MATERI, Francesco Paolo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 72 (2008)

MATERI, Francesco Paolo

Agnese Pierina Sinisi

– Nacque a Grassano, nel Materano, il 19 nov. 1842, in una eminente famiglia della borghesia terriera meridionale. Il padre, Luigi, possedeva e amministrava un vasto patrimonio fondiario; la madre, Marianna Blasi, proveniva anch’essa da una ricca famiglia di recente nobilitazione.

Originari di Cosenza e già appartenenti al patriziato di questa città, i Materi si erano stabiliti a Grassano a fine Settecento. L’ascesa economica, con modalità e meccanismi simili a quella di altre famiglie borghesi, era avvenuta nell’arco di pochi decenni. Soprattutto nel periodo compreso tra le leggi eversive della feudalità (1806) e il 1860, Pasquale e, poi, il figlio Luigi acquisirono beni fondiari (ex feudali, ecclesiastici e demaniali) nei comuni collinari del Materano (Grassano, Tricarico, Calciano, Garaguso, Pomarico, Grottole, Irsina). Le strategie matrimoniali giocarono un ruolo rilevante: è il caso della cospicua dote, anche in beni immobili, portata da Marianna Blasi che, vedova del figlio primogenito di Pasquale, Francesco Paolo, nel 1839 sposò in seconde nozze Luigi.

Nei primi anni Sessanta la famiglia, con titoli onorifici già concessi dalla monarchia borbonica, conduceva una vita more nobilium a Napoli – disponeva della dimora cittadina e di una villa a Portici – senza trascurare di soggiornare nel suo palazzo di Grassano per la cura delle proprietà terriere. Pertanto il M. ebbe una formazione culturale non provinciale: studi presso l’Università di Pisa, con il conseguimento della laurea in giurisprudenza nel 1863, e frequenti viaggi all’estero per ampliare le conoscenze. Nel 1862 soggiornò in Francia, ove ritornò nel 1864 allo scopo di condurre approfondite ricerche sull’assistenza pubblica, il cui risultato fu la pubblicazione di una ponderosa opera sulle istituzioni di beneficenza in Francia, modello, a suo parere, di un equilibrato rapporto tra intervento pubblico e carità privata, tanto da proporlo al nuovo Stato italiano (Intorno all’assistenza pubblica in Francia. Studi economici e amministrativi, Napoli 1865).

Tali studi giovanili furono utili al M. per affrontare i problemi dei numerosi enti assistenziali di Napoli (cfr. Sui conservatori e ritiri della città di Napoli. Considerazioni e proposte di riforma, ibid. 1869) e per le sue funzioni nell’amministrazione municipale della città come vicesindaco nella sezione di S. Ferdinando, carica assunta nella seconda metà degli anni Sessanta. Nel 1877 fu segretario del congresso delle Opere pie riunito a Napoli, ma, dalla fine degli anni Settanta, al centro dei suoi interessi vi furono non soltanto i problemi del pauperismo, che considerava la principale «piaga» delle «moderne società» (Intorno all’assistenza pubblica…, cit., p. 12), ma anche e soprattutto quelli dell’agricoltura meridionale.

Il M., tuttavia, non aveva ancora la responsabilità di curare il patrimonio familiare, gestito dal padre con tradizionali e, in fondo, efficaci criteri: amministrazione efficiente per esigere i canoni di affitto dei terreni, paternalismo nei confronti delle comunità locali e politiche matrimoniali basate su unioni con prestigiose famiglie dell’élite terriera, come lo stesso matrimonio del M. con Teresa Giliberti.

Solo nel 1891, dopo la morte del padre, il M., secondogenito, e i fratelli Ferdinando (primogenito) e Antonio divisero in quote eguali i beni paterni e materni (proprietà fondiarie per 5537 ettari, beni immobili a Grassano, Potenza, Napoli e Portici). Furono valutati oltre 2.126.000 lire, seppur gravati da un debito ipotecario di 344.676 lire, aspetto consueto per le famiglie dell’élite terriera che avevano sempre bisogno di ingenti risorse monetarie, anche per le doti da versare alle donne – escluse dall’eredità del patrimonio fondiario – come quella (131.750 lire) data alla sorella del M., Giovanna. Nel 1878, il padre aveva predisposto un progetto di divisione dei suoi beni tra i figli maschi, assegnando anticipatamente al M. la tenuta di Piani Soprani e Pantana, valutata 51.000 lire.

Fu piuttosto la crisi agraria che indusse il M. a intervenire direttamente in difesa degli interessi fondiari, ma con considerazioni critiche sui «latifondisti»: «la mia qualità di latifondista – scriveva nel 1879 – è quella che mi porrà al coperto da ogni accusa di parzialità […] e darà credito al mio dire» (La questione agraria in Basilicata. Lettere al direttore del «Rinnovamento», Napoli 1879, p. 11). Egli evidenziava come la borghesia terriera non fosse riuscita a liberarsi da alcune eredità dell’Ancien Régime: l’atteggiamento nei confronti delle «classi inferiori», sulle quali «fece pesare il principio dell’autorità e talvolta il suo prepotere» (il M. escludeva, comunque, ogni riforma dei contratti agrari per «il rispetto del principio di libertà» e delle «leggi naturali» dell’economia), nonché i valori familiari e le consuetudini ereditarie. La frequente permanenza dei privilegi del primogenito – osservava – e l’assoluto principio dell’autorità paterna, con la «tenace unità» della famiglia «alla quale tutto deve cedere, affetti, intendimenti, volere e forze degli individui che la compongono», impedivano la crescita di una matura classe dirigente, operosa e innovatrice nel campo economico (ibid., pp. 11, 32-34). A queste riflessioni, che in parte rispecchiavano la sua personale situazione, faceva seguire un’analisi dello stato critico della produzione agricola: «È tempo di aprire gli occhi, e di farci esattamente i conti circa la pericolosa smania di granificare, se già questi conti non ce li facesse fare la concorrenza dei grani americani». Il ribasso dei prezzi e soprattutto la scarsa produttività dovuta al «granificare ad oltranza sulle medesime terre», senza «giusto rapporto […] tra l’estensione dei terreni graniferi con quelli prativi, e tanto meno tra gli animali colla terra», stavano riducendo «rovinosamente il reddito netto del suolo» (cfr. Sull’avvenire agricolo della Basilicata, in L’Agricoltura meridionale, XIV [1881], pp. 209-212, cit. a p. 211; Il podere Piani Soprani e Pantana in Basilicata. Monografia che accompagna la esposizione collettiva del detto podere inviati alla Mostra nazionale di Torino nel 1884, Napoli 1884, p. 7). Bisognava «raddrizzare i precetti dell’economia rurale» con una gestione razionale delle aziende (ibid.).

L’esigenza di una trasformazione e modernizzazione dell’agricoltura era avvertita dal M., come da significativi settori della classe dirigente meridionale, anche grazie agli stimoli della Scuola superiore di agricoltura di Portici, che fu operante dal 1873. Il M. stabilì stretti rapporti con alcuni docenti della Scuola che nel 1878 fondarono la rivista L’Agricoltura meridionale, cui egli collaborò in qualità di «distinto proprietario». Ma essere «distinto» proprietario non significava soltanto occuparsi dell’«avvenire agricolo della Basilicata» con dotti articoli e con cariche politiche nelle istituzioni locali (il M. fu consigliere provinciale della Basilicata dal 1878 al 1883 e, poi, ininterrottamente, dal 1889 al 1905). Esigeva altresì, secondo il M., «l’obbligo morale» di «provare coi fatti come si potesse anche nelle nostre terre» promuovere «il progresso […] dell’agricoltura» (Il podere Piani Soprani e Pantana, cit., pp. 3 s.). È ciò che egli fece a partire dal 1879, trasformando la tenuta di Piani Soprani e Pantana in un’azienda modello.

Si trattava di una tenuta di 300 ettari, situata in un’area limitrofa ai comuni di Tricarico e Grassano e che, prima degli interventi del M., era costituita da una superficie boschiva, da terreni coltivati (seminativi e oliveti) e da una zona paludosa. Concessa in affitto a grossi affittuari, la parte seminativa era subaffittata a coltivatori contadini con bassi rendimenti. Il M. introdusse ordinamenti razionali: migliori rotazioni, salvaguardia e cura dell’area boschiva, allevamento stanziale (ovini, bovini, suini) con razze selezionate, bonifica della superficie paludosa e uso irriguo delle acque per i terreni addetti ai prati artificiali, ampliamento delle colture arboree e arbustive. Inoltre, costruì vari edifici rurali (alloggi per i contadini, stalle, un frantoio e i locali per la conservazione o la lavorazione dei prodotti) e introdusse moderni aratri e macchine (mietitrice e trebbiatrice). Affidò la direzione dell’azienda a un agronomo «fatto venire di fuora», ma con risultati insoddisfacenti «per inesperienza delle condizioni locali». Successivamente preferì assumerne direttamente la direzione e dimorò «molti mesi dell’anno in Grassano», coadiuvato da personale locale esperto e giovandosi dei consigli dei docenti di Portici (ibid., pp. 37-44).

Nel 1883 Piani Soprani e Pantana ottenne il «premio d’onore» dal ministero dell’Agricoltura come migliore azienda agricola della Basilicata. Considerata «un Oasis nel deserto» lucano (ibid., p. 44), i suoi prodotti furono esposti nelle mostre nazionali, come quella di Torino del 1884. In tale occasione, il M. compilò una monografia con una descrizione dettagliata delle innovazioni realizzate e L’Agricoltura meridionale ne pubblicò un’ampia parte, sottolineando il valore paradigmatico dei criteri che avevano guidato «l’intelligente proprietario nel metter mano alla trasformazione agricola» (Il podere Piani Soprani e Pantana in Basilicata, in L’Agricoltura meridionale, XVII [1884], 12-14, pp. 177-181, 199-201, 213-216, cit. a p. 177).

Con G. Giusso e altri esponenti dell’élite terriera meridionale, nel 1886 il M. promosse a Napoli l’Associazione dei proprietari ed agricoltori, entrando a far parte del consiglio direttivo (divenne segretario generale, mentre Giusso ne fu presidente). L’associazione, i cui atti furono pubblicati dalla rivista di Portici, sostenne gli sforzi dei soci nelle trasformazioni produttive con un «comitato tecnico agrario» formato da agronomi della Scuola. Il M. stimolò l’associazione ad ampliare la sua attività, aggregando in leghe agrarie i possidenti e gli agricoltori provinciali. Di là dal protezionismo doganale, gli «interessi della terra», osservava, potevano essere tutelati solo con «l’autorità e la forza della collettività» (cfr. Lega agraria lucana, s.l. né d., p. 9). Per eliminare gli ostacoli allo sviluppo agricolo non bastavano i comizi agrari e le società agronomiche – ribadiva nell’ambito del Consiglio superiore dell’agricoltura, di cui fece parte nel 1888-89 –, ma bisognava costituire grandi associazioni agrarie analoghe ai sindacati agricoli che si erano affermati in Francia.

Volendo offrire un concreto esempio di come, anche in una realtà poco progredita, i sindacati fossero utili, nell’aprile del 1889 fondò la Lega agraria lucana. Da lui presieduta, la Lega aggregò gli esponenti della grande e media proprietà, «soci ordinari» che si proponevano – secondo il modello del sindacato francese – di guidare paternalisticamente i «soci aderenti», ossia i piccoli coloni e gli «operai agricoltori» (ibid., pp. 25 s.). Il M., che nel 1885 aveva già partecipato a Napoli alla costituzione del Credito agrario meridionale – un istituto di credito che negli anni successivi ebbe una vita stentata – con l’appoggio del Banco di Napoli e del suo direttore Giusso, indusse la Lega lucana a costituire un istituto di credito cooperativo, denominato Credito agrario lucano, che mirava a modernizzare le stesse funzioni dei vecchi Monti frumentari presenti nei piccoli centri. L’iniziativa non riuscì a decollare per la grave crisi del Banco di Napoli nel 1890. Maggiore successo ebbe la Banca popolare cooperativa di Grassano: fondata dal M. nel 1884, era ancora attiva nel primo decennio del Novecento. La Lega agraria lucana, pur avendo quattromila soci, ebbe invece breve durata e si sciolse dopo appena un anno di esistenza.

Il M. fu eletto deputato al Parlamento nel collegio di Potenza alla fine della XVI legislatura (1890) e continuò a rappresentare i proprietari lucani, nelle file del «gruppo agrario», fino alla XXII (dalla XVII fu eletto nel collegio di Tricarico). In Parlamento chiese provvidenze statali per i proprietari gravati dai debiti, auspicò l’«operosa e concreta iniziativa dello Stato» dove, come in Basilicata, «tutto [era] da fare» e «l’iniziativa privata non basta[va]» (Atti Parlamentari, Camera dei deputati, Legislatura XVI, Discussioni, tornata del 16 giugno 1890, Roma 1890, p. 4006). Convinto che la «statolatria» fosse una «necessità fatale» per le regioni meridionali (Sulla colonizzazione interna. Proposta di legge dell’onorevole F.P. M. svolta alla Camera dei deputati nella tornata del 1° marzo 1907, Roma 1907, p. 8), sostenne la legislazione speciale (la legge del 1901 sul credito agrario nelle province meridionali e i provvedimenti del 1904 a favore della Basilicata).

Secondo il M., lo Stato doveva favorire soprattutto la colonizzazione interna, ossia la formazione nei latifondi meridionali di centri di popolamento con l’immigrazione di famiglie contadine dell’Italia centrale e l’adozione del contratto mezzadrile. Proposta di successo in quegli anni – fu assecondata dalla legge per la Basilicata del 1904 con sussidi per la costruzione di case coloniche e la costituzione di un Ufficio speciale per la colonizzazione interna –, era ritenuta un efficace mezzo, data anche la carenza di manodopera locale a causa dall’emigrazione transoceanica, per realizzare le trasformazioni produttive e per raggiungere la «pacificazione sociale» (cfr. Ancora dell’agricoltura meridionale e del suo avvenire, in Riv. italiana di politica e legislazione agraria, 1900, nn. 8-9, pp. 3-20, cit. a p. 7). Fra il 1903 e il 1906 il M. sperimentò la colonizzazione a Piani Soprani e Pantana, elaborò un piano per realizzarla in un’altra sua tenuta, la Grancia di S. Demetrio (oltre 1044 ettari di terreni boschivi e seminativi nel territorio di Brindisi di Montagna), e, infine, nel 1907 presentò uno specifico progetto di legge in Parlamento.

Nelle inchieste governative e parlamentari del primo Novecento, Piani Soprani e Pantana era considerata ancora una «fattoria modello», sempre «oasi» tra campi coltivati estensivamente, ma non distante da una «plaga agricola ammirevole» (Franzoni, p. 187), costituita dalle aree irrigue degli antichi «giardini» (orti e frutteti), limitrofi al Basento e coltivati dai contadini di Grassano sulla base di tradizionali tecniche mediterranee, dove anche il M. aveva alcuni possedimenti. I risultati della colonizzazione con famiglie contadine romagnole immigrate, sperimentata per due anni nella fattoria, furono contraddittori, come ammise il M. stesso: «mentre il risultato dell’esperimento fu tecnicamente eccellente, non corrispose la riuscita morale di esso» (Cagli). «La “riuscita morale” dello sperimento era stata cattiva per l’indisciplina dei coloni» – osservò maliziosamente F.S. Nitti nella relazione per l’Inchiesta parlamentare sulle condizioni dei contadini in Basilicata – e le famiglie immigrate «dovettero essere licenziate con l’intervento dei carabinieri» (Scritti…).

Il M., per il suo costante impegno nelle innovazioni agricole, fu insignito nel 1902 con l’onorificenza di cavaliere dell’Ordine al merito del lavoro. La nuova e borghese onorificenza si aggiunse ai titoli cavallereschi – retaggi dell’Ancien Régime – concessi dai sovrani borbonici e sabaudi alla sua famiglia (il M., come i suoi due fratelli, ebbe i titoli di cavaliere e di commendatore della Corona d’Italia). In effetti, ai contemporanei egli apparve un imprenditore per le sue «progressive e coraggiose iniziative» e, nello stesso tempo, un «gentiluomo meridionale», più avvezzo alla vita urbana che a quella delle campagne lucane in cui si trovavano le sue vaste proprietà (Franzoni, p. 280).

Il M. morì a Roma il 10 febbr. 1910.

Tra i suoi scritti e interventi, si rammentano inoltre: Proposte e consigli agli agricoltori meridionali intorno ai possibili miglioramenti agrarii, in L’Agricoltura meridionale, XX (1887), 10-11, pp. 148-151, 166-168; Relazione del Consiglio direttivo dell’Associazione dei proprietari ed agricoltori in Napoli, Napoli 1888; L’agricoltura meridionale e il suo avvenire, in Riv. italiana di politica e legislazione agraria, 1899, n. 4, pp. 3-16; Il Banco di Napoli e il credito agrario nel Mezzogiorno, ibid., 1901, n. 11, pp. 3-12.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Matera, Arch. privato della famiglia Materi di Grassano, bb. 40, 59-60 (patrimonio della famiglia e divisioni ereditarie); Stato civile di Grassano, 1842, b. 39 (registro degli atti di nascita); Napoli, Arch. privato Bartoli Materi (consultato grazie alla cortesia della n.d. Maria Teresa Bartoli), per alcuni documenti sul M. e sulla sua famiglia; Arch. di Stato di Potenza, Prefettura, Atti amministrativi, 1883-87, bb. 50-51; 1903-07, b. 19 (Grancia S. Demetrio). Sull’archivio e le vicende della famiglia dal Settecento alla seconda metà del Novecento cfr. C. Biscaglia, I Materi di Grassano tra agricoltura illuminata ed impegno politico, in Rass. stor. lucana, 2001, nn. 33-34, pp. 3-48. Cfr. inoltre: R. De Cesare, La fine di un Regno, I, Città di Castello 1908, p. 289; G. Gattini, Saggio di biblioteca basilicatese, Matera 1908, p. 91; C. Cagli, La Basilicata ed il problema dell’immigrazione e della colonizzazione interna, Roma 1910, p. 62; F.S. Nitti, Scritti sulla questione meridionale, IV, 1, Bari 1968, pp. 354 s.; A. Cormio, Note sulla crisi agraria e sulla svolta del 1887 nel Mezzogiorno, in Problemi di storia delle campagne meridionali nell’Età moderna e contemporanea. Atti del Congresso… 1979, a cura di A. Massafra, Bari 1981, pp. 539-567; L. Musella, Proprietà e politica agraria in Italia, Napoli 1984, ad ind.; A. Sinisi, Economia, istituzioni agrarie e gruppi sociali in Basilicata (1861-1914), Napoli 1989, pp. 135-172, 272-313; S. Lupo, I proprietari terrieri nel Mezzogiorno, in Storia dell’agricoltura italiana in età contemporanea, a cura di P. Bevilacqua, II, Uomini e classi, Venezia 1990, ad ind.; L. Musella, Stato e società rurale, Napoli 1992, pp. 44-46, 62-64; M. Morano, Storia di una società rurale. La Basilicata nell’Ottocento, Roma-Bari 1994, ad ind.; A. Franzoni, L’emigrazione in Basilicata (1904), in La Basilicata e il «Nuovo Mondo». Inchieste e studi sull’emigrazione lucana (1868-1912), a cura di E.V. Alliegro, Potenza 2001, pp. 186 s., 230 s.; A. Castagnoli - E. Scarpellini, Storia degli imprenditori italiani, Torino 2003, p. 41. Su uno dei sei figli del M., Luigi (1877-1922), che fu anche scrittore, cfr. G. Caserta, Introduzione a L. Materi, L’ultima canzone. Il romanzo della Grancìa, Anzi 2003, pp.7-18; Enc. biografica e bibliogr. «Italiana», A. Malatesta, Ministri, deputati, senatori dal 1848 al 1922, II, p. 173.

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