MAYR, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 72 (2008)

MAYR, Francesco

Paolo Posteraro

– Figlio di Luigi, nacque a Garmisch, in Baviera, l’11 nov. 1801 in una famiglia di negozianti di condizioni economiche piuttosto agiate che nel 1810 si trasferì in Italia, a Ferrara.

Studente molto brillante, il M. si laureò in giurisprudenza a soli 19 anni e, appena conseguito il diploma, nonostante la giovane età fu nominato professore di diritto civile presso l’Università di Ferrara. Sfoggiò fin dal principio un suo personalissimo stile di insegnamento, rifuggendo con decisione il pedantismo e il nozionismo tipici del tempo, che gli valse la stima e l’apprezzamento degli studenti, sempre numerosi alle sue lezioni e attratti dalla sua oratoria e dalla sua grande capacità comunicativa. Senza nulla togliere allo studio del diritto, nel quale ripose sempre molta passione, il M. si dedicò con grande energia anche alla politica, avvicinandosi giovanissimo ai liberali, a fianco dei quali si impegnò in molte battaglie.

Animato di tali sentimenti, curò la pubblicazione delle memorie di un patriota tedesco che aveva combattuto per la libertà della sua terra contro i Francesi: Memorie e lettere di Enrico Waller (Ferrara 1837). I suoi scritti ebbero sempre il fine, più o meno velato, di esaltare l’importanza della democrazia e rivendicare il diritto degli Italiani alla nazionalità.

Trascinati dalla personalità del M. e seguendo i suoi insegnamenti, furono in gran numero gli studenti che si avvicinarono alla lotta politica.

Nel 1831, insieme con il cugino Carlo Mayr, il M. prese parte da protagonista ai moti scoppiati in città, figurando tra i capi del corpo armato universitario e fungendo poi da consigliere del tribunale d’appello instauratosi dopo il successo della rivolta. Soffocata ben presto l’insurrezione e ristabilito il potere pontificio, venne immediatamente allontanato dall’ateneo e costretto all’esilio, da cui sarebbe tornato – stando a una notizia tratta dalla Civiltà cattolica – solo con l’amnistia di Pio IX nel 1846.

Ripresa una collocazione nella società cittadina, nel giugno del 1848 il M. fondò la Gazzetta di Ferrara: foglio politico, scientifico, letterario, giornale che si fece promotore delle dottrine liberali, anche se, a poche settimane dalla nascita, si vide costretto dai nuovi impegni politici a cederne la direzione al cugino Carlo. Nello stesso 1848, infatti, a Ferrara venne costituita una giunta di governo allo scopo di affiancare il rappresentante pontificio – formalmente favorevole all’iniziativa – nella gestione del potere e il M., forte del lungo impegno politico e grazie ai meriti in campo giuridico, venne chiamato a farne parte. Il suo primo grande sforzo fu volto all’allontanamento dalla provincia di un corpo di soldati napoletani che, nei fatti mal sopportato anche dalle autorità pontificie, vi stazionava da tempo. L’esperienza della giunta ferrarese fu di grande importanza e avrebbe potuto costituire un esempio per tanti altri centri delle Legazioni pontificie. In tal senso questo divenne il principale obiettivo che il M. si pose fin dai primi giorni e per il quale spese molte energie, raccogliendone spesso anche i frutti. Nacquero giunte di governo anche a Bologna e Forlì. Frattanto, il 21 maggio 1848, si celebrarono le elezioni e il M. risultò eletto al Consiglio dei deputati.

Per l’occasione compose un opuscolo dedicato agli elettori del suo collegio (Avvertimento agli elettori del collegio di Ferrara), con il dichiarato intento di ricordare quanto fosse importante la scelta del candidato da votare, dovendo gli eletti rimanere in carica per un periodo di 4 anni. Nel breve scritto, colmo di lodi per la figura di Pio IX e le sue scelte «liberali e costituzionali», il M. annotò come fino ad allora il popolo dello Stato pontificio non avesse mai avuto la possibilità di decidere del proprio futuro: «eravamo considerati come costituiti in età infantile o pupillare», anche quando, come al tempo della rivoluzione del 1798, era sembrato che si fosse raggiunta la vera libertà. Pur tuttavia, la concessione dello statuto non si mostrava sufficiente per sanare tutti i problemi dell’amministrazione dello Stato e la sua difficile situazione finanziaria, dovuta, quest’ultima, a diversi fattori, primo fra i quali il languire del commercio soffocato dai dazi. Vi era un’impellente necessità, dunque, di riforme efficaci e radicali, per porre fine alle immunità ecclesiastiche, al fedecommesso – garantendo, inoltre, alle donne gli stessi diritti ereditari degli uomini – e all’ingerenza degli ecclesiastici nella gestione della cosa pubblica. Su un piano più ampio l’obiettivo indicato dal M. era la realizzazione di una stretta federazione tra gli Stati della penisola.

Eletto al Consiglio dei deputati e trasferitosi a Roma, il M. fu tra i più risoluti nell’invocare, come relatore del progetto sull’armamento, una politica militare più attiva avente come fine la partecipazione alla guerra contro l’Austria. In un succedersi di governi privi di vera capacità decisionale si giunse all’assassinio di Pellegrino Rossi e alla fuga del papa. Dal vuoto di potere così determinatosi il M. sostenne, il 23 dicembre, che non si dovesse uscire convocando una Assemblea costituente, vedendo in questo nuovo organismo un tradimento del pontefice proprio da parte di quegli eletti che avevano giurato fedeltà allo statuto. Mentre la sinistra lo attaccò per bocca di P. Sterbini, in tale circostanza fu appoggiato soltanto da R. Audinot e L. Potenziani. Negli stessi giorni fu nominato preside della Delegazione di Marittima e Campagna con sede a Frosinone e, ribadendo la sua opposizione alla Costituente, non fece mai atto di adesione alla Repubblica Romana.

Al ritorno del papa, il M. fu nuovamente e duramente perseguitato e costretto all’esilio in Toscana e in Svizzera. A Firenze pubblicò un saggio (Uno sguardo al passato 1848-1849 e al presente nello Stato pontificio, 1851) nel quale esaminò con grande chiarezza e lucidità le vicende dell’insurrezione romana e la complessa e difficile realtà dello Stato pontificio. Sostenitore convinto della politica di C. Cavour, appoggiò la decisione di far partecipare il Regno di Sardegna alla guerra di Crimea e condivise l’ineluttabilità della cessione di Nizza alla Francia.

Nel 1861, eletto deputato di Ferrara per l’VIII legislatura, il M. fu il primo in Parlamento a proporre il trasferimento della capitale da Torino a Firenze, della quale lodò l’adeguatezza delle strutture e la posizione centrale nella penisola, contrapposta a quella periferica di Torino, troppo vicina al confine.

L’attività politica del M. dopo l’Unità fu volta, principalmente, al rafforzamento dell’esercito e al perseguimento della netta separazione tra Stato e Chiesa.

In un altro opuscolo (Le condizioni politiche dell’Italia nel 1860. Il passato ed il futuro parlamento, Bologna 1861) il M. esaminò con grande lucidità la situazione dell’Italia, neonata nazione unitaria, piena di problemi da superare. Per svolgere le sue considerazioni e avvalorare le sue tesi, fece ampio ricorso al confronto con le realtà di alcuni paesi stranieri, che dimostrò di conoscere a fondo. Citò, per esempio, l’Inghilterra, dove in periodo di campagna elettorale, diversamente da quanto era avvenuto in Italia in occasione delle ultime elezioni, «si svolgono meeting affollati […] in cui si discutono senza rispetto alcuno le cose». Il periodo «fra una legislatura e l’altra» nei paesi democratici al cui esempio l’Italia avrebbe dovuto rifarsi «è il più importante e solenne della vita costituzionale». L’opuscolo fu oggetto di una lunga e puntigliosa recensione da parte della Civiltà cattolica che lo pose a confronto con l’altro del 1851 per rilevare come il M., da antipiemontese nel 1848-49, per puro opportunismo si fosse convertito nel 1859 alla politica cavouriana abbracciandone la linea antitemporalistica.

Dopo due anni di presenza in Parlamento il M. si dimise, forse per delusione nei confronti delle istituzioni. Membro di diversi uffici pubblici e privati, per 17 anni fu preside della Cassa di risparmio di Ferrara, della quale era stato uno dei fondatori.

Il M. morì a Ferrara il 3 maggio 1883.

Tra gli altri scritti del M. sono da ricordare: La convenzione italo-franco e Firenze capitale d’Italia: discorso, Ferrara 1864, e Sugli ultimi avvenimenti politici e militari d’Italia e di Germania, lettere… ad un amico politico, ibid. 1866.

Fonti e Bibl.: Atti parlamentari, Camera dei deputati, Discussioni, VIII legislatura, 1861-65 (per la consultazione si rinvia all’indice dei nomi posto nell’ultimo volume di ogni legislatura); La Civiltà cattolica, XII (1861), vol. 9, pp. 722-736; A. Tamburini, Per la biografia di F. M.: appunti e documenti, Ferrara 1884; C. Panigada, Governo e Stato pontificio nei giudizi d’un deputato del ’48, in Rass. stor. del Risorgimento, XXIV (1937), pp. 1773-1802; I. Zanni Rosiello, I moderati emiliani e i problemi legislativi e amministrativi delle «Provincie dell’Emilia» dopo l’annessione, in Rass. stor. toscana, XI (1964),

pp. 69-103; Diz. del Risorgimento nazionale, III, p. 540 (G. Maioli).

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