MENZOCCHI, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 73 (2009)

MENZOCCHI, Francesco

Valerio Da Gai

– Nacque a Forlì probabilmente nel 1502 da Sebastiano, priore della Confraternita dei Battuti celestini nella chiesa di S. Bernardo, e da Andrea, figlia del beccaio Girolamo Zannini.

La data di nascita si ricava dall’iscrizione che accompagna un’incisione del 1585 eseguita da Mercuriale Manni (Forlì, Biblioteca comunale Aurelio Saffi), nella quale si legge che il M. morì a settantadue anni nel 1574. L’indicazione troverebbe un’indiretta conferma in un documento del 1525 in cui il padre è registrato come garante del M.: egli dunque non doveva essere ancora maggiorenne e avere cioè meno di venticinque anni.

Secondo Giorgio Viviano Marchesi (1726) il genitore del M. era pittore e scrittore. Si suppone ragionevolmente però che lo storico forlivese sia caduto in errore confondendolo con l’omonimo nipote Sebastiano, figlio e allievo dello stesso M.; d’altro canto l’indicazione non trova riscontro in opere accertate e nemmeno in Vasari, che fornisce del M. un succinto ma attendibile profilo nella vita di Gerolamo Genga (per la questione si veda Colombi Ferretti, in F. M., p. 17).

A causa della scarsità di documenti, sussistono incertezze circa lo svolgimento del suo apprendistato: per Vasari sarebbe da circoscrivere alla città natale, dove iniziò a copiare ancora «fanciulletto» (VI, p. 322) i dipinti eseguiti da Niccolò Rondinelli e Marco Palmezzano, con il quale fu effettivamente legato per lo meno da cordiale frequentazione. Successivamente quindi il M. entrò nella bottega di Genga collaborando alla perduta decorazione della cappella Lombardini in S. Francesco, secondo Vasari terminata nel 1512 (ibid., p. 318), ma allogata al maestro urbinate nel 1518. L’incontro con Genga risultò determinante non solo perché lasciò segni fondamentali nella maniera del M., ma in quanto ne favorì per lungo tempo lo svolgimento della carriera.

Riguardo alla sua prima attività pittorica rimane solamente qualche traccia documentaria. Nel documento citato del 1525 il M. risulta essersi obbligato, garante il padre, a dipingere un’ancona per la chiesa della Ss. Trinità; mentre l’anno successivo gli fu commissionata la tavola con l’Eterno, la Vergine, i ss. Gioacchino e Anna per la chiesa di S. Francesco Grande (Grigioni, 1927, pp. 317 s.).

In una lettera del 10 maggio 1530 la duchessa d’Urbino Eleonora Gonzaga richiese al proprio ambasciatore a Venezia Giovan Giacomo Leonardi di intercedere presso i patrizi Girolamo Badoer e Battista Zen al fine di liberare per tre mesi il M. dagli impegni assunti con loro, per poter continuare i lavori avviati nel cantiere di villa Sforza, detta Imperiale, presso Pesaro sotto la direzione di Genga (Gronau). Mancano ulteriori notizie riguardo alla committenza veneziana, non essendo nemmeno certo dove effettivamente il M. a tale data soggiornasse. Il suo coinvolgimento nella decorazione pittorica della residenza pesarese, databile verosimilmente agli anni 1529-32, viene confermato invece da Vasari (VI, p. 318), che lo ricorda operante insieme con i fratelli Giovanni e Battista Luteri, Agnolo Tori detto il Bronzino, Camillo Capelli detto Camillo Mantovano e Raffaellino del Colle.

La consistenza dell’intervento del M. è ancora dibattuta dalla storiografia, che inizialmente ne ha rilevato la mano in ciascuna delle otto sale decorate del piano nobile, ma che in un secondo momento ne ha circoscritto gli interventi a porzioni più o meno limitate di affreschi e stucchi nella sala degli Amorini e in quella della Calunnia (Dal Poggetto; Colombi Ferretti, in F. M., pp. 44 s.).

Negli stessi anni la medesima équipe di artisti, sempre sotto la direzione di Genga, probabilmente realizzò la decorazione, ormai molto rovinata, del loggiato e della cosiddetta cappellina di Lucrezia Borgia nell’ala verso il giardino segreto del palazzo ducale di Pesaro (Valazzi, ibid., pp. 84-86).

Risale al 14 ott. 1533 la commissione della Presentazione di Gesù al tempio per il monastero femminile dello Spirito Santo di Cesena, ora nell’abbazia di S. Maria del Monte (Grigioni, 1927, pp. 320 s.), terminata nel marzo dell’anno successivo, come si evince dall’iscrizione posta sul dipinto. È possibile che ancora una volta l’allogazione fosse stata favorita da Genga, il quale aveva precedentemente eseguito una pala per la chiesa di S. Agostino, situata, come la fondazione monastica, nella contrada di S. Severo.

Nel dipinto l’ancora evidente raffaellismo di derivazione genghiana appare ormai rinnovato sulla base delle varie tendenze classicistiche maturate in quegli anni a Bologna e del manierismo padano soprattutto di Giovanni Antonio de’ Sacchis detto il Pordenone. In particolare da questi riprende la maniera di organizzare il rapporto tra personaggi in primo piano e architetture fortemente scorciate nello sfondo, mentre certe tipologie fisionomiche e fisiche sono confrontabili soprattutto con quelle di Girolamo Marchesi da Cotignola.

Per le strette corrispondenze stilistiche con la pala di Cesena, alla mano del M. è stato ascritto anche il Ritratto di Raniero Arsendi, celebre giureconsulto forlivese del XIV secolo, recante la data del 1534 (ora a Bologna, Biblioteca universitaria).

Nel marzo del 1537 il M. risulta nuovamente attivo in lavori non specificati nella villa Imperiale di Pesaro, come riferisce nel suo Diario Giovanni Battista Belluzzi, detto il Sanmarino, genero di Genga e allora incaricato nella direzione del cantiere. Tale indicazione ha fatto supporre che in realtà i lavori di decorazione nel blocco più antico della residenza roveresca non fossero ancora terminati, riferendo così a tale data la realizzazione degli affreschi della sala della Calunnia (Colombi Ferretti, 2004, p. 419).

Datata al 1538 è invece la Deposizione conservata nella chiesa di S. Rufillo a Forlimpopoli, proveniente da S. Francesco Grande a Forlì, che documenta una sostanziale rielaborazione della maniera del M. in rapporto all’esperienza nei cantieri pesaresi. In particolare emerge rafforzata la componente raffaellesca, declinata però secondo una morbidezza nel modellato più tipicamente emiliana, oltre a una nuova attenzione alla regia luministica volta soprattutto ad accentuare gli snodi plastici mediante luci radenti.

Incerta, la cronologia del Polittico di San Marino (San Marino, Museo di Stato), che tradizionalmente si ritiene risultato di una tardiva ricomposizione fra elementi di due diverse ancone del M. variamente databili agli anni Trenta (Pasini, pp. 78-80). È stato comunque proposto che i diversi scomparti facessero parte di un unico insieme in origine assemblato in maniera differente (Tumidei, in F. M., pp. 232-234).

Vasari (VI, pp. 323 s.) ricorda che il M. prese parte alla decorazione del perduto soffitto della sala di Psiche in palazzo Grimani presso S. Maria Formosa a Venezia, con storie relative al racconto mitico, insieme con Camillo Mantovano e con Francesco de’ Rossi detto il Salviati. Vasari sembra suggerire che Salviati eseguì l’ottagono centrale non appena giunto a Venezia nel luglio del 1539, mentre dovevano già essere in opera i quattro riquadri laterali realizzati dal M., dei quali è stato identificato in collezione privata forlivese Mercurio annuncia il bando contro Psiche (Tumidei, in F. M., pp. 235-239).

Al M. è stata riferita l’esecuzione dell’affresco con Crocifisso originariamente presso il loggiato prospiciente la piazza principale di Meldola (ora nella chiesa di S. Nicolò), che secondo le memorie locali fu commissionato dal cardinale Rodolfo Pio da Carpi nel 1542 (Colombi Ferretti, ibid., pp. 240-242). Il potente prelato verosimilmente potrebbe essere stato il tramite che permise al M. di essere coinvolto nella realizzazione degli stucchi decoranti la volta della sala Regia nei palazzi apostolici Vaticani, eseguiti sotto la direzione di Perin del Vaga (Pietro Buonaccorsi) tra il 1541 e il 1545. Tale partecipazione viene infatti tramandata dall’affidabile testimonianza del notaio Lattanzio Biondini, amico del M. e rogatore di molti documenti che lo riguardano negli ultimi decenni della sua vita (Colombi Ferretti, 2004, p. 426).

Il soggiorno romano sembra trovare indiretta conferma in un confronto con le opere licenziate dal M. in questi anni, che registrano la massima adesione ai modi della maniera tosco-romana. Nell’ottobre del 1543 infatti si impegnò a realizzare la pala con Deposizione per l’altare maggiore dell’oratorio della Compagnia della S. Croce a Urbino (Milano, Pinacoteca di Brera), terminata nella primavera dell’anno successivo.

Il M. seppe risolvere brillantemente i vincoli imposti dall’arcaico formato a trittico voluto dalla committenza, trasformando la cornice, già fatta eseguire nel 1539, in arco scenico dietro al quale viene è rappresentato il dramma sacro, la cui composizione si ispira ai modelli di Salviati e di Perin del Vaga, evitandone però l’estenuata capziosità.

Tra il 1545 e l’estate del 1546 furono eseguiti gli affreschi a monocromo che il cavaliere gerosolimitano fra’ Sabba da Castiglione commissionò al M. per decorare la propria sepoltura nella chiesa di S. Maria Maddalena, detta della Commenda, a Faenza, con il colto umanista ritratto insieme con la Sacra Famiglia al di sopra della lapide funeraria, a sua volta affiancata dalle eleganti allegorie del Silenzio e della Solitudine ispirate all’ultima maniera di Perin (Colombi Ferretti, 2004).

Una conoscenza non mediata delle opere di tale artista si presuppone anche per la raffinatissima Madonna col Bambino tra i ss. Giovanni Battista e Giuseppe (Greenville, South Carolina, Bob Jones University Museum and Gallery), ormai stabilmente ascritta al corpus del M. (Pepper).

In questi anni l’impegno di maggiore prestigio per il M. fu quello per la basilica del santuario della S. Casa di Loreto, dove risulta documentato nel decennio 1545-55 per diversi importanti lavori, in gran parte perduti.

Tra il 1545 e il 1548 realizzò infatti la decorazione della cappella del Ss. Sacramento, di cui sopravvivono la serie degli Apostoli, che decorava l’imbotte dell’arco d’ingresso, e le due grandi scene ormai frammentarie con La caduta della manna e il Sacrificio di Melchisedec, in origine sulle pareti laterali (ora Loreto, Museo pinacoteca - Palazzo apostolico). Completamente perduti gli Episodi della Passione di Cristo con stucchi, ai quali secondo Vasari (VI, p. 324) collaborò il figlio Pier Paolo. Sempre al 1548 risale l’esecuzione della tavola con la Traslazione della S. Casa destinata invece al soffitto del coro (ora, anch’essa, Loreto, Palazzo apostolico), probabilmente commissionata da Pietrantonio Sanseverino principe di Bisignano, il quale affidò al M. anche le perdute decorazioni della cappella di S. Anna documentate al periodo 1549-55 (Grimaldi - Sordi, pp. 6-9).

Nel frattempo, il 12 marzo 1550, si impegnò «per se et suos heredes» a compiere entro due mesi la decorazione già precedentemente avviata del soffitto della «Sale magne», nonché un «Camerinum et solarium» nel palazzo comunale di Forlì (Grigioni, 1952, pp. 441 s., 448 s.).

La sopravvenuta morte di Genga nel 1551 ebbe di certo ripercussioni anche sulla carriera del M., che con l’esaurirsi dell’impegno lauretano tese a gravitare ormai stabilmente sulla città natale, monopolizzandone il mercato artistico.

A questi anni risale in primo luogo il S. Paolo con due vescovi (Forlì, Pinacoteca civica), forse destinato alla cappella dei canonici del duomo (Ceriana, in F. M. Forlì…, pp. 265-268), che si distingue per un rinnovamento della sostanza cromatica, sempre più ricca e pastosa, di ascendenza veneta condiviso anche dalla Sacra Famiglia con i ss. Giacomo e Filippo per l’abbazia di S. Mercuriale.

Tra il dicembre del 1563 e il marzo del 1564 il M. è documentato per altri lavori nel palazzo comunale di Forlì, dove dipinse il soffitto dell’antica sala del Consiglio, di cui si conservano solamente tre delle quattro raffigurazioni dei Fiumi del paradiso terrestre (Forlì, Pinacoteca civica). È probabile che nell’ambito di tale campagna decorativa siano da ricondurre anche i frammentari affreschi della cosiddetta stanza delle Ninfe (Tumidei, ibid., pp. 275-77).

Sembra ormai accertato dalla storiografia che dal settimo decennio i figli Sebastiano e, soprattutto, Pier Paolo furono sempre più coinvolti nella gestione della bottega, cosa che rende talvolta difficile precisare l’intervento dei singoli artisti nelle varie committenze.

È stata avanzata l’attribuzione a Pier Paolo della Deposizione datata al 1562 (Forlì, Pinacoteca civica) e della Crocifissione in S. Domenico a Cesena, che è comunque da riferire all’estrema maniera del padre (Colombi Ferretti, ibid., pp. 60 s.). Perduta è la decorazione per l’altare maggiore di tale chiesa, che il M. si impegnò a eseguire con il più giovane concittadino Livio Modigliani nell’aprile del 1571 (Togni, ibid., pp. 271 s.).

Il M. morì a Forlì tra il 14 ott. 1574, data della redazione del suo secondo testamento, e l’11 dicembre dello stesso anno, quando risulta essere già deceduto, secondo un atto notarile riguardante i figli Pier Paolo e Sebastiano (Grigioni, 1952, p. 447).

Pier Paolo, figlio primogenito del M. e probabilmente di tale Agnese di maestro Antonio, nacque verosimilmente a Forlì attorno al 1532. Risulta attivo nella bottega paterna almeno dal 1548, quando è documentata la sua partecipazione alla decorazione in stucco della cappella della Concezione presso il santuario mariano a Loreto. Nel 1565 prese parte alla realizzazione degli stucchi decoranti le colonne nel cortile di palazzo Vecchio a Firenze sotto la direzione di Vasari. Nel 1567 firmò e datò la Madonna di Loreto con i ss. Pietro e Paolo e angeli (collezione privata), dove emerge una conoscenza della contemporanea pittura fiorentina ritradotta attraverso quella morbidezza caratterizzante la maniera dell’artista in tutta la sua produzione, che si discosta dalla maggiore drammaticità delle opere del padre in quegli anni. Stilisticamente affini sono anche le tavolette con Episodi della Passione di Cristo (Forlì, Pinacoteca civica), una delle quali firmata, e il Crocifisso con i ss. Rocco e Bernardino e angeli (Ibid.) già riferito al padre (Viroli, 1993, pp. 130, 133-135), ma soprattutto la monumentale pala con l’Adorazione dei magi conservata presso S. Domenico a Cesena, proveniente dalla soppressa Confraternita del Rosario. Nel 1574 egli è documentato per alcuni lavori nel palazzo comunale di Forlì. A questa occasione sono stati ricollegati i frammenti ad affresco con nove Storie dell’Antico Testamento (della Pinacoteca civica di Forlì), che per mancanza di omogeneità formale sono parzialmente attribuiti anche a Modigliani (ibid., pp. 129, 137 s.). Firmata e datata al 1575 è la cosiddetta Pala di s. Reparata per l’omonima chiesa in Terra del Sole. La Madonna del Rosario, commissionatagli nel 1583 (Colombi Ferretti, 1982, p. 71) e conservata nel seminario vescovile di Forlì, testimonia un suo progressivo allontanamento dalle sigle tardomanieriste a favore di una maggiore semplicità compositiva (Viroli, 1993, pp. 130, 138 s., 143).

Il 20 giugno 1589 Pier Paolo fece testamento; morì a Forlì entro il 26 agosto dello stesso anno, come si evince dall’inventario della sua eredità (Id., 1991, p. 259).

Sebastiano nacque attorno al 1535 anch’egli probabilmente a Forlì, forse il terzo tra i figli maschi del M., in quanto nominato dopo Pier Paolo e Gerolamo nel testamento del padre. Incertezze invece sussistono sulla madre, che potrebbe essere stata la citata Agnese di maestro Antonio o Barbara di Giovan Francesco Ronchi, sposata dal M. nel 1536.

Dalle guide locali è stato riferito alla sua mano lo Sposalizio di s. Caterina (Forlì, Pinacoteca civica) recante la data al 1572; portano la sua firma il Crocifisso con i ss. Francesco, Cristina e Maddalena del 1580 (Ibid., seminario vescovile) e la Madonna col Bambino, i ss. Sebastiano, Paolo e donatore, datata al 1593 e conservata nella Pinacoteca civica di Forlì (Id., 1993, p. 189). Sebbene chiaramente ispirate ai moduli figurativi del padre e del fratello Pier Paolo, tali opere rivelano caratteristiche morfologiche riconoscibili come peculiari di Sebastiano nella riproposizione di un linguaggio meno elegante, dagli accenti quasi popolareschi. Egli va comunque ricordato soprattutto come autore delle Croniche et annali della città di Forlì (Forlì, Biblioteca comunale, Fondo Piancastelli; l’opera fu pubblicata da A. Pasini, Fonti della storia forlivese: cronaca di Sebastiano Menzocchi, Forlì 1929), fonte preziosa per gli storici locali a partire dal Cinquecento, già attribuita al nonno paterno.

Incerta la data di morte, fissata dalla storiografia attorno al 1600.

Fonti e Bibl.: P. Pino, Dialogo di pittura (1548), a cura di A. Pallucchini, Venezia 1945, p. 130; G. Vasari, Le vite… (1568), a cura di G. Milanesi, Firenze 1881, VI, pp. 318, 322-324; VII, p. 18; E. Calzini, Pier Paolo Menzocchi, artista forlivese del sec. XVI, in Rassegna bibliografica dell’arte italiana, I (1898), pp. 140 s.; C. Grigioni, Documenti inediti intorno alla famiglia, la vita e le opere di F. M., in La Romagna, XVI (1927), pp. 313-333; G. Gronau, Documenti artistici urbinati, Firenze 1936, p. 123; C. Grigioni, Nuovo contributo documentario intorno alla vita e alle opere di F. M., in Studi romagnoli, III (1952), pp. 441-462; F. Spazzoli, Rapporti tra arte e ideologia cattolica a Forlì nel secolo XVI. Pier Paolo Menzocchi e Livio Modigliani, ibid., XXIV (1973), pp. 447-457; A. Colombi Feretti, Dipinti d’altare in età di Controriforma in Romagna (1560-1650). Opere restaurate dalle diocesi di Faenza, Forlì, Cesena e Rimini (catal., Forlì), Bologna 1982, ad ind.; P. Dal Poggetto, in Urbino e le Marche prima e dopo Raffaello (catal.), a cura di P.G. Ciardi Duprè Dal Poggetto - P. Dal Poggetto, Urbino 1983, pp. 381-397; D.S. Pepper, Bob Jones University Collection of religious art. Italian paintings, Greenville, SC, 1984, p. 76; Pittori a Loreto: committenze tra ’500 e ’600, documenti, a cura di F. Grimaldi - K. Sordi, Ancona 1988, ad ind.; D. Scrase, A drawing by F. M. acquired by the Fitzwilliam Museum, in The Burlington Magazine, CXXXIII (1991), pp. 773-776; G. Viroli, La pittura del Cinquecento a Forlì, I, Forlì 1991, pp. 193-271; II, ibid. 1993, pp. 127-199; Il Museo di Stato della Repubblica di San Marino, a cura di P.G. Pasini, Milano 2000, pp. 78-86; A. Bacchi, Riconsiderando F. M., in Gazette des beaux-arts, CXXXV (2000), pp. 67-76; F. M. Forlì 1502-1574 (catal., Forlì), a cura di A. Colombi Ferretti, Ferrara 2003 (con particolare riferimento ai contributi di S. Tumidei e A. Colombi Ferretti); F. Negroni, Quattro dipinti ritrovano l’autore, in Notizie da palazzo Albani, XXXII (2003), pp. 111-115; Brera mai vista. F. M. pittore «raro e mutevole». Il trittico urbinate della Deposizione, 1544 (catal.), a cura di M. Ceriana - V. Maderna - C. Quattrini, Milano 2004; A. Colombi Ferretti, in Sabba da Castiglione, 1480-1554: dalle corti rinascimentali alla commenda di Faenza. Atti del Convegno, Faenza… 2000, a cura di A.R. Gentilini, Firenze 2004, pp. 408-436; P. Ervas, A drawings by F. M. in the Louvre, in Master Drawing, XLVI (2008), 3, pp. 374-376; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, p. 404.

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