MESTICA, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 74 (2010)

MESTICA, Francesco

Francesca Brancaleoni

MESTICA, Francesco. – Nacque ad Apiro (presso Macerata) l’8 dic. 1809, primogenito di Giacinto, sarto, e di Orsola Clementi. Nonostante le modeste condizioni economiche della famiglia, si dedicò agli studi letterari dapprima nella terra natale e successivamente a Camerino, dove attese in particolare a retorica e filosofia.

Non ancora ventenne e già dotato di vasta preparazione, il M. insegnò lettere italiane e latine a Chiaravalle (Ancona), per poi tornare, dopo circa due anni, a Camerino, e frequentarvi l’Università. Là, oltre ad attendere agli studi, divenne istitutore presso la famiglia Conforti con la quale strinse una duratura amicizia. Attraverso quelle lezioni private il M. attirò a sé anche altri giovani della città che guidò nello studio della letteratura italiana e in particolare della Commedia dantesca, trasmettendo loro i sentimenti patriottici da cui era fortemente animato. Tale orientamento politico lo rese sospetto ai funzionari papali, i quali nel 1835 lo destituirono dalla cattedra di lettere che nel frattempo gli era stata assegnata nel ginnasio camerinese. Tuttavia, fattosi conoscere come valido docente, il M. fu dapprima chiamato a Jesi, dove però, sempre a causa delle sue posizioni liberali, non ebbe l’approvazione all’insegnamento;

poi,

nel 1838, passò a Cingoli per ricoprire nel locale ginnasio la cattedra di lettere: vi restò quattro anni, durante i quali sposò la camerinese Ermelinda Fabroni.

Nel 1843 si trasferì a Pesaro, dopo aver vinto il concorso per la cattedra di eloquenza nel ginnasio, elogiato, tra gli altri, da F. Cassi, membro della commissione esaminatrice. Mantenendo l’incarico fino al 1849, il M. ebbe modo di esercitare pienamente il ruolo di educatore, affiancando all’insegnamento il compito di riformare le scuole locali. L’impegno intellettuale profuso in queste attività pedagogiche è attestato, tra l’altro, da un lavoro intrapreso dal M. in quei primi anni pesaresi, le Opere di filosofia morale e civile di I. Stellini (Rimini 1852), traduzione italiana con note e commenti di parte dell’Opera omnia (Patavii 1778-79) in latino del filosofo e pedagogista settecentesco.

I suoi metodi d’insegnamento, alieni da suggestioni gesuitiche e vagamente aperti a prospettive di rinnovamento politico, gli valsero l’ammirazione dei discepoli, fra i quali il fratello minore Giovanni, e l’amicizia di quegli intellettuali che aspiravano alla fine della sovranità pontificia su Marche e Romagna.

Costantemente dedito agli studi, il M., nel periodo pesarese, prese a dare piena espressione alla sua attitudine poetica, che, sostenuta da una solida conoscenza della letteratura, lo portò da allora in poi a comporre sonetti, canti e inni prevalentemente d’occasione, la cui forma a volte richiama lo stile di V. Monti e G. Leopardi. Alcuni di questi componimenti furono pubblicati, unitamente a un ampio profilo dell’autore, nel Manuale della letteratura italiana nel sec. XIX (II, parte seconda, Firenze 1887, pp. 673-687) di G. Mestica.

Nel 1849, ripristinata l’autorità papale a Roma dopo la caduta della Repubblica, il M., accusato di essersi esposto politicamente, perse la cattedra e fu relegato ad Apiro, pena un anno di lavori forzati in caso di allontanamento. Privato dell’insegnamento, il M. dovette affrontare gravi difficoltà economiche senza che le autorità pubbliche locali potessero sostenerlo. Tuttavia, grazie all’interessamento di F. Rocchi, docente di archeologia all’Università di Bologna, e di B. Borghesi, allora segretario agli Affari esteri della Repubblica di San Marino, sul finire del 1849 il M. fu chiamato a insegnare eloquenza nelle scuole sammarinesi. Unendosi ai numerosi esuli accolti da quella Repubblica, il M. vi si trasferì con la famiglia, rischiando che nell’attraversare le province di Ancona e Pesaro gli venisse comminata la pena per abbandono del domicilio coatto.

A San Marino oltre che alla didattica si dedicò, su incarico del governo, alla riforma degli studi, nel cui ambito propose l’istituzione di scuole di fisica, di geografia e aritmetica. Risale a quel periodo il suo progetto di un’opera sull’arte dello scrivere (Principi logici morali ed estetici e loro applicazione all’arte di scrivere e all’eloquenza), di cui pubblicò soltanto le prime due parti, il Trattatello della facoltà di pensare (Rimini 1851), e il Trattatello della facoltà di volere (ibid. 1852), saggi volti alla preparazione della gioventù. Stimato dai capitani reggenti, fu nominato professore di filosofia morale, logica e metafisica e ottenne la cittadinanza sammarinese (1851).

Nel 1853 il M. assistette ai violenti disordini a opera di estremisti e di alcuni esuli contro la regolamentazione del diritto d’asilo disposta dal governo sammarinese in seguito alle pressioni delle autorità pontificie e austriache che chiedevano la consegna dei rifugiati politici.

Dopo l’uccisione del segretario di Stato G.B. Bonelli, prima vittima designata della cosiddetta congiura contro «i cinque B» (gli esponenti governativi G. Belluzzi, D.M. Belzoppi, B. Borghesi, G.B. Braschi e lo stesso Bonelli), il M., per incarico del governo, recitò durante le esequie l’Elogio funebre per G.B. Bonelli, dato immediatamente alle stampe (Rimini 1853), dove stigmatizzò l’assassinio politico. Questa pubblicazione, esponendolo all’ostilità dei fautori della congiura e, pare, al rischio di essere a sua volta ucciso, lo costrinse a vivere nella più severa circospezione. Alla fine, con lettera datata 18 luglio 1854, il M. confidò all’ex capitano reggente Belzoppi, in volontario esilio nei suoi possedimenti di Verucchio (Rimini) dopo l’assassinio del Bonelli, l’intenzione di lasciare San Marino. Di lì a poco ne ebbe effettivamente l’occasione, e si recò con un salvacondotto a Pesaro per partecipare a un’accademia letteraria, dove recitò il suo «Canto per l’inaugurazione delle statue di G. Perticari e G. Rossini», componimento non privo di espressioni politicamente compromettenti.

Determinato a non tornare a San Marino, avendo appreso la notizia dell’omicidio del medico condotto A. Lazzarini, suo amico, ottenne una proroga del permesso e riuscì a ricongiungersi con la sua famiglia. Dopo una breve permanenza a Pesaro, passò a Tolentino, dove gli venne offerta interinalmente la cattedra di eloquenza presso il ginnasio, in sostituzione del fratello Giovanni, chiamato a insegnare a Cingoli. Tuttavia sul M. gravava ancora il decreto di bando dall’insegnamento: fu l’intervento di monsignor L. Spada de’ Medici a procurargli la riabilitazione al magistero, a eccezione delle sole materie filosofiche. Ottenne quindi la cattedra di eloquenza presso il ginnasio di Jesi ove, impegnandosi anche per il miglioramento della scuola, restò fino al 1861, quando passò a Camerino. Qui, nominato professore di letteratura italiana all’Università e di filosofia al liceo, si adoperò affinché venissero applicate all’insegnamento le nuove leggi unitarie e partecipò all’accademia tenutasi per la prima festa nazionale italiana leggendo il suo «Inno alla libertà». Non intendendo allontanarsi da Camerino e privilegiando come sempre l’insegnamento, il M. rifiutò un incarico nell’amministrazione scolastica del Regno che L. Valerio, commissario straordinario per le Marche, riconoscendolo meritevole per dottrina e patriottismo, intendeva conferirgli dietro consiglio di G. Finali.

Nel 1862, per motivi economici, accettò di insegnare lingua italiana nella scuola normale femminile di Camerino, ma ciò lo costrinse a rinunciare alla cattedra universitaria.

Il M. morì a Camerino l’11 febbr. 1864.

Fonti e Bibl.: A. Moretti, Elogio funebre del prof. F. M., Jesi 1864; G. Berti, Elogio funebre del prof. F. M., Camerino 1864; F. Mestica, Dodici lettere, Jesi 1868; Id., Una lettera e una poesia pubblicate da G. Mestica, Firenze 1880; O. Antognoni, Appunti e memorie, Imola 1889, pp. 157-166; G. Castelli, La vita e le opere di G. Mestica, Roma 1904, pp. 13-22, 37; G. Crocioni, Le Marche, Città di Castello 1914, p. 410; M. Rossi, Elogio per G. Bonelli. F. M. e la Repubblica di San Marino, in Libertas perpetua, XIX, ottobre 1940 - aprile 1941, pp. 4-12; G. Mazzoni, L’Ottocento, I, Milano 1973, p. 321. Per le vicende della Repubblica di San Marino dal 1849 al 1853: L. Lotti, Belzoppi, Domenico Maria, in Diz. biogr. degli Italiani, VIII, Roma 1966, pp. 100 s.; A. Campana, Borghesi, Bartolomeo, ibid., XII, ibid. 1970, pp. 624-643.

F. Brancaleoni