, pur nella sua esilarante vivacità, tutto accade come nella vita., senza le macchinosità e le truculenze di un malinteso teatro popolare. Fu allora che, per reazione allo sconcerto che il teatro romanesco di G. Monaldi aveva prodotto sul pubblico deformando il carattere dell'autentico romano, il D. trapiantò nei cinema-teatri, dove poteva operare per tutti gli strati sociali, un repertorio che riusciva a mostrare "la semplicità, l'umanità, i sentimenti" dei suoi concittadini e che la sua commedia Io sono un pazzo (salone Margherita, 15 apr. 1934) poté rappresentare degnamente. Senza abbandonare il palcoscenico, aderi all'invito di G. Righelli e partecipò col personaggio dell'allenatore al film Lo smemorato (1936), diluendo poi le sue succose apparizioni, sia sul versante comico sia su quello patetico, in una lunga serie di film (si può ricordare il vetturino di Roma ore 11 di G. De Santis nel 1952). Nell'estate 1939 si Colloca un ciclo di rappresentazioni nell'Africa orientale italiana (tra le altre, dopo il debutto ad Asmara con Io sono un pazzo, accolto festosamente, dieci recite al teatro Italia di Addis Abeba). Nell'aprile 1940 fu invitato dal direttore generale dello spettacolo N. De Pirro a dare rappresentazioni per i soldati mobilitati sul fronte occidentale in Val di Susa, sicché la dichiarazione di guerra lo colse lassù: gli spettacoli allora si allargarono a quasi tutte le zone di combattimento, a Mentone, a Tenda, in Croazia, Slovenia, di nuovo in Italia, nelle zone adibite alla difesa confinaria, da Tarvisio a Reggio Calabria, toccando il primato di 800 rappresentazioni. Terminato il conflitto, il D. si riorganizzò affrontando con tenacia ambienti nuovi e non sempre favorevoli fino a quando, nel dicembre 1949, ebbe la possibilità di adattare un magazzino di proprietà dell'Ente comunale di assistenza in piazza S. Chiara a Roma a sede stabile di una sua compagnia. Ottenuto il permesso del segretario generale dell'ente, con un modesto capitale liquido e congrui prestiti finanziari il locale fu restaurato e attrezzato e poté aprire i battenti il 6 apr. 1950 come teatro Rossini. La Compagnia stabile del teatro di Roma debuttò quella sera con Un santo di A. Maroni. Da allora il D. alternò sette mesi invernali a tre mesi estivi alla Villa Aldobrandini, riconquistando quel pubblico particolare di età media, soprattutto di estrazione borghese e piccolo-borghese, legato al trattenimento placido e quasi colloquiale che l'ambiente e gli affiatatissimi attori suggerivano.

Nel repertorio figuravano, data la scarsità di autori romani (lo sovveniva, tra i pochi, E. Liberti, marito della figlia Leila), riduzioni di commedie nate in altri dialetti o addirittura in lingua.

Intercalava intanto le sue interpretazioni con gli interventi nella rubrica radiofonica Radio Campidoglio di G. Gigliozzi, apportandovi il suo sapido e bonario ragionamento. Ormai avanti con gli anni, coadiuvat0, oltre che dalla moglie, dalle figlie Leila e Luciana e dai generi, comparve in parti di anziano parente o arguto commentatore di fatti e misfatti familiari, segnalandosi nella riesumazione del Don Desiderio disperato per eccesso di buon cuore adattato da G. Giraud, in cui rivesti la parte del protagonista, petulante ed ingenuo orditore di intrighi, nella traslazione televisiva della Pensione La Tranquillità di E. Caglieri con la parte del protagonista e nella ripresa di Alla fermata del 66 pure del Caglieri, in cui fu il nonno (al Quirino l'interpretò in serata d'onore il 5 maggio 1975). Nel 1973 apparvero a Roma, riunite ne I miei ricordi-Le mie poesie, oltre che un'autobiografia aneddotica di trasparente sincerità, tutte le poesie precedentemente pubblicate e dedicate, sotto il segno di un'accorata nostalgia, ai soldati, agli uomini di buona volontà, alle feste cittadine e famigliari. Il pubblico lo vide per l'ultima volta il 28 dic. 1975 ne La scoperta de l'America di A. Retti.

Mori a Roma il 5 genn. 1976.

Fonti e Bibl.: Roma, Archivio Checco Durante; necrol. in IlMessaggero, 6 genn. 1976; Enc. dello spett., IV, coll. 1171 s.; Filmlexicon degli autori e delle opere, II, Roma 1959, coll. 445 s.

S. Sallusti

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