GUADAGNI, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 60 (2003)

GUADAGNI, Francesco

Maria Fubini Leuzzi

Nacque a Roma nel 1769 da Giacomo, giureconsulto, originario di Fara Sabina e da Teresa Franceschini. Seguendo una prassi della società romana più tradizionalista, la famiglia lo fece studiare nel Collegio romano, divenuto seminario dopo lo scioglimento della Compagnia di Gesù ma, non solo simbolicamente, rimasto il cuore della cultura gesuitica. Qui si procurò la stima e l'amicizia, mai venuta meno, di R. Cunich, già gesuita, grecista e latinista illustre, maestro nella stessa scuola di I. Pindemonte ed E.Q. Visconti. Da Cunich, specialmente noto per la traduzione in latino dell'Iliade, da G. Marotti, pure filologo di fama, e dal maestro di poesia latina e lingua greca N. Tiberi acquistò il gusto per la composizione latina in versi, cui si dedicò presto. Nell'Università Gregoriana seguì anche i corsi di teologia e filosofia, tornando subito agli studi letterari per le insistenze dei maestri. Si addottorò anche in utroque iure nella Sapienza ma, pur designato dal padre alla carriera di civilista, non vi si applicò per il carattere schivo e poco adatto alle contrapposizioni verbali. Legato alla gerarchia ecclesiastica per orientamento religioso e civile, fu aiutante di studio del promotore della fede, mons. Napoleoni, allo scopo di divenire legale nei processi di canonizzazione. Nel 1804 divenne avvocato dalla congregazione dei Riti, senza necessità, data la preparazione raggiunta, di passare per il grado di procuratore.

Poco si conosce della sua attività nei primi anni del pontificato di Pio VII e dell'occupazione napoleonica. Può essere significativo un carme di esultanza per il ritorno a Roma nel 1814 della Compagnia di Gesù, scritto ancor prima che il segretario di Stato E. Consalvi avesse acconsentito a tale rientro (De Societate Iesu recens instaurata. Syncharma, Roma s.d.), che lo vide allineato agli zelanti e al partito gesuitico. Da giurista nella congregazione dei Riti ottenne un notevole successo nel dimostrare l'autenticità della salma di s. Francesco, le cui ossa erano state ritrovate (12 dic. 1818) nella cripta della basilica di Assisi, dopo ricerche avviate da decenni e da ultimo con l'autorizzazione di Pio VII e per iniziativa del generale dei frati minori conventuali, G.P. De Bonis.

L'incarico era di rilievo, essendo assegnato al G. in un momento difficile per l'Ordine francescano, che specialmente in Francia dopo la Rivoluzione aveva subito perdite e scissioni e rimaneva diviso in diverse famiglie. Il ritrovamento del corpo del fondatore dell'Ordine, rimasto celato dal XV secolo, poteva offrire occasione a un raccostamento dei diversi rami, mentre aumentava il prestigio di quello più numeroso e vicino al papa, i conventuali, da sempre custodi della basilica di Assisi. Il processo "giuridico e solenne", istruito con la bolla dell'8 genn. 1819 e svoltosi dal 26 gennaio al 1° febbraio, vide la presenza dei procuratori delle diverse famiglie dell'Ordine. La dimostrazione del G. a favore dell'autenticità del corpo ritrovato nella cripta fu convincente sia per le disquisizioni canonistiche e peritali, sia per precisazioni in merito alle monete ritrovate nel sarcofago, svolte con l'aiuto di C. Fea ed Alessandro Visconti, quali antichisti pontifici. La relazione del G. ottenne il parere favorevole dei cappuccini e dei terziari regolari e le sue argomentazioni ressero anche all'esame della commissione pontificia istituita nel 1820 (De invento corpore d. Francisci Ordinis minorum parentis, Romae 1819; Sententiae dictae a procuratoribus generalibus familiarum Francescalium in causa inventi corporis d. Francisci. Adnotationes…, Romae 1820). La vicenda fu conclusa dal breve di approvazione di Pio VII, Assisensem basilicam, del 5 sett. 1820; qualche anno dopo Leone XII ribadì l'importanza non soltanto cultuale del ritrovamento, istituendo nel 1824 la nuova festa per l'intero Ordine francescano "de inventione corporis". Più tardi (1835) il G. fu incaricato del patrocinio della causa di beatificazione del p. Paolo della Croce, fondatore dei chierici scalzi della Ss. Croce e Passione di Gesù Cristo (passionisti), ma non poté sostenerla per motivi di salute; comunque la causa si concluse solo nel 1856.

Aveva preso a frequentare presto l'Accademia dell'Arcadia, centro della cultura letteraria romana, col nome di Eudoro Idalio; nel 1814, quando fu istituita l'Accademia latina, il G. fu fra coloro che ne redassero lo statuto e ne fu censore e poi presidente, dal 1830 alla morte. Si confermavano così i suoi interessi filologici e antiquari, manifestati anche dall'adesione ad altre accademie rispondenti alla cultura neoclassica evocatrice della Roma antica, ma soprattutto apologetica della Roma dei papi, che ne era stata buona custode.

Si trattava d'un neoclassicismo, poco apprezzato anche da G. Leopardi, in cui la retorica si combinava con l'erudizione archeologica ed epigrafica, priva di qualsiasi prospettiva storica. In tale spirito il G. ridiede vita all'Accademia dei Desiosi di Fara Sabina, di origini cinquecentesche, e fu membro autorevole dell'Accademia romana di archeologia e dell'Accademia sabina, fondata nel 1825 da G.B. Nardi, altro esponente della cultura romana del periodo. In quella sede, in occasione del Natale di Roma, tenne un'orazione per mostrare il contributo alla civiltà offerto dai Sabini nel "concedere" le proprie donne ai Romani (Quanto Roma debba al popolo sabino, in F. Guadagni, Opuscoli postumi italiani e latini, Roma 1838, pp. 50-64). La tesi si contrapponeva espressamente a quella di C. Botta, che assegnava una posizione di eccellenza solo ai Latini e, senza discutere le fonti, ne capovolgeva il senso.

Il G. fu anche membro del collegio filologico dell'Università della Sapienza. In tale veste scrisse un componimento poetico per celebrare la scoperta del palinsesto ciceroniano compiuta da A. Mai (De Marco Tullio Cicerone, deque Angelo Maio… eius De republica libros a tenebris vindicante. Elegia, Romae 1820). Interamente pubblicato anche nel t. VI del Giornale arcadico, esso segna l'inizio della sua collaborazione al periodico, nato l'anno precedente per dare espressione alla cultura romana e con l'impegno alla ricerca di una moderata purezza linguistica. Ancora nell'ambito del gusto filologico-letterario, ereditato da Cunich, di far rivivere la lingua latina attraverso traduzioni, il G. pubblicò sul Giornale arcadico in versione latina composizioni del poeta persiano Sa‛di (Muṣliḥ ad-Dīn Abdallah): Versi malinconici di Saadi persiano, tradotti in latino (XI [1821], pp. 78-81), cui si aggiunse nel numero successivo Alcune altre poesie del persiano Saadi in latino.Al sig. ch. Francesco Cancellieri, contenente altri saggi di traduzione del poeta persiano (XII [1821], pp. 87-92). L'indirizzo a Cancellieri di questa traduzione a dir poco originale non meraviglia, non solo perché questi era uno dei principali animatori del circolo degli arcadi, del loro giornale e delle Effemeridi letterarie, nate da una frazione dei fondatori del Giornale archeologico, impegnato nella divulgazione degli ideali del neoclassicismo. I legami del G. con Cancellieri erano ben più profondi e risalivano al condiscepolato al Collegio romano, con la conseguente medesima connotazione di appartenenza al partito gesuitico. Dunque egli gli si rivolse come a un maestro e amico per una traduzione che usava una libertà a cui i dotti non potevano consentire. Era stato l'orientalista J.D. Akerblad a fornirgli la secentesca traduzione latina con testo a fronte di G. Gentius del poemetto del Gulistan di Sa‛di (G. Van Gent, Rosarium politicum, sive Amoenumsortis humanae theatrum, Amstelaedami 1651), che l'aveva attirato per il contenuto moralistico. La perplessità degli ambienti a lui vicini l'indusse però a interromperne la pubblicazione; la traduzione intera del Gulistan apparve solo negli Opuscoli postumi (E Gulistano Saadi poetae Persae rosarum delectus. Latinis epigrammatis ac fabulis exhibitus, pp. 109-157), in parte in forma di epigrammi e in parte in forma di favole, alla maniera di Fedro. Il G. espresse anche ammirazione per il più vivace animatore del Giornalearcadico, Giulio Perticari, genero di V. Monti, componendone l'elogio funebre (De comite Iulio Perticario vita functo, Romae 1823).

La morte, nel 1823, di Pio VII, l'elezione di Leone XII e il conseguente allontanamento di Consalvi dalla segreteria di Stato ebbero ripercussioni nei circoli della cultura romana e impressero una svolta anche alla produzione letteraria del G., manifestatasi specialmente dopo la sua ammissione nel 1824 nell'Accademia di religione cattolica. Organo degli zelanti, fondata tra 1799 e 1802 per resistere a ogni innovazione disciplinare e culturale che potesse giungere dalla Rivoluzione o da Napoleone, aveva attraversato una crisi nel 1821, quando Consalvi era riuscito ad allontanare dalla segreteria il fondatore G.F. Zamboni. L'elezione al pontificato di un esponente dello zelantismo, quale il card. A. Della Genga, permise all'Accademia di rinsaldarsi su una linea intransigente che escludeva anche l'ultramontanismo. Nel 1824 ne divenne segretario il generale dei minori conventuali A.F. Orioli, cui il G. era vicino per l'incarico tenuto nel 1819, mentre l'anno successivo divenne presidente G. Marchetti, antico avversario del giansenismo e sostenitore inflessibile del primato di Roma e del papa. È nell'ambito della riaffermazione dello zelantismo che vanno dunque letti i contributi di interpretazione storica o di filosofia della storia pronunciati e pubblicati dal G. negli anni successivi.

Significativa dello spirito che lo animava, della fede nell'assolutezza della Chiesa romana e del suo pontefice contro ogni gallicanesimo è l'orazione Designificatione honoris erga d. Catherinam Senensem Urbis patronam augenda (Romae 1826), che vede rinnovellarsi nelle recenti vicissitudini sofferte dai pontefici le condizioni che avevano impegnato Caterina per il ritorno a Roma di Gregorio XI. Più argomentate, sia pure attraverso un andamento controversistico elementare, sono due dissertazioni (Due dissertazioni apologetiche. La prima è in difesa de' sommi pontefici come tutori del ius naturale. La seconda ribatte ciò che in disfavore della santa religione cattolica ha scritto l'autore della storia dei popoli italiani, Roma 1828) dedicate a B. Cristaldi, da poco nominato cardinale, anch'egli suo condiscepolo nel Collegio romano. La prima portò argomenti contro le tesi di G. Febronio sulla prepotenza dei pontefici verso i popoli soggetti (pp. 7-44). La seconda, pur con ossequio rispettoso verso C. Botta, riconosciuto nell'ambiente romano uomo di meriti indubitabili, volle dimostrare che la religione cristiana era stata educatrice di civiltà e "meravigliosa correzione degli eccessi pagani" (pp. 45-79). Quando nel 1835 A. De Luca fondò gli Annali delle scienze religiose, vicini all'Accademia di religione cattolica, col proposito di estirpare gli errori delle pubblicazioni italiane e straniere in materia disciplinare e istituzionale, chiamò a collaborarvi il G., che vi pubblicò (III [1836], pp. 245-263), una dissertazione già pronunciata in accademia contro il "cattivo cattolico" ungherese G.S. Lakics, che aveva imputato alla Chiesa di sottrarsi ai tributi richiesti dai governi per supportare le condizioni di vita dei popoli (Institutionum iurisecclesiastici, I-II, Budae 1779-81). Il suo argomento di base fu che il patrimonio ecclesiastico è immune per l'origine divina: alla Chiesa, sposa di Cristo, sono pervenute tutte le sue qualità divine. Non vi sarebbe dunque distinzione fra poteri, e la Chiesa può collaborare con i governi fin tanto che ciò le permette di raggiungere i propri fini. Altri scritti di occasione del G., spesso dedicati ad alti prelati, furono pretesto anche di sfoggio della ricerca di preziosismo nella lingua latina, talvolta giudicato eccessivo anche da contemporanei.

Il G. si era sposato all'età di 22 anni con Dorotea Cossa, di Salisano, piccolo centro non lontano da Fara Sabina, confermando gli interessi anche patrimoniali che la famiglia manteneva con la terra d'origine, da cui dovevano giungere le rendite cospicue che lo sottrassero per tutta la vita a problemi finanziari. Rimase vedovo nel 1817. Dal matrimonio erano nati Giulio Cesare, poi barnabita col nome di Angelo, e Marianna, sposata anche lei all'esponente di una famiglia di Salisano, G. Manelfi Novelli. Il loro figlio fu l'erede testamentario del patrimonio e della scelta e ricca biblioteca del nonno, con l'obbligo di conservarla.

Le sue capacità di latinista, la vicinanza agli ambienti di Curia e il successo conseguito nella congregazione dei Riti lo portarono all'incarico di minutante nella Segreteria dei brevi. Non resse però all'impegno, che lo costringeva a stabilire relazioni di lavoro cui non era assuefatto; si dimise nel 1825 per ritornare agli studi in solitudine, a lui più congeniali; Leone XII gli concesse allora una sorta di pensione in forma di benefici semplici. Pur non decidendosi a prendere i voti, il G. "vestì le clericali divise" (Fabi Montani, p. 385). Visse con semplicità e modestia, coerentemente alla sua adesione all'Arciconfraternita del S. Cuore di Gesù, detta dei "sacconi bianchi", la prima a essere istituita a Roma (1729) quando ancora il culto del S. Cuore non era ufficialmente ammesso (ciò avvenne, limitatamente ad alcune circoscrizioni, nel 1765). Le regole severe della confraternita prevedevano per i fratelli, tutti provenienti da ceti altolocati, persino l'esercizio della disciplina.

Il G. morì a Roma il 9 luglio 1837, dopo un lenta decadenza fisica; fu sepolto, secondo le costituzioni, nel cimitero all'interno della chiesa di S. Teodoro al foro Romano, sede dell'arciconfraternita.

Fonti e Bibl.: Scarsissime sono le fonti a stampa e nulla si conosce dell'archivio personale, lasciato alla famiglia. Un necrologio è in Dissertazioni della Pontificia Accademia romana di archeologia, IX (1840), pp. VI-VIII; la biografia più compiuta è quella premessa da F. Fabi Montani a F. Guadagni, Opuscoli postumi italiani e latini, Roma 1838, pp. I-XXIV (ristampata, leggermente ridotta ma corredata di bibliografia, in E. De Tipaldo, Biografia degli italiani illustri…, VI, Venezia 1838, pp. 384-392). Vedi anche: L. Di Fonzo, Francesco da Assisi, in Bibliotheca sanctorum, V, Roma 1964, in part. coll. 1104-1108. Per ricostruire il personaggio è utile la bibliografia degli ambienti di cui il G. fece parte, anche se non sempre vi è espressamente menzionato: A. Righetti, Il Giornale arcadico, 1819-1856, Roma 1911; P. Galletti, Memorie storiche intorno alla provincia romana della Compagnia di Gesù dall'anno 1814 all'anno 1914, Prato 1914; M. Petrocchi, La Restaurazione romana (1815-1823), Firenze 1943; P. Treves, L'idea di Roma e la cultura italiana del secolo XIX, Milano-Napoli 1962; R. Colapietra, La Chiesa tra Lamennais e Metternich. Il pontificato di Leone XII, Brescia 1963; M. Maroni Lumbroso - A. Martini, Le confraternite romane nelle loro chiese, Roma 1963, pp. 12-14; S. Fontana, La controrivoluzione cattolica in Italia (1820-1830), Brescia 1968; G. Pignatelli, Aspetti della propaganda cattolica a Roma da Pio VI a Leone XII, Roma 1974; A. Piolanti, L'Accademia di religione cattolica. Profilo della sua storia e del suo tomismo, Città del Vaticano 1977; S. Timpanaro, La filologia di Giacomo Leopardi, Bari 1977; R. Bizzochi, La "Biblioteca italiana" e la cultura della Restaurazione, 1816-1825, Milano 1979. Utili per la ricostruzione delle relazioni del G. sono le seguenti voci del Diz. biogr. degli Italiani: Amati, Girolamo; Anfossi, Filippo; Betti, Salvatore; Borghesi, Bartolomeo; Cadolini, Anton Maria; Cancellieri, Francesco; Caprano, Pietro; Consalvi, Ercole; Cristaldi, Belisario; Cunich, Raimondo; De Luca, Antonino.

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