Frugoni, Francesco Fulvio

Enciclopedia Dantesca (1970)

Frugoni, Francesco Fulvio

Aurelia Accame Bobbio

Romanziere, poeta e critico, frate minimo, predicatore (Genova 1620 c. - Venezia 1686 c.). Nei Ritratti critici (Venezia 1669, III 369-372) muove dalla polemica contro i rigidi difensori della lingua del buon secolo per tacciare di antiquati e rozzi i tre grandi trecentisti: " E che direbbe ser Dante che tanto nella frase suol aver del pedante, come ne' suoi reconditi sensi del filosofo e del teologo? ". Si meraviglia che il Bartoli, cui professa alta stima, elogi la Commedia come impareggiabile per l'eminenza dell'ingegno e del dire, mentre qualunque dei moderni, di cui enuncia lunga serie di nomi, la supera nello stile. Concede qualcosa all'invenzione " per aver umanato, benché sotto velo opaco, le notizie degli arcani divini ", onde ammette si levi talora all'eccellenza nel Paradiso, ma basso all'estremo giudica lo stile dell'Inferno.

Altro atteggiamento assume nel Cane di Diogene (Venezia 1687, V 158-163). D. è introdotto come usciere del " Tribunal della Critica ", " vecchiotto robusto e fresco, sagace e ribaldo ", che la Satira, personificata a guida del " Cane ", bacia familiarmente, invitando questo a lambirgli devotamente la mano, come a " ritratto " di Diogene suo padrone. Di D. esalta il carattere fiero e indomito coi versi oraziani (III 3 ss.), e onora la sventura dell'esule, cui attribuisce composta poco prima di morire l'epigrafe Iura Monarchiae menzionata dal Boccaccio, ma invece di Bernardo Scannabecchi detto Bernardo di Canaccio. Altrove Mercurio incoraggia ironicamente i poeti cortigiani dicendo che non è più in uso D. " poeta antico "; il che non impedisce al F. di mettere in bocca al poeta una tirata adulatoria alla casa medicea, e un'altra ad Antonio Magliabechi, cui rassegna la custodia della biblioteca di Parnaso. Se dunque nei Ritratti partecipa ad alcuni pregiudizi secenteschi, di stile e di lingua, risulta nel Cane una più rispettosa comprensione di D. come poeta morale fustigatore dei costumi (ed è noto che i poeti satirici del Seicento, specie quelli medicei, avevano familiari versi e passi danteschi), altamente onorabile per integrità di carattere. Forse non è estranea a questa maggiore simpatia testimoniata dal F. nel Cane quella certa umanità offesa di amare esperienze e quel moralismo risentito che sottende l'immensa fiumana delle sue grottesche fantasie satiriche.

Bibl. - U. Cosmo, Le opinioni letterarie d'un frate del Seicento, in " La Nuova Rassegna " 30 sett. 1894 (poi in Con D. attraverso il Seicento, Bari 1946); C. Calcaterra, II Parnaso in rivolta, Milano 1940, 151-158; E. Raimondi, notizia premessa alle pagine del F. nell'antologia Trattatisti del Seicento, Milano 1960, oltre ai due saggi: Aspetti del grottesco barocco, e Un lettore barocco di Rabelais, raccolti in Letteratura barocca, Firenze 1961. Per i giudizi su D. in particolare, v. oltre al COSMO citato: F. Flamini, D. nel Cinquecento e nell'età della decadenza, in D. e l'Italia, Roma 1921; E. Trinchero, Il Parnaso di F. Frugoni, in " Paragone " giugno 1961, che per altro intende negativamente anche quello del Cane, del resto trascurato dagli altri critici.

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