FALCO, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 44 (1994)

FALCO, Francesco

Mauro Di Lisa

Nacque a Savigliano (Cuneo) il 16 marzo 1830 da Luigi e da Maria Franco. Rimasto in tenera età orfano di entrambi i genitori, fu affidato alle cure del notaio Giuseppe Lingua, che lo seguì durante gli anni della formazione svolta nelle scuole della città natale e lo avviò poi agli studi universitari, intrapresi a Torino nel 1849. Al tutore e alla sua famiglia il F. rimarrà profondamente legato, anche quando l'insegnamento della filosofia nei licei dell'Italia unita lo condurrà lontano da Savigliano e dal Piemonte. All'università di Torino rimase quattro anni, laureandosi in filosofia nel 1853.

Durante l'apprendistato universitario la sua cultura e i suoi interessi si collocarono saldamente negli orizzonti del liberalismo risorgimentale e dello spiritualismo europeo, sotto l'influenza decisiva degli insegnamenti dì D. Berti e G. M. Bertini. Dal Berti, in particolare, il F. fu spinto ad un'attenzione costante alla storia delle idee filosofiche e morali nella tradizione italiana; mentre la lezione del Bertini sarà sempre riconoscibile nei presupposti e nello stile stesso della sua riflessione teoretica, dichiaratamente svincolata da ogni dogmatismo confessionale.

Dopo il conseguimento della laurea frequentò per circa due anni le università tedesche. Nelle Nozioni di estetica (Alessandria 1873) ricorderà di aver studiato con Fr. Th. Vischer a Tubinga: qui probabilmente poté seguire anche i corsi di J. H. Fichte, il cui teismo speculativo costituisce una delle principali fonti d'ispirazione dei suoi primi scritti. Ma fu tutta la cultura filosofica tedesca, da Kant agli idealisti, da Herbart a Schopenhauer, che in questo soggiorno di studi conquistò l'entusiasmo del giovane F., introducendolo alle grandi tematiche del pensiero ottocentesco e spingendolo ad una meditazione sulle cause politico-religiose della decadenza della filosofia in Italia. Sono temi che già si trovano enunciati nella prefazione all'Etica ossia filosofia della libertà (Torino 1860), data alle stampe qualche anno dopo il ritorno in patria.

Giustificando la professione di dottrine che "sanno alquanto di filosofia straniera e nominatamente di filosofia tedesca", il F. addossava alla Controriforma e all'oppressione politica la responsabilità dell'arretratezza italiana ed esaltava la funzione di guida spirituale assunta in Europa dalle scuole tedesche: "qual'età mai ebbe - si chiedeva - sì poderosa falange di pensatori quanto la Germania di questi tempi?". E tuttavia, anche arricchito da altre influenze (come lo spiritualismo di un Ch. Secrétan o di un A. Vacherot) e dalle successive aperture alla cultura inglese o ad alcune tematiche del positivismo, il pensiero del F. non si allontanerà mai radicalmente, in questo suo confrontarsi con il dibattito europeo, dal percorso "ufficiale", teista e spiritualista, della filosofia italiana della seconda metà dell'Ottocento. Scrivendo di Torquato Tasso filosofo (Savigliano 1868), faceva propria, inoltre, la convinzione di Berti che "quando gli stranieri ci vedranno lavorare davvero sui nostri uomini e sui nostri secoli, e ci sentiranno contraddire e raddrizzare da noi, ci accetteranno e ci subiranno, come appunto facciamo noi, a gran vergogna, verso di loro".

Nel 1856 iniziò, nei collegi della Savoia (prima a Moutiers, poi a Bonneville), la sua carriera di insegnante di filosofia, che si protrasse per 32 anni e lo portò a Savona, Piacenza, Alessandria, Arezzo e, infine, dalla metà degli anni Settanta, a Lucca, dove si fermò anche dopo il collocamento a riposo. Tutta la vita del F. fu assorbita da questa attività di insegnamento, arricchita dallo studio costante della letteratura filosofica italiana ed europea, ed affiancata, con ritmo piuttosto regolare, dalla pubblicazione di conferenze, corsi di lezioni ed opere di carattere per lo più divulgativo, prive però dì risonanza significativa.

Giovanni Canna, suo compagno di studi a Torino (poi salito a notorietà come filologo classico e docente all'università di Pavia), scriverà alla morte dell'amico che "la maggiore e la miglior parte dell'ingegno e della fatica egli pose nell'opera lenta e oscura, ma sicuramente benefica, della scuola, condotta con amore e riverenza della gioventù e coscienza dell'alto ufficio".

Contrasta, con questo impegno professionale privo di avvenimenti esterni e con la riservata dedizione agli studi, la vicenda difficile della sua carriera scolastica, che il F. stesso definì "malaugurata" e che appena possiamo intravedere attraverso i pochi accenni sparsi nelle sue pubblicazioni. Una conferenza su Giordano Bruno (Torino 1863), in cui il nolano veniva proposto all'ammirazione degli studenti come "il più immortale di quanti mai filosofi si ebbe Italia", gli valse le aspre censure degli ambienti più retrivi e tradizionalisti. Analoghe cause dovettero avere le sue difficoltà degli anni successivi, amareggiati da "malizia di colleghi e nequizia di insipienti superiori", fino alla forzata anticipazione del collocamento a riposo nel 1888. Dediche e prefazioni dei suoi libri ed opuscoli testimoniano anche, d'altro canto, di una cordiale rete di amicizie, che si allargava ai rapporti epistolari (descritti da F. Cuniberti) con personalità di rilievo del mondo culturale: i già ricordati Berti e Canna, L. Ferri, conosciuto nel 1858 al collegio di Bonneville, R. Ardigò, C. Cantoni, A. D'Ancona, F. De Sanctis, G.V. Schiaparelli "e altri scienziati stranieri e di università tedesche".

Nella già citata Etica, ossia filosofia della libertà - la sua prima pubblicazione - il F. muoveva dai tipici presupposti del teismo filosofico (dualità di finito e infinito, mondo e Creatore, senso e intelletto) per disegnare una scienza razionale ed universale dei "principii produttori e regolatori della vita pratica", capace di superare la falsa alternativa del dogmatismo teologico e dello scetticismo sensista. Pur passando in rassegna molteplici proposte teoriche, l'operetta ricalcava fondamentalmente le tesi di G. M. Bertini, da cui riprendeva il concetto-guida della libertà come amore intellettuale del Bene in sé (o ragione eterna di Dio).

Se il rinvio alla legge divina e all'immortalità dell'anima risultava inseparabile dalla riflessione sull'ordinamento morale (come il F. ribadirà nello scritto su L'ordine ed i fatti morali, Alessandria 1874), il cristianesimo, aprendo l'uomo alla dimensione della libertà, rimaneva a fondamento della civiltà moderna.

Ma ormai, aggiungeva il F., "la ragione umana si è fatta forte assai da discovrire ella stessa le verità che si riferiscono alla vita pratica" e non ha più bisogno della "tutela educatrice della religione". D'altra parte l'oggettivismo morale del F. rigettava con veemenza le teorie materialistiche, utilitaristiche e positivistiche, così come, in campo politico, le dottrine socialiste e comuniste. Il principio della separazione tra Chiesa e Stato e il riconoscimento della monarchia costituzionale come migliore forma di governo completavano l'etica "speciale", ossia la teoria applicata dei doveri, diritti e virtù. Questo liberalismo antisensista e antipositivista trovava coerente conferma nella conferenza piacentina su Melchiorre Gioia (Savigliano 1867), in cui il F. auspicava la preminenza dell'istruzione pubblica e il sopravvento dello "spirito laicale". Ispirazione cristiana e liberale si sposavano però nella richiesta di una rigorosa delimitazione della sfera statale: "L'individuo all'apice, lo Stato alla base della piramide sociale, questo è voluto dalla civiltà cristiana: azione del governo là, dove è strettamente indispensabile e non oltre, ... questa è l'idea fondamentale della politica schiettamente liberale che ognor più signoreggia lo spirito moderno".

L'attività didattica del F. si tradusse in una serie di piccoli volumi o dispense che raccoglievano i cicli di lezioni sulle varie discipline filosofiche (Arte logica. Saggio primo e Saggio secondo, Savona 1865, 2 voll.; Nozioni di estetica, Alessandria 1873; Del metodo sperimentale, Lucca 1876; Illinguaggio, ibid. 1878; Dell'arte bella, ibid. 1888; e infine il più tardo Ermeneutica e critica bibliografica, ibid. 1898). Maggiore interesse rivestono i suoi interventi nel movimentato dibattito sul positivismo e l'evoluzionismo. Come sulle pagine della Filosofia delle scuole italiane (la rivista di T. Mamiani e E. Ferri, ben rappresentativa dell'area culturale in cui egli continuò a riconoscersi), anche negli scritti del F. emerge l'attenzione critica, ma crescente, per le nuove tematiche scientifiche e sociali, e il faticoso tentativo di rinnovare lo spiritualismo italiano al fine di contrastare più efficacemente le derive scientiste e materialiste. Nel 1870, pur respingendo il darwinismo, egli si mostrava interessato a un'utilizzazione filosofica dei nuovi "risultati inconfutabili delle scienze sperimentali", e già si chiedeva se il "monismo, psicologico" di Herbert Spencer, assimilato a una tradizione risalente a Spinoza e Schelling, non potesse essere piegato verso proficue direzioni di ricerca (L'uomo. Saggio popolare, Piacenza 1870-1871, 2 voll.).

Ma fu dopo il trasferimento al liceo "Machiavelli" di Lucca che un più preciso disegno filosofico venne a maturazione. Passato anche attraverso lo studio della logica e della psicologia britanniche, il F. approdava, con I fatti psichici della vita animale (Lucca 1880), ad una sorta di monismo antimaterialistico che, se per certi aspetti si allontanava dallo "spiritualismo vieto oramai ed impaccioso" di un Mamiani, teneva fermi i tradizionali capisaldi della separazione di vita psichica e fisiologica, dell'intuizione razionale del sovrasensibile, del libero arbitrio.

"Materia e spirito sono due forme coeterne dell'Essere" - scriveva ne I fatti psichici - abbandonando, almeno formalmente, la dottrina dell'anima come sostanza separata ("ogni sostanza esiste ad un tempo nelle due forme di corpo ed anima") e dichiarando di conservare il "linguaggio degli spiritualisti" solo "per maggiore speditezza e chiarezza del discorso". Il F. si richiamava ora proprio alle scienze moderne per dimostrare l'irriducibilità degli istinti animali al mero livello dell'evoluzione organica (secondo quanto lo stesso Rosmini aveva intuito con la sua teoria del "sentimento fondamentale corporeo") e per sottolineare come i fenomeni psichici, a loro volta, assumano nell'uomo una superiore dimensione spirituale, pur disponendosi nel quadro teleologico di quell'unica sostanza dinamica che è la Natura.

Nel successivo L'eredità dell'ingegno. Studio critico (Lucca 1882) il F. prendeva di petto una delle questioni più dibattute e controverse dell'epoca. Senza sciogliere le inevitabili contraddizioni del suo preteso monismo, ma individuando abilmente le debolezze delle correnti teorie sui meccanismi dell'ereditarietà, egli rintracciava nell'evoluzione naturale, accanto alla legge dell'eredità, l'azione di una legge di "inneità", ovvero un principio di perpetua variabilità delle forme, operante sia nel mondo organico che in quello spirituale. Si avvicinava così, sia pure per generiche intuizioni, all'idea di un'evoluzione creatrice: "la Natura cesserebbe di mostrarsi degna del nostro culto il giorno che la concepissimo come spoglia di forza creatrice, mancante d'un principio inesausto di forme, e ci figurassimo i fenomeni suoi come assoggettati ad un determinismo meccanico, non che assoluto".

Lasciato l'insegnamento, il F. trascorse a Lucca, con la moglie Maddalena Pozzi (sposata nel 1862), i suoi ultimi anni. Riprese gli studi su quella parte della filosofia morale che, seguendo Bertini, chiamava "aretologia": e alle teoriche delle virtù nei primi secoli della letteratura italiana dedicò alcuni opuscoli di carattere poco più che compilativo. Il confronto con il positivismo evoluzionistico, appena abbozzato nei due scritti dei primi anni Ottanta (che rimangono comunque le sue cose migliori), non conobbe ulteriori approfondimenti. Ancora nel 1898 rivendicava "la profonda differenza che separa la filosofia spiritualistica dalla teologia e dal dogmatismo"; con l'ultima sua opera, L'aretologia presso Socrate, Platone ed Aristotele (Lucca 1899), riandò alle fonti prime dello spiritualismo etico. 1 Il F. si spense a Lucca il 22 nov. 1899.

Opere: oltre alle opere citate si vedano: Pensieri filosofici di s. Caterina da Siena, Lucca 1890; Moralisti italiani del Trecento, ibid. 1891; Domenico Cavalca moralista, ibid. 1892; S. Bonaventura, Brunetto Latini ed il Fiore di virtù, ibid. 1893; Paolo Paruta moralista, ibid. 1894; Dottrine filosofiche di Torquato Tasso, ibid. 1895; Niccolò Machiavelli suo carattere e suoi principj, ibid. 1896.

Fonti e Bibl.: Un necrologio, di G. Canna, comparve sulla Riv. filosofica, I (1899), t. II, pp. 356 ss. Altri necrologi, insieme con ulteriori notizie biografiche e una piccola scelta di lettere, furono raccolti da F. Cuniberti, Note ed appunti sulla vita e sulle opere del prof. cav. F. F., Torino 1904 (Cuniberti redasse anche il testo di una lapide commemorativa, che fu apposta nello stesso 1904 alla casa natale del Falco). Mancano studi sul F.: cfr. comunque Bibliografia filosofica italiana 1850-1900, Roma s.d., p. 203. Tra le recensioni, la più interessante è quella di R. Bobba concernente I fatti psichici della vita animale, in La Filosofia delle scuole ital., XII (1881), t. XXIII, pp. 105-110. Cfr. anche G. Allievo, rec. a Torquato Tasso filosofo, in Il Campo dei filosofi ital., V (1868), pp. 95 s.; T. Mamiani, rec. a Del metodo sperimentale, in La Filos. delle scuole ital., VI (1876), t. XIII, p. 439; G. Fontana, rec. a Il linguaggio, ibid., VIII (1878), t. XVII, pp. 424 ss.; L. Rossi, rec. a Dell'arte bella, in Riv. ital. di filos., III (1888), I, pp. 321-324; E. Passamonti, rec. a Moralisti ital. del Trecento, ibid., VI (1891), 2, p. 434; L. Ferri, rec. a Paolo Paruta moralista, ibid., IX (1894), 2, pp. 113 s.

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